Missioni fantasma. L'italia fa la guerra ma non si dice
In Afghanistan, Iraq, Siria e Libia i nostri soldati d'élite combattono battaglie vere, con dei morti. Ma la retorica li racconta come "impegni di pace"
In Afghanistan gli elicotteri Mangusta continuano a volare e sparano, come è successo pochi mesi fa. Solo che non se ne parla più. I corpi speciali hanno sempre fatto operazioni “combat” pure in Iraq. Per anni le unità di élite delle task unit Bravo e Alfa a Herat e Farah sono andate a caccia degli obiettivi di alto profilo indicati dalla Nato: i comandanti talebani da catturare. Ma non si può dire perché è una missione di pace» racconta a Panorama un veterano delle operazioni all’estero.
I cinque incursori dei corpi speciali feriti gravemente in Iraq il 10 novembre scorso hanno gettato una luce sulle «guerre fantasma» dell’Italia sempre smentite o mascherate dai vertici militari e governativi in nome del «politicamente corretto». In realtà, le unità d’élite che all’estero dipendono dal Comando interforze per le operazioni dei corpi speciali (CO.F.S.) dopo l’11 settembre 2001 hanno combattuto duramente per anni e, tuttora, dall’Afghanistan alla Libia, sono impegnati in missioni dove non si portano solo caramelle ai bambini. Lo dimostra il drone italiano MQ-9 Predator B precipitato nella zona di Tharuna, dove sono posizionate le truppe del generale Khalifa Haftar che assediano Tripoli.
Per far risaltare l’ipocrisia di politici e generali basta leggere le motivazioni delle medaglie conferite a chi è caduto nelle «guerre fantasma» degli italiani. Il tenente incursore Alessandro Romani del Nono reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin venne ucciso il 17 settembre 2010 a Farah, Afghanistan occidentale. Le ragioni delle decorazioni alla memoria, compresa la medaglia d’oro al valor militare, parlano chiaro: «Impegnato in un’operazione finalizzata alla cattura di elementi ostili, individuati in precedenza nell’atto di occultare un ordigno esplosivo rudimentale, ingaggiava con questi, unitamente alla propria unità, un violento conflitto a fuoco. (…) Colpito gravemente al torace (…) negli ultimi istanti di vita anteponeva il dovere alla propria incolumità, preoccupandosi del buon esito della missione e delle condizioni di salute dei suoi uomini».
In Iraq opera la Task force 44 con compiti anche operativi di «advise and assist», consigliare e assistere, e quindi non solo «di addestramento»: una cinquantina di uomini del Col Moschin e del Gruppo operativo incursori della Marina militare. La Difesa e il comandante delle operazioni speciali, il generale dell’Aeronautica Nicola Lanza de Cristoforis, si sono prodigati nel tentativo di mascherare come «addestramento» la missione che ha provocato il ferimento dei cinque incursori, tre del Nono e due della Marina.
Ricostruendo l’accaduto, hanno anche raccontato che erano appiedati, nonostante le ferite da amputazione facciano sospettare che fossero a bordo di un mezzo. E per di più sembrava che fossero saltati in aria quasi per caso. Poi lo Stato islamico ha rivendicato l’attentato e un giovane tenente dei corpi speciali curdi ha alzato il velo sul ruolo della Tf 44 in Iraq. L’obiettivo della missione congiunta (22 italiani e 25 peshmerga curdi) era un deposito di armi, munizioni e probabile fabbrica artigianale di trappole esplosive dei terroristi.
«Fin dall’inizio dell’anno la nostra unità conduceva con i corpi speciali italiani operazioni nella zona montagnosa di Palkana» ha spiegato Ranj Rizgar Noah, ufficiale dell’unità curda Hezakani Pshtiwany 2. L’area, vicina a Kirkuk, forziere petrolifero nel Nord dell’Iraq, è infestata da 80-120 militanti dell’Isis che la usano come base d’appoggio. «Noi eravamo davanti e gli italiani dietro» ha confermato il tenente. «Non diamo il via ad alcuna operazione senza i vostri corpi speciali, che sono sempre al nostro fianco e ci appoggiano con la logistica o quando dobbiamo evacuare dei feriti. Oltre a chiamare sempre in supporto due elicotteri da combattimento della coalizione alleata».
Gli incursori sono stati feriti da un ordigno improvvisato (Ied) mentre si stavano allontanando in segreto, alla fine dell’operazione, a bordo di un pick-up scoperto dei peshmerga. «Li ho visti saltare nel veicolo che era incolonnato dietro al mio» ha raccontato Rizgar Noah, poi trasferito a operare con i corpi speciali americani. In Iraq, gli incursori in usano mezzi non protetti per mimetizzarsi meglio con i curdi.
La Tf 44 addestra anche l’Emergency response division e la Golden division, le grandi unità irachene che hanno liberato Mosul. Però, durante la battaglia contro l’Isis nella «capitale» del Califfato, il ministro della Difesa Roberta Pinotti aveva imposto ai corpi speciali di restare a non meno di 7 chilometri dalla prima linea, a differenza di americani e francesi. Poi il caveat è stato superato, ma «la retorica delle missioni di pace ha nascosto per anni all’opinione pubblica le azioni di combattimento dei contingenti italiani incluse le attività delle forze speciali per loro natura riservate» afferma Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa.
In Afghanistan la gloriosa Task force 45 è stata sciolta con la fine delle operazioni Nato più importanti, ma sul terreno sono ancora impiegati più di 50 Ranger. Gli alpini paracadutisti del Quarto reggimento, che fanno parte dei corpi speciali e utilizzano una versione del blindato Lince per le truppe scelte. «Sono gli stessi compiti dell’Iraq, “advise and assist”, ma con le unità d’élite della polizia e dell’Nds (i servizi segreti afghani, ndr)» fa notare una fonte militare di Panorama. Reparti afghani che vanno a caccia anche di cellule dell’Isis.
Negli anni dei combattimenti più violenti nel settore occidentale c’erano 200-300 uomini del Nono Col Moschin, noto come Condor, della Marina, carabinieri del Gis e incursori dell’Aeronautica oltre ai Ranger. Fra il 2008 e 2010 la Tf 45 era impegnata in un’operazione «combat» a settimana. «Siamo andati anche in ricognizione verso il confine iraniano, sulle vie dei traffici di droga e armi» racconta un veterano dei corpi speciali. «E talvolta si usciva per provocare il contatto e stanare il nemico con un conflitto a fuoco».
La missione «Sarissa», approvata dal governo Prodi, ha compiuto centinaia di operazioni «combat» e raid per catturare comandanti talebani di una lista di un migliaio di «obiettivi» della Nato chiamati «high value targets». Chi ha partecipato sul campo spiega a Panorama come funzionava: «Gli americani le chiamano “cerca e uccidi” e noi “cerca e cattura”, ma è chiaro che quando il capo talebano non si arrendeva e cominciavano a volare proiettili, noi rispondevamo al fuoco e l’obiettivo finiva in orizzontale». La Tf 45 spesso ha portato con sé un procuratore afghano per l’arresto formale del comandante talebano messo nel mirino.
In Libia, uno dei fronti più caldi, gli incursori operano sotto il cappello speciale dell’intelligence «e lavorano bene anche in operazioni di combattimento» conferma una fonte di Panorama. Oltre al Nono Col Moschin è presente un distaccamento degli incursori di Marina. Al largo, sugli assetti navali della missione «Mare sicuro» ci sono reparti del San Marco e i Comsubin, sempre truppe scelte della Marina, pronti a intervenire in caso di attacchi alle piattaforme petrolifere offshore o anche a terra. Da presidente del Consiglio, Matteo Renzi fece approvare una legge che autorizza l’impiego in zone di crisi «di forze speciali della Difesa con i conseguenti assetti di supporto». Se fosse necessario, il premier può ordinare l’utilizzo di droni, elicotteri, navi e aerei. Non occorre un voto del Parlamento, ma è sufficiente informare il Copasir, il Comitato per la sicurezza della Repubblica.
Il 20 novembre scorso un drone Predator italiano, non armato, è stato abbattuto o è caduto per malfunzionamento a sud-ovest di Tripoli, nell’area di Tarhuna, sotto il controllo dell’Esercito nazionale libico, che assedia la capitale. Il velivolo senza pilota faceva parte del dispositivo «Mare sicuro», ma sorvolava la zona non certo in missione di contrasto dell’immigrazione illegale. Probabilmente «spiava» fotografando le posizioni di Haftar sul terreno.
Le truppe scelte italiane hanno l’immunità, ma agiscono sotto il cappello dell’intelligence «equiparate (...) al personale dei servizi di informazione per la sicurezza». Gli incursori fanno da scudo ai nostri agenti. Il problema è che su 1.600 uomini dell’Aise, all’estero sono solo 250 quelli impegnati sul campo. In Libia si avvalgono di una cinquantina di incursori come protezione e per l’appoggio al governo di Fayez al-Sarraj riconosciuto dall’Onu. I corpi speciali «fantasma» sono impegnati in operazioni segrete in un Paese devastato dalla battaglia per Tripoli e dove l’Isis, mai sconfitto, ha giurato fedeltà ad Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi, il nuovo Califfo.
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