Firenze: il nuovo sindaco secondo Matteo
Alle primarie del Pd pochi votanti ma consenso bulgaro per Dario Nardella, il vice di Renzi. Che resterà il vero leader di Firenze
Renzilandia ha un nuovo principe ereditario. Dario Nardella, vicesindaco di Firenze, il 23 marzo ha vinto le primarie del Pd con l’83 per cento dei voti (lo batte non di molto Vladimir Putin in Crimea con il 97 per cento). "Mi sento un po’ il sindaco di Sofia" ha detto Nardella al termine di una competizione poco partecipata, appena 11.500 votanti contro i 37 mila del 2009, ai tempi di Matteo Renzi. Il nuovo candidato sindaco del centrosinistra è tornato a Firenze dopo un anno in Parlamento fra Camera, patatine San Carlo e trattative sulla riforma elettorale. Deputato, originario di Torre del Greco, classe 1975, Nardella nel 2009 fece campagna elettorale per il Consiglio comunale dicendo a tutti, associazioni culturali, caffè letterari, ristoranti fighetti della Firenze giovane, insomma tutto il mondo smart che piace alla gente che piace, che lui sarebbe diventato il prossimo assessore alla Cultura della nuova giunta. Matteo Renzi non lo accontentò: lo fece vicesindaco, dandogli la delega allo Sviluppo economico.
Poi cominciarono a saltare gli assessori, per dimissioni o promozioni. Appena qualcuno andava via, le deleghe passavano a Nardella, in versione assessore alle varie ed eventuali: Bilancio, Sport, al punto da meritarsi il titolo di San Sebastiano. Contrariamente ad altri renziani finiti in Parlamento nel listino bloccato (vedi Luca Lotti), Nardella i voti ce li ha: alle "parlamentarie" del 2012, a Firenze e provincia, prese 9.188 voti. Stavolta però la competizione vera è saltata.
Si sapeva in partenza che alle primarie per il sindaco, gli altri due avversari non lo avrebbero mai battuto. Le cose sarebbero andate diversamente se in campo ci fosse stato un altro sfidante, Eugenio Giani, presidente del Consiglio comunale, consigliere regionale, presidente del Coni provinciale e collezionista di altre presidenze, famoso per la sua ubiquità politica, grazie alla quale nella stessa sera, il Giani mangia l’antipasto al Coni, il primo in qualche associazione sportiva e il secondo alla cena sociale della Fiorentina. Per mesi i due si sono rincorsi in ogni iniziativa pubblica: c’era Giani, spuntava Nardella. C’era Nardella, spuntava Giani.
Alla fine Renzi ha convinto Giani a non correre alle primarie (sembrava dovesse toccargli un sottosegretariato, poi sfumato) e lo scontro fra renziani non c’è stato. A Nardella, evidentemente, sono bastati i cazziatoni che negli anni il presidente del Consiglio gli ha riservato. Per dire, una volta, quando era sindaco, lo beccò con l’auto blu del Comune, un’Alfa 159 grigia, mentre passava per piazza Signoria: lo redarguì, alzò il livello di pedonalizzazione ma soprattutto mise in vendita le macchine di Palazzo Vecchio. Quando c’era ancora Enrico Letta al governo, Nardella chiese le dimissioni del ministro Fabrizio Saccomanni dicendo che serviva un "politico, non un tecnico" (poco dopo arrivò una nota del coordinatore della segreteria del Pd Lorenzo Guerini che lo smentiva), nei giorni delle consultazioni rilasciò un’intervista al Corriere della sera per dire che il Pd avrebbe dovuto cambiare nome in Democratici, senza più la parola partito (Renzi in persona disse che quella era un’idea personale nardelliana).
In un anno di Parlamento non si è fatto mancare niente: è andato in tv, adesso la gente lo riconosce per strada e lui ne e compiaciuto, ha seguito la trattativa sulla legge elettorale con Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, ha frequentato i salotti romani, ha rafforzato vecchi legami, come quello con Salvo Nastasi, direttore generale del ministero dei Beni culturali, si è fatto pizzicare da Dagospia a promuovere al telefono, seduto alla Caffetteria, la patatina San Carlo, "l’unica vera patatina italiana" e quindi "non ha senso che a Eataly ci stanno gli altri", è stato bocciato al concorso per docenti in Diritto costituzionale ("Mi dispiace troppo. Comunque i commissari mica hanno detto che sono un ciuccio, eh?"; ciuccio sta per asino in napoletano), gli studenti del suo corso in legislazione dei beni culturali all’Università di Firenze hanno protestato con la presidente del corso di laurea, perché non si faceva trovare per fissare l’appello, lui ha spiegato che insegna a titolo gratuito e che, no, i suoi alunni sono assai contenti di lui. Festa grande a Mosca, pardon a Firenze. (twitter @davidallegranti)