John Legend: la recensione del concerto di Roma
Il cantante e pianista americano ha incantato gli spettatori del Teatro Sistina
Ieri sera il Teatro Sistina, tempio dei musical di Garinei e Giovannini, si è trasformato in un raffinato jazz club newyorkese in occasione dell’atteso concerto di John Legend, il maggiore esponente internazionale del movimento nu soul.
Lo storico teatro romano, in attesa dell’ingresso del talentuoso artista di Springfield, ha intrattenuto gli spettatori con i classici della black music del passato. Alle 21 sale sul paco un quartetto d’archi, la novità più interessante dell’All of me tour, dove sono banditi rigorosamente i suoni digitali.
Poco dopo fa il suo ingresso trionfale John Legend, elegantissimo con la sua giacca grigio perla, il papillon e il pantalone scuro. L’inizio del concerto è affidato alla sensuale Made to love, eseguita al pianoforte in una versione quasi jazz.
John prende il microfono e saluta il pubblico con “Roma, buonasera!”, annunciando poi il brano Tonight(Best you ever had), accompagnato dal contrabbasso e dalle percussioni, nel quale sfoggia il suo eccellente controllo vocale.
Legend si racconta in una sorta di recital, intervallato ogni tanto da qualche nota di pianoforte: “E’ così bello tornare a Roma, siete davvero tanti stasera. Le cose non sono sempre andate così bene, al mio primo concerto a New York, in un locale chiamato The living room, c’erano soltanto cinque persone, compreso il barista. La mia prima esperienza importante risale al 1998, quando ho suonato il pianoforte per Lauryn Hill in Everything is everything. Per sei anni non ho avuto nessuna etichetta discografica, è solo grazie a Kanye West che sono riuscito a coronare il mio sogno nel 2004 con l’album Get lifted”.
John attacca al pianoforte proprio Get lifted, irresistibile nel suo groove, seguita dal suo primo successo, Used to love you, che fa scattare in sala l’inconfondibile coro “La la la la la la la”.
Ancora un omaggio al suo primo album con il coinvolgente Number 1, accompagnato dalla band al gran completo, prima di ritornare a Love in the future con una versione acustica di Save the night, al termine della quale presenta i componenti del quartetto d’archi. E’ evidente la volontà di Legend di spogliare di ogni orpello elettronico i suoi brani, per mettere in risalto la loro componente emotiva e il pathos della sua voce.
Ecco che Maxine diventa una suadente bossa nova , interpretata dal cantante con la mano in tasca e l’atteggiamento gigione del giovane Frank Sinatra. “Mia nonna si chiama Maxine-ha raccontato l’artista di Springfield- e pensa che la canzone sia dedicata a lei. Evidentemente non ha ascoltato bene le parole”.
In Again John spiega il suo processo compositivo, che in genere parte da un riff di pianoforte, seguito dopo dalle parole, una volta individuato il tema del brano.
I ritmi si fanno di nuovo sostenuti con P.D.A(We just don’t care), scandito dal basso e da una batteria pulsante, accompagnata dal battito delle mani degli spettatori. Dopo un breve intermezzo d’archi, il cantante ritorna con una versione solo voce e chitarra di Save room, dove accentua, con il movimento del bacino, la sensualità del testo, per la gioia del pubblico femminile.
E’ quindi il momento della consapevolezza politica di Wake up everybody, incisa insieme ai The Roots, cui segue la carica di Green light, che fa alzare il pubblico dalle poltrone per ballare. Impossibile sedersi di nuovo, se il brano successivo è una cover di Rock with you di Michael Jackson, affettuoso omaggio a uno dei suoi artisti preferiti.
John ha ricordato la sua città natale, Springfield, dove il nonno era un predicatore della Chiesa Pentecostale, mentre i suoi genitori suonavano e cantavano nel coro gospel. Una grande influenza ha avuto su di lui la nonna, morta quando John aveva solo 10 anni, tanto che le ha dedicato una versione da brividi di Bridge over troubled water, classico di Simon & Garfunkel, ascoltato in silenzio religioso dal pubblico del Sistina.
Si ritorna di nuovo al presente con il nuovo singolo You and I, accompagnato da una batteria secca e da archi sognanti, e con Caught up, durante la quale Legend si toglie la giacca, suscitando i gridolini di approvazione delle calorose fan.
Arriva finalmente l’atteso momento di Ordinary people, una delle più belle ballad degli ultimi dieci anni, il cui coro viene eseguito all’unisono dagli spettatori, mentre in So high il cantante fa volare alta la sua voce, dimostrando che l’accostamento con un mostro sacro come Marvin Gaye non è così ardito.
Tutte le cose belle hanno una fine, così arriva il momento dei commiati: “Grazie Roma, sono stato benissimo stasera, spero che anche voi siete stati bene quanto lo sono stato io”. A giudicare dalla standing ovation che gli hanno tributato, la risposta è affermativa.
Il tempo di un bis, con la hit del momento All of me cantata in coro dalla prima all’ultima strofa, che conclude una serata magica.
John Legend ha fatto tesoro della lezione dei grandi del soul e del r&b, trovando una sintesi perfetta tra sonorità classiche e moderne, dimostrando che si possono vendere anche oggi milioni di album senza rinunciare alla qualità.
Ottima l’idea di spogliare le sue canzoni dell’elettronica, mettendone in evidenza la solidità melodica e armonica.
La sua voce ha impressionato per controllo e per modulazione, frutto della sua formazione giovanile in un coro gospel, alternando sapientemente potenza e dolcezza.
Più che un concerto, un vero e proprio show studiato in ogni minimo particolare, nel quale Legend ha fatto ballare, riflettere e commuovere per un’ora e quaranta, senza mai un calo di tensione. Si replica stasera a Padova. Un concerto da non perdere.