Armando Cossutta, il custode dell'ortodossia comunista
Se n'è andato a 89 anni l'ex partigiano e storico dirigente Pci milanese. Della sua fedeltà a Mosca aveva fatto una bandiera
Se n'è andato anche Armando Cossutta, il più filosovietico dei dirigenti del fu Partito comunista italiano, l'ex partigiano che si era iscritto giovanissimo al Pci, dopo l'8 settembre 1943, partecipando alla Resistenza nelle fila delle Brigate Garibaldi.
Segretario del Pci milanese e lombardo per tutto il dopoguerra, era entrato in Parlamento nel 1972, restandovi fino al 2006, prima nel partito e poi, dopo il suo scioglimento decretato alla Bolognina, nelle fila di Rifondazione e, dopo la caduta del governo Prodi per mano di Bertinotti, in quelle del Partito dei comunisti italiani.
Osservarlo mentre sorseggiava, tutte le mattine, il té al bergamotto al Caffé delle Rose di Bonassola, la località del Levante ligure dove passava da decenni i mesi vacanzieri, ne resitituiva l'immagine non di un agit prop al servizio della Rivoluzione, ma di un custode dell'ortodossia marxista-leninista dai modi garbati e curiali, dall'eloquio tranquillizzante e pacato, senza i grilli per la testa né gli scarti di fantasia che aveva il suo eterodosso compagno di partito Pietro Ingrao, storico leader della sinistra interna del Pci.
Armando Cossutta era un funzionario di Botteghe Oscure del dopoguerra fatto e finito, cresciuto nel mito della resistenza di Stalingrado, della Russia sovietica, del socialismo reale, senza nessuna concessione ai "mattacchioni movimentisti" del 68 e del 77. Armando Cossutta - che molti sospettavano essere, dopo la svolta filo-Nato di Enrico Berlinguer, il principale beneficiario dei finanziamenti sovietici - era nel Pci degli anni 70 e 80 il più autentico difensore della memoria della Rivoluzione d'ottobre, della Chiesa comunista.
Chi scrive ricorda un pomeriggio nel 1991, quando Cossutta tenne un discorso in una sala affolatissima di anziani militanti nella storica sede del Pci, in via Volturno a Milano. L'implosione e la caduta dell'Impero sovietico, spiegò allora a quella platea che lo ascoltava in religioso silenzio, non era per il vecchio dirigente comunista il frutto di una sollevazione popolare che stava attraversando tutti i Paesi del Patto di Varsavia, ma il frutto avvelenato di un complotto della Cia, iniziato con la trappola afghana, continuato con i finanziamenti a Solidarnosc in Polonia e terminato con l'odiata Perestroika di Michkail Gorbaciov.
Qualcuno si alzò per chiedere al vecchio Armando se non riteneva che - quand'anche un fiume di denaro americano avesse realmente finanziato tutti i movimenti di opposizione nei Paesi socialisti - l'improvviso crollo dell'Urss non stava lì a dimostrare quanto fragile e impopolare fosse il potere sovietico in quelle società vendute per decenni dal Pci come il paradiso in terra. Il vecchio Cossutta non rispose. Si limitò a benedire come un Pontefice rosso, raccogliendo alla fine un tripudio di applausi. Erano tutti anziani militanti comunisti provenienti dalla Stalingrado d'Italia: la sua Sesto San Giovanni, la cittadella alle porte di Milano dove avevano sede le più importanti fabbriche del capoluogo lombardo e dove il vecchio Armando, giovanissimo, si era formato.