"L'italian style" della missione Nato Kfor in Kosovo
Le Forze Armate italiane, con i partner internazionali, contribuiscono efficacemente a garantire la sicurezza e favorire lo sviluppo economico, sociale e politico dell’intera area balcanica, tra dovere e sensibilità
Nel centro di Pristina spicca una statua di Bill Clinton che saluta i passanti. La scultura è stata dedicata dai kosovari albanesi al Presidente che iniziò a marzo del 1999 la campagna di attacchi aerei, portata avanti dalla Nato per circa due mesi, contro la Repubblica Federale di Jugoslavia di Slobodan Milošević, avviando il Kosovo all’indipendenza. Questo piccolo Stato, dichiaratosi indipendente nel 2008, è riconosciuto da 109 dei 193 Paesi dell’Onu. Nella lista non compaiono, tra gli altri, Cina, Russia, Serbia, Spagna e Grecia. La missione internazionale della Nato Kfor si è ridotta di 10 volte dal 1999 e la sicurezza è oggi 10 volte migliore di allora.
Sono 5500 i militari, di 31 nazioni, in Kosovo al comando di un Generale di Divisione italiano, Salvatore Farina. I Balcani rappresentano una delle regioni di rilevanza internazionale e interesse geopolitico per il nostro Paese. Grande opportunità per l’UE che guarda con interesse all’evolversi della situazione di sicurezza in prospettiva di aprire le porte anche a quegli stati che hanno espresso la volontà di entrare a far parte della grande famiglia dei paesi dell’Unione. I Balcani sono considerati un’area di vitale importanza per attività economiche e progetti di cooperazione e sviluppo comune. Il nostro Paese ha da sempre voluto essere presente in questa regione anche per la sua contigua posizione geografica. Le Forze Armate italiane, con i partner internazionali, contribuiscono efficacemente a garantire la sicurezza e favorire lo sviluppo economico, sociale e politico non solo del Kosovo ma, più in generale, dell’aera balcanica.
L’ Italia si è affermata protagonista credibile e qualificato in questo scenario internazionale considerato tra i più significativi e delicati. Parole di stima ed affetto giungono dalle più alte cariche istituzionali del Kosovo per l’eccellente lavoro che i nostri uomini e donne “con le stellette” stanno svolgendo per la pace e l’integrazione multietnica. Risultato apprezzato dalla Nato e dall’intera comunità internazionale che ha rinnovato la leadership della missione Kfor all’Italia anche il prossimo anno. Lo “stile italiano” è agli occhi di tutti un sistema che funziona. I nostri soldati si distinguono per capacità di trattativa e di negoziato e lo conferma il fatto che all’ Italia è assegnato il comando delle missioni UNIFIL in Libano, KFOR in Kosovo, EUTM in Somalia. Segni evidenti della trasformazione del Kosovo si riconoscono nelle grandi città.
A Mitrovica sono state rimosse e sostituite dal “giardino della pace” le barricate del ponte Austerlitz, sul fiume Ibar, che divide in due la città. Evidente segno politico di divisione interetnica. Qui gli autisti sostituiscono la targa della propria autovettura per attarversare da una parte all’altra la città. Tutto è doppio, due sindaci, due differenti servizi sanitari, due amministrazioni locali. Se si “marca” su alcuni social media o GPS la posizione, si legge ancora accanto al nome della via la scritta “Serbia”.
Kfor è ora concentrata principalmente al nord dove tanti sono stati i risultati raggiunti. A Zubin Potok la Kosovo Security Force (Ksf), che svolge principalmente compiti di protezione civile e ambisce a diventare la forza armata del Kosovo, è intervenuta per la prima volta per supportare un’attività di ricerca nelle acque di un lago. Quest’area a maggioranza Serba era stata interdetta alla Ksf e il Comandante di Kfor ne ha promosso, autorizzato e coordinato l’intervento. Operazione che nella sua semplicità rappresenta un evento di altissimo valore nel delicato percorso di integrazione. Qui niente è scontato e ogni azione presa, parola detta e data deve essere improntata all’imparzialità.
Altra storia di collaborazione tra le due etnie, serba e albanese, è stata la costruzione da parte della Ksf di un ponte in prossimità del monastero ortodosso di Decane. Al termine dei lavori, il Ministro della Ksf, Agim Ceku e l’Abate del monastero, Padre Sava Janjic hanno inaugurato il nuovo ponte lungo 38 metri. Fotografia che fa ben sperare: assieme hanno tagliano il nastro. La riparazione di una strada di campagna a favore di una comunità serba nel centro del Kosovo assume un importante significato se a realizzare il progetto, anche questo promosso da Kfor, è ancora la Ksf. Ad aprile è stato anche riaperto il traffico aereo civile sui cieli del Kosovo. Oggi si può sorvolare questo spazio aereo lungo le rotte internazionali, grazie all’impegno delle autorità politiche delle nazioni limitrofe, delle organizzazioni internazionali per la gestione dei servizi di navigazione, della Nato e di Kfor.
Il Kosovo sembra dunque fare grandi passi avanti con la mediazione dell’Unione europea dove, come la Serbia, ambisce entrare. Kfor intende continuare la sua opera e l’Italia sarà ancora a capo della missione Nato. A settembre, il Generale Farina sarà avvicendato da un Generale dell’esercito italiano che si insedierà a Camp Film City e ne assumerà il comando.
In questi giorni in Kosovo l’attenzione è rivolta al fenomeno del terrorismo di matrice religiosa. Solo questa settimana 60 persone sono state arrestate dalla polizia kosovara accusate di aver combattuto in Siria e in Iraq nelle file dei terroristi islamici. Tra di loro ci sarebbero Imam ed esponenti di movimenti islamici sospetatti di avere contatti con le organizzazioni terroristiche Isis e Al Nusra. La polizia ha sequestrato ordigni esplosivi e armi. “Il Kosovo non sarà un rifugio di estremismo”, ha detto la Presidente Atifete Jahjaga. Intanto nei giorni scorsi il Genearale Farina ha incontrato a Film City i rappresentanti delle comunità cattolica, islamica e ortodossa in Kosovo che nel riconoscere il diritto di tutte le persone a professare la propria fede “Condannano fortemente chi invoca il nome di Dio per commettere atti criminali contro l'umanità, le religioni non giustificano l'odio e la violenza, Dio è la pace”.
Massimiliano Rizzo