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Chiara Luxardo
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Myanmar: le 4 sfide di Aung San Suu Kyi

I militari, le modifiche alla Costituzione, la tutela della minoranza musulmana, lo sfruttamento delle risorse. La vera partita di "Madre Su" inizia ora

YANGON (MYANMAR) - La lenta conta dei voti delle elezioni birmane non soffoca i festeggiamenti fuori dal quartiere generale della National League for Democracy di Aung San Suu Kyi, dove la strada si è tinta del rosso del partito e del rap birmano nel minuto stesso in cui si sono chiuse le urne.

“Abbiamo vinto, la maggioranza, l’80%,” azzarda il 38enne Myo Thiha in quella che sembra inizialmente la boutade di un emozionato rivenditore d’auto di Yangon, salvo trasformarsi in un dato sempre più realistico con il passare del tempo. “Vogliamo la democrazia e abbiamo votato per Suu Kyi perché è la Signora della gente.”

Il portavoce del partito parla poi del 70%, mentre sullo schermo gigante che proietta i dati dello spoglio si legge una lunga lista di NLD.

La vera certezza è il sorriso di Madre Su, come viene chiamata dal ‘suo’ popolo il premio Nobel per la Pace, nella sua fugace visita all’indomani delle elezioni e nell’intervista alla BBC in cui dichiara di aver vinto il 75% dei seggi. Ci si prepara ad attendere almeno una settimana per i dati finali ma intanto la strada davanti al quartiere generale diventa giorno dopo giorno sempre più stretta, sempre più rumorosa, sempre più in festa. Il giornale governativo The Global New Light of Myanmar titola con un’ammissione di sconfitta che è di per sé la cifra di una svolta: ‘NLD domina il primo round dei risultati elettorali’.

E ora?

Ma se prima di formare un nuovo governo passeranno mesi, la domanda che già si pongono in molti di fronte a quella che sembra la vittoria a valanga del parito di Suu Kyi è: ‘E ora?’

Le aspettative sono altissime. Durante la campagna elettorale, la figlia dell’eroe nazionale Aung San ha dimostrato di avere preso rischi che l’hanno premiata su tutta la linea: non allearsi con i partiti etnici, non esporsi sui musulmani, non parlare di vendetta nei confronti della vecchia classe dirigente.

La sua immagine di paladina dei diritti umani è stata solo parzialmente intaccata dalle sue scelte di real politik, e la possibilità di una vittoria di queste proporzioni rimane il lieto fine di una transizione democratica iniziata dopo 50 anni di dittatura militare con il governo uscente di Thein Sein.

L'ombra dei militari

Ma queste percentuali nascondono anche il potenziale lato debole di questa transizione: l’opposizione del partito ancora al governo, l’Union Solidarity Development Party, verrebbe ridotta ai minimi termini, mentre i partiti etnici sembrano essere stati deglutiti dall’NLD. In questo quadro, l’unica vera alternativa al partito unico della National League for Democracy sarebbero proprio i militari. Una dialettica così ridotta da preoccupare non poco gli osservatori già poche ore dopo le elezioni.  

La costituzione del 2008 garantisce infatti al Tatmadaw – come vengono chiamati i militari - il 25% dei seggi in Parlamento, nonché il controllo di tre ministeri cruciali, incluso quello degli Interni. Anche nel caso di una vittoria così schiacciante, quindi, il dialogo con i militari sarà ineludibile.  

“Se Suu Kyi scegliesse un atteggiamento ostile, i militari sarebbero in grado di creare tensioni o disordini nel Paese. Né Suu Kyi può pensare di cambiare la Costituzione senza di loro o contro di loro,” spiega una fonte diplomatica informata dei fatti che non vuole essere nominata.

Primo banco di prova: modificare la Costituzione

La modifica della Costituzione è però da sempre una delle sue priorità, perché non solo mantiene i militari saldi ad un quarto dei seggi, ma le impedisce anche di diventare presidente in quanto vedova e madre di cittadini stranieri britannici. Sarà quindi questo il primo banco di prova per la Lady, insieme alla scelta di un presidente che le permetta di controllare i giochi senza creare un muro con i militari.

D’altro canto la Lady ha sempre sottolineato – quasi come in un tacito patto – di non volere vendette. ‘Conciliazione nazionale’ è stata la parola d’ordine anche alla vigilia delle elezioni, evidenziando la determinazione del Nobel di non voler fornire agli elementi più inflessibili del Tatmadaw alcun pretesto di intervento.

“Suu Kyi dovrà trattare assicurandosi che il cuore degli interessi dei militari non siano minacciati. Ma al tempo stesso il loro controllo sulle risorse naturali del Paese dovrà essere rinegoziato in modo tale che i benefici vadano a vantaggio dell’interesse pubblico e non privato,” ssottolinea Derek Tonkin, analista di Network Myanmar.

Le risorse naturali su cui investire

Il Paese, ridotto a fanalino di coda dell’area Asean da 50 anni di dittatura socialista, è infatti ricco di risorse naturali come la giada, business che ha fruttato milioni di dollari finiti esclusivamente nelle tasche di pochi elementi connessi alla ex giunta militare, come ha messo in luce un recente report di Global Witness.

Al di là della devozione per il mito, il popolo che l’ha votata si aspetta molto da lei, nei termini di un cambiamento tangibile delle condizioni di vita: “È l’unica leader in questo Paese di cui ci possiamo fidare,” dice il 29enne Bo Bo Jyaw attorniato da magliette e bandiere rosse.  

E questo è solo l’inizio delle speranze riposte in Aung San Suu Kyi all’indomani della vittoria dichiarata dal quartiere generale.

Il problema delle minoranze musulmane

La stessa comunità internazionale aumenterà le pressioni, in primo luogo sulla questione dei musulmani Rohingya. La Lady è stata a più riprese criticata per la mancanza di una presa di posizione netta a favore della minoranza, confinata in campi e ghetti nello Stato di Rakhine a seguito degli scontri con la popolazione buddista del 2012.

Dopo il dispiegamento di pragmatismo politico che l’ha portata a parlare di diritti umani “per tutti” svicolando sul problema specifico, ora difficilmente le si faranno sconti, mentre l’ostilità della popolazione buddista non è destinata a scemare.

“Una volta al governo, l’NLD non potrà ignorare la questione della cittadinanza [dei Rohingya] e anche se i parlamentari sentiranno la pressione del nazionalismo, ci sarà pressione internazionale affinché la crisi umanitaria venga risolta in maniera esaustiva” spiega Jorge Valladares Molleda, dell’International Institute for Democracy and Electoral Assistance.

Se è infatti vero che i birmani hanno rifiutato nel voto la retorica dell’odio dei nazionalisti di Ma Ba Tha e del monaco Wirathu, sono in pochi a credere che il fenomeno possa improvvisamente sparire.

Proprio la debolezza dell’opposizione in Parlamento contiene un rischio: dare vita ad una opposizione esterna non controllabile, fatta di etnie sempre meno rappresentate e dello stesso Ma Ba Tha.

Ma per Suu Kyi questi sono ancora giorni di festa e la musica, dal quartiere generale, continua a spandersi nel resto della città.

Chiara Luxardo
Negli appunti di una scrutatrice, la schiacciante maggioranza a faore della National League for Democracy - 5 novembre 2015

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Sara Perria