"Never Again", il movimento contro le armi negli Stati Uniti
Dopo March for Our Lives, gli sforzi devono concentrarsi sulle azioni per battere i candidati pro Nra nelle elezioni di midterm. Solo così si potranno cambiare le leggi
Le grandi manifestazioni di protesta contro le armi negli Stati Uniti di sabato 24 marzo, insieme a quelle delle settimane precedenti e a quelle che seguiranno - March for Our Lives - sono il frutto diretto del movimento "Never again" che chiede una maggiore ed efficace regolamentazione restrittiva dell'acquisto, del possesso e dell'uso delle armi da fuoco nel paese.
Che cos'è il movimento Never again
Never again è stato promosso e guidato dagli studenti della Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, Florida, la scuola dove il 18 febbraio di quest’anno un loro coetaneo, il diciannovenne Nikolas Cruz ha ucciso 17 persone, ferendone altre decine.
Avviato sui social network per ricordare compagni di scuola e amici uccisi e feriti a Parkland, si è presto trasformato, in parte grazie all'uso intelligente dei social network, in un movimento politico allo stato nascente, attorno allo slogan, proiettato sul futuro, "Never Again", Mai più. Del tutto privo di connotazioni ideologiche o esplicitamente vicine a un partito, il movimento si è focalizzato su un obiettivo semplice e facile da spiegare e condividere: chiedere alle assemblee legislative statali e federali di scrivere e approvare leggi che limitino fortemente l'accesso alle armi. La reazione scomposta della National Rifle Association (Nra), di molti repubblicani e di una parte dell'amministrazione Trump hanno dimostrato che i ragazzi hanno puntato il bersaglio giusto.
In poche settimane è diventato il movimento più coccolato dai media, dalle star del cinema, della musica e dello sport della storia americana.
C’è così tanto consenso per le richieste di questi ragazzi che "Never again", ha scritto Emily Witt sul New Yorker, appare come il movimento che nella storia meno si è opposto all'establishment politico ed economico o culturale del paese: noi vogliamo studiare, non abbiamo in mente rivolte, disordine e trasformazioni sociali. Vogliamo solo meno armi, dicono.
In tanti si riconoscono nel modello di protesta - pacifico, rispettoso della legge e dell’ordine - che sembra già diventato un paradigma da analizzare. Modello, continua Witt, formato da un mix di atteggiamenti e sentimenti pop, di cooperazione con istituzioni e aziende e di consapevolezza del privilegio socioeconomico che permette alle voci di questi ragazzi di risuonare più forti di altre voci.
Difficile anche contrastarne le parole d'ordine: gli slogan non sono mai divisivi; risultano urticanti solo per i fondamentalisti delle armi e i lobbisti della Nra
March for Our Lives
Sabato 24 marzo 2018 a Washington Dc e in decine di altre città degli Stati Uniti e del mondo, erano centinaia di migliaia, soprattutto ragazzi nati nel nuovo secolo o appena alla fine del ventesimo, insieme ai loro insegnanti e a molti dei loro genitori. Hanno urlato e cantato in modo fermo e pacifico la richiesta di “Never again”. Non vogliamo più morti e feriti causati dalla fissazione per le armi di una parte della società e dal mito culturale-antropologico del presunto diritto a difendersi da soli che hanno impedito finora una legislazione adeguata in materia.
"Attenzione, andremo a votare"
“Never again” ha un argomento forte, capace di unire: si rivolge al Congresso e dice che questa parte della società non è più disposta a tollerare l'inazione o addirittura la compiacenza nei confronti della Nra. Gli slogan del 24 marzo dicevano, fra l'altro, in modo semplice e pragmatico a rappresentanti e senatori che presto i partecipanti alle March for Our Lives voteranno.
Secondo i calcoli del Washington Post, dal 1999, anno di Columbine, quasi 200 persone sono morte in sparatorie nelle scuole americane e sono 187mila gli studenti che hanno assistito in qualche modo a sparatorie durante le ore scolastiche, in 193 istituti diversi.
Simbolo di questi ragazzi e una delle guide di "Never again" è la diciottenne Emma González, che si è distinta immediatamente dopo la strage di Parkland per la forza e l'efficacia comunicativa della protesta e le doti di leadership. Look che non si dimentica, discorsi brevi e studiati, carisma evidente.
Gli adulti ascoltano, ammirati
Nelle manifestazioni “March for our lives” molti adulti indossano magliette con “I stand with Emma” scritto sopra. Emma e i suoi compagni della scuola di Parkland in queste settimane hanno mantenuto alta l’attenzione sul problema armi e sulle loro domande e idee. Soprattutto usando in maniera intelligente e democratica i social media, con argomenti espliciti ma non semplicistici o aggressivi.
Le magliette di sabato con il nome di Emma sono state l'evidenza di come gli adulti, i genitori, gli insegnanti di questi ragazzi, si siano messi ad ascoltare le loro ragioni, le loro proposte; ma anche il loro dolore per i compagni assassinati e le ferite che molti portano nel corpo e nella mente. Come ha scritto Robinson Meyer su The Atlantic, chi si ricorda di un enorme raduno distribuito in molte città americane e nel resto del mondo, nel quale persone adulte si sono trovate per ascoltare degli adolescenti?
Nuove leggi sulle armi
Verrebbe da essere ottimisti: forse questa è la volta buona. La pressione congiunta dei ceti medi istruiti, di pop star, di grandi aziende che non vogliono in alcun modo essere associate a chi difende la possibilità di comprare fucili d'assalto senza controlli, soprattutto di giovani che voteranno per la prima volta al midterm in novembre e nelle prossime presidenziali, potrebbe finalmente obbligare il congresso e le legislazioni locali a rivedere la regolamentazione delle armi da fuoco e spingere il presidente Trump a remare in quel senso.
Certo, può anche andare diversamente. Può andare che queste restino solo testimonianze di dolore. Che la Nra si dimostri ancora una volta più convincente per i membri del Congresso, che Trump misuri cosa gli convenga di più - se tenersi i voti dei difensori del diritto alle armi senza se o senza ma o tentare di conquistare quelli di gruppi sociali che, comunque, potrebbero decidere di votare democratico indipendentemente da quello che lui decide di fare.
Un movimento che deve maturare
Steve Israel sul New York Times ha scritto che ora il movimento deve mettere a fuoco le tattiche, consapevole che la battaglia è nelle elezioni di midterm in quei distretti elettorali dove i rappresentanti repubblicani pro-Nra possono essere concretamente sfidati e battuti da avversari favorevoli al controllo delle armi. Insomma, dopo questa grande manifestazione che lascia euforia ma anche la paura di decidere cosa fare ora, per il timore che tutto torni come prima, il movimento deve crescere e maturare, diventare più politico.