Myanmar, San Suu Kyi alla sfida delle elezioni
In vista della consultazione popolare dell'8 novembre in Birmania, il viaggio della nostra inviata con i sostenitori della leader dell'opposizione
L'otto novembre la Birmania (Myanmar, il nome ufficiale) andrà alle elezioni generali.
La voglia di cambiamento è palpabile in tutto il Paese: saranno le prime elezioni degli ultimi 25 anni a non essere boicottate dal principale partito di opposizione, la Lega Nazionale per la Democrazia guidata da Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace nel 1991.
Abbiamo viaggiato con i sostenitori di San Suu Kyi per tastare l'umore del Paese e capire cosa si aspetta.
Le strade sconnesse verso il delta
L’instabile camionetta su cui salgono quaranta sostenitori della Lega Nazionale per la Democrazia è troppo vecchia per assorbire i colpi delle sconnesse strade che da Gwa, cittadina nel nord del Myanmar, portano agli sperduti villaggi del delta.
Non sembra importare ai membri locali del partito guidato dalla leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi, impegnati a promuovere sotto il sole battente e le curve nauseabonde il leit motiv di ogni discorso della ‘Lady’: democrazia.
Siamo nello Stato di Rakhine, salito alla ribalta internazionale per le latenti tensioni fra buddisti e musulmani, degenerate nei mortali scontri del 2012.
For Myanmar's new president, an urgent task will be to make peace with ethnic groups https://t.co/k87RKhwGir pic.twitter.com/NtyAUruEr0
The Economist (@TheEconomist) 30 Ottobre 2015
La minoranza confinata nei ghetti
Da allora la minoranza musulmana Rohingya vive confinata in ghetti e campi simili a prigioni a cielo aperto.
Fatto che rischia di diventare uno dei talloni d’Achille del Nobel per la Pace Suu Kyi, la cui popolarità è intaccata su più fronti: i partiti etnici Rakhine la accusano di essere pro-islamica, facendo leva sul crescente nazionalismo buddista. La comunità internazionale, al contrario, le rinfaccia di non essersi esposta in difesa dei Rohingya neanche quando, lo scorso maggio, la tragedia della loro difficile – quando non mortale - fuga nelle mani di trafficanti di uomini verso altri paesi del sud-est asiatico è salita alla ribalta internazionale.
Il rischio di perdere voti è alto e il cammino verso la vittoria in quelle che vengono considerate le prime elezioni libere del Paese dopo 50 anni di dittatura seguiti da quattro anni di governo di transizione appoggiato dai militari non è scontato.
Un quarto dei seggi riservato all'esercito
Un quarto dei seggi del Parlamento è comunque riservato dalla Costituzione ai militari, rendendo la conquista di una maggioranza governabile ancora più ardua.
L’ostacolo maggiore è proprio la forte componente etnica del Paese del sud-est asiatico, attraversato da conflitti decennali contenuti solo in parte da un precario accordo di cessate il fuoco nazionale, firmato – ma solo da otto gruppi su quindici - il 15 ottobre.
I partiti etnici guadagnano popolarità e il tour in Rakhine, quasi annullato a causa dei rischi, si è rivelato una cartina tornasole significativa per testare la popolarità della figlia dell’eroe nazionale birmano generale Aung San e dare un'indicazione sul possibile esito delle elezioni.
Criticism bounces off Aung San Suu Kyi in minds of many in Myanmar ahead of election: https://t.co/riGpvmLGXy
The Associated Press (@AP) 30 Ottobre 2015
Fame di democrazia (forse)
Quando la camionetta del Partito si anima al suono di tamburi che ritmano l’acronimo ‘NLD, NLD’, un uomo si affaccia da una delle isolate case di bambu della giungla sventolando in risposta una piccola bandiera rossa con il simbolo del pavone del partito. La scena si ripete qualche chilometro più avanti, dove tirar fuori le bandiere davanti al cane che alza la testa sembra essere l’unico evento della giornata: la popolarità di Suu Kyi è arrivata fino a qui.
“Certo che vincerà lei, c’è fame di democrazia,” dice Mim Mim alla fine del discorso con cui la leder dell’opposizione ha calamitato le folle nelle tappe all’interno dello stato costiero che a nord confina con il Bangladesh.
Le speranze del partito sono ora che l’accoglienza riservata a Suu Kyi si trasformi in voti reali.
"Non fatevi manipolare"
In un Paese al 90% buddista, Suu Kyi ha invitato a non farsi manipolare da ideologie che alimentano l’odio religioso per fini secondari. Una persona del suo entourage spiega come solo una volta al potere potrà essere in grado di affrontare la questione musulmana, suggerendo prima la necessità di un atteggiamento “pragmatico”, “in un Paese dove il livello di istruzione è molto basso.”
La preoccupazione degli analisti, del resto, è che una vittoria netta dei Rakhine nell'assemblea regionali possa avere come esito un peggioramento delle condizioni della minoranza Rohingya, già relegata in campi e ghetti simili a prigioni a cielo aperto.
“A seconda dell’esito elettorale, c’è il potenziale per creare un vero esodo,” spiega l’attivista Chris Lewa, fondatrice dell’Arakan Project.
Ma non è solo sulla camionetta rotta che si rende manifesto l’entusiasmo per la vicina possibilità di cambiamento democratico incarnata dalla Lady, come Suu Kyi viene chiamata.
Kmunt Su, seduta di fianco alla stuoia dove dorme, si mette l’argilla in faccia secondo il costume locale indossando una maglietta del NLD, poi si dirige verso il monastero dove è attesa Suu Kyi.
Una madre che cambierà il paese
"Lei è la madre che può cambiare il sistema di questo Paese. La dittatura non è buona per noi."
Poi la Lady arriva, con i proverbiali fiori nei capelli e accolta da una fila di bambini con l’abito da festa e gli adesivi del partito in faccia.
Nel piccolo monastero 40 persone la osservano omaggiare i monaci di doni. La preghiera collettiva buddhista e il rito del tè vengono ripresi dagli smart phone degli anziani del villaggio.
Poi Suu Kyi si alza e ripete di nuovo di fronte alle migliaia della piazza della sperduta cittadina di Gwa: democracy.