Napoli: ecco come fermare le baby gang della Camorra
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Napoli: ecco come fermare le baby gang della Camorra

La proposta di un consigliere regionale: allontanare dalle famiglie i giovani malavitosi che aspirano a prendere il potere

Vincenzo, 13enne di Melito, Napoli, è l'ultima vittima del branco. È stato aggredito da baby criminali, piccoli aspiranti boss, e abbandonato in strada in una pozza di sangue. Per poco non lo hanno ammazzato. Il ragazzo, ricoverato all’ospedale Santobono è stato sottoposto ad un’operazione per la ricostruzione del naso, dopo aver riportato anche un fortissimo trauma cranico e la rottura della mascella.

"Il problema delle baby gang è oramai a livelli drammatici e fuori controllo - denuncia il consigliere regionale dei Verdi Francesco Emilio Borrelli - non solo a Napoli, legate ai clan della Camorra, ma in tutta la provincia. Nella gran parte dei casi le baby gang sono formate soprattutto da figli di pregiudicati e delinquenti”.

Censire i baby criminali e allontanarli da casa

Per questo motivo Borrelli suggerisce che sia necessario allontanarli dalle famiglie e affidarli a strutture adeguate: “Non solo bisogna abbassare l'età imputabile per questi giovani delinquenti ma è necessario sottrarli alle loro famiglie rapidamente prima che sia troppo tardi”.

“Quando vengono fermati dalle forze dell'ordine spesso vengono riaffidati agli stessi familiari che li hanno "educati" ad essere criminali fin da piccoli, che permettono loro di stare fuori casa anche in tarda notte senza alcun controllo e che gli regalano scooter potenti anche se non potrebbero guidarli”.

Il consigliere della Regione Campania, Francesco Emilio Borrelli, lancia una proposta che secondo lui riuscirà ad arginare l’escalation di questa violenza riconducibile ai gang di minorenni, ovvero effettuare un censimento dei baby criminali che si sono macchiati di gravi reati.

“Per fronteggiare il fenomeno dei micro criminali a nostro avviso è necessario censire tutti i figli dei delinquenti di Napoli e provincia che vivono con i familiari e sapere quando escono di casa obbligando i genitori a farli restare a casa la sera e la notte. Inoltre dovrebbero essere proprio i familiari a rispondere penalmente delle azioni illegali di queste baby gang".

È possibile o no attuare una proposta del genere?

Panorama.it, ha sentito il parere dell’avvocato Stefano Toniolo, Responsabile Divisione Penale dello Studio legale Martinez-Novebaci di Milano.

Avvocato Toniolo, sarebbe realmente possibile "censire" i baby criminali che si rendono protagonisti di efferati fatti di cronaca? Se sì, in quali situazioni? Ci sono delle limitazioni previste dalla Costituzione?

Per prima cosa, occorre precisare che nel nostro ordinamento possono essere chiamati a rispondere di fatti penalmente rilevanti coloro i quali hanno compiuto 14 anni di età. Al di sotto di questa età non esiste responsabilità penale, non essendo il minore imputabile.

Chi invece commette un fatto sanzionato dalla legge penale nel periodo che va dai 14 ai 17 anni è chiamato a rispondere innanzi al Tribunale dei Minorenni.

Ciò detto, l’annotazione per legge avviene sui vari certificati giudiziari e presso le banche dati della Polizia, oltre che ovviamente delle Procure della Repubblica e soggetti ad essa riferibili quali, a titolo d’esempio, i centri di accoglienza. Questo tipo di banche dati sono accessibili solo a soggetti autorizzati e per giustificati motivi, mentre al di fuori di queste ipotesi non è possibile accedervi.

Del resto, se così non fosse, verrebbe gravemente violato il diritto alla privacy e alla riservatezza del soggetto interessato.
Peraltro, ritengo che difficilmente potrebbe ritenersi costituzionalmente legittima l’istituzione di una lista di banche dati diverse da quelle sopra citate e liberamente consultabile da soggetti terzi.

La nostra Carta Costituzionale, infatti, offre una tutela pregnante allo sviluppo della persona, tale per cui, pur volendo operare un bilanciamento fra l’interesse del minore alla riservatezza da un lato e le esigenze di ordine pubblico dall’altro, prevarrebbe certamente la tutela del minore posto che, in caso contrario, si correrebbe il rischio condizionare per sempre e irrimediabilmente quest’ultimo nel suo sviluppo psicologico.

Si possono obbligare i genitori a non far uscire questi i ragazzi durante le ore notturne?

È prescritto che i genitori abbiano - in determinati casi – un obbligo di vigilanza del comportamento dei figli. In particolare, ai minori accusati di aver commesso gravi reati, qualora ricorrano specifiche esigenze, possono applicarsi misure cautelari, che in parte differiscono da quelle previste per i maggiorenni.
Tra queste è prevista la cosiddetta "permanenza in casa", che obbliga il minore a rimanere presso l'abitazione familiare e con la quale il Giudice può consentire al minore di uscire dall’abitazione solo in alcuni orari e per svolgere determinate attività.

Qualora la permanenza venga disposta presso l’abitazione familiare, i genitori sono appunto tenuti per legge a vigilare sul comportamento del minore.

Nel caso di violazioni agli obblighi impartiti o nel caso di allontanamento ingiustificato dalla abitazione, il Giudice può disporre la misura del collocamento presso una comunità.

È stato anche proposto di far rispondere penalmente i genitori di fatti gravi commessi da figli con età al di sotto di 17 anni. Alla luce del nostro ordinamento è mai possibile che ciò possa avvenire?

L’articolo 27 della nostra Costituzione prevede espressamente che la responsabilità penale è personale. Per questa ragione non sarebbe possibile estendere tout court ai genitori una responsabilità penale per fatti commessi dai propri figli minori.
Pur tuttavia segnalo che nel nostro ordinamento penale esiste già una norma che stabilisce che non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. In questi termini, ed entro determinati limiti, non può in teoria escludersi una contestazione in capo al genitore per fatti commessi dal proprio figlio.

Si tratta ovviamente di casi limite nei quali il genitore risponde personalmente, non propriamente per il fatto commesso dal minore, quanto per la propria omissione di un’azione doverosa e, cioè, per il mancato controllo sul minore.

Su questo tema si registrano alcune interessanti pronunce della Cassazione, emesse soprattutto in materia di violenza sessuale, che hanno ritenuto alcuni genitori responsabili per fatti commessi dai propri figli (o in danno degli stessi) quando, nonostante la conoscenza o la conoscibilità dell'evento e la possibilità oggettiva di impedirlo, questi abbiano deciso ugualmente di non intervenire.

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Nadia Francalacci