«Al paesaggio non si può mettere il cappotto»
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«Al paesaggio non si può mettere il cappotto»

La proliferazione senza criterio di impianti eolici e fotovolatici da arginare. Le norme dell’Europa sulla casa green da rivedere. Edoardo Croci, neopresidente della storica associazione per la tutela del patrimonio storico e del territorio, si schiera contro la sostenibilità - che spesso è solo business - e le leggi assurde che non tengono conto di dove dovranno essere applicate

«Saremo una sentinella, molto informata, scientificamente motivata della bellezza del nostro paesaggio storico-monumentale-culturale e naturale, che non ha nostalgie del passato ma guarda a uno sviluppo armonico del Paese». Questo è il paradigma di Italia Nostra che si avvia - succede nel 2025 - a celebrare i 70 anni dalla propria nascita, che significa preservare, promuove e divulgare i cinquemila anni della nostra storia. Il compito è stato affidato al professor Edoardo Croci, eletto presidente nazionale il 5 ottobre scorso, che ha guidato per anni e continua a guidare l’associazione a livello milanese. Lo fa con una doppia anima: quella dello scienziato - è uno dei massimi esponenti della rigenerazione urbana sostenibile - quella dell’innamorato del proprio Paese che unisce competenze e passione per promuovere una qualità del vivere migliore. All’Università Bocconi ha creato il Sur-Lab, a Italia Nostra vuole concentrare un gruppo di esperti che suggeriscano come essere vigili senza essere percepiti come il partito del «no». Lo ha fatto anche da assessore ai tempi della giunta di Letizia Moratti - si occupava di mobilità e ambiente - lo fa da consulente tanto dei ministeri come del sindaco Giuseppe Sala: «Perché la scienza ha il dovere di mettersi a disposizione, di avanzare soluzioni». Questo abito propositivo è quello nuovo che Italia Nostra indosserà, senza rinunciare però a «valori non negoziabili». Ne possiamo indicare uno? «Siamo tutti d’accordo che dobbiamo fare in modo di mitigare il cambiamento climatico. Per primo faccio della sostenibilità non solo il mio campo di ricerca, ma il mio primo impegno, però non è accettabile che il paesaggio sia sacrificato con l’istallazione di pale eoliche, pannelli fotovoltaici ovunque. Una “mala” transizione. È il classico esempio di come le scorciatoie producono devastazione: l’eolico offshore, lo studio delle turbine di marea, la ricerca di fonti pulite e alternative al fossile devono essere le linee guida per evitare l’impatto sul paesaggio. In un Paese come il nostro dove tutto è stato determinato dall’opera dell’uomo non si possono assumere decisioni che mortificano la nostra identità e al tempo stesso deturpano l’eredità che abbiamo ricevuto. Insisto nel dire che noi dobbiamo tutelare anche il patrimonio naturale, ma si deve trovare un modo che tenga insieme le due funzioni».

Viene da suggerire: non sarebbe il caso di inserire, insieme con la valutazione di impatto ambientale, anche quella d’impatto paesaggistico? «Suggerimento preso al volo! Sì, bisogna fare in modo che questo precetto sia noto a chi propone l’opera, a chi la deve autorizzare e all’ente locale, a chi governa il territorio prima che il progetto prenda forma. Deve essere uno dei criteri di analisi sulla fattibilità dell’opera. Non possiamo demandare tutto alle Sovrintendenze, che pure fanno un lavoro egregio e faticosissimo dati anche gli organici ridotti all’osso, e che vengono consultate a cose fatte. Per cui poi si genera la polemica di turno: hanno bloccato tutto! No, bisogna far entrare la tutela dei valori paesaggistici, monumentali, culturali dentro le valutazioni di compatibilità dei progetti».

Un po’ quello che dovrebbe avvenire anche con le cosiddette case green, direttiva che sembra studiata sulle periferie del Nord Europa, ma francamente poco applicabile ai nostri centri storici. Difficile immaginare il cappotto termico a una casa in pietra del Trecento, impossibile pensarlo se si ha la sensibilità di Italia Nostra. «Anche qui» sottolinea Croci, «c’è da affrontare un cospicuo lavoro di studio e di affinamento della comunicazione del valore culturale, monumentale e storico delle nostre città e c’è un ricerca multidisciplinare da approfondire. È ovvio che la direttiva per le case green, così com’è concepita, non è applicabile in un abitato costruito nel Medioevo. Peraltro la stessa Commissione europea ha dato ampia deroga per gli edifici storici. Semmai è l’Italia che si deve ingegnare velocemente a fare la classificazione di questi immobili e deve individuare esattamente dove certi interventi - è il caso appunto del cappotto termico - si possono, anzi si devono eseguire e dove no. Ci restano due anni per compilare questo piano come l’Ue ha previsto. Così com’è evidente che anche qui non possono essere le Sovrintendenze, o soltanto queste, a fornire le indicazioni. A dimostrarlo stanno i danni che si sono prodotti con il bonus facciate: le Sovrintendenze non ce la fanno a soddisfare tutte le richieste. Serve porsi il problema come un’esigenza di carattere nazionale che prevede altre azioni: c’è un’edilizia che andrebbe demolita e ricostruita con i nuovi criteri e ce n’è invece una fetta consistente realizzata dopo gli anni Settanta dove gli interventi della direttiva sono possibili. E sappiamo che circa cinque milioni di edifici sono di valore storico. Ma bisogna appunto avere la capacità di dare ordine alla materia». Viene però legittimamente un’obiezione, quella che riguarda i borghi. Se nei centri storici di Firenze, Verona o Roma è immediata la percezione di valore, nei piccoli paesi che si stanno anche spopolando c’è il rischio della desertificazione, del degrado di quel patrimonio. «È un rischio che Italia Nostra ha ben presente tant’è che abbiamo fatto il grande progetto dei Borghi. Che proseguiremo e potenzieremo. Per la verità qualcosa anche a livello pubblico si è mosso: è poco, d’accordo, ma è un segnale. Va da sé che i borghi si possono ripopolare creando occasioni di residenzialità, di economia, di turismo compatibile e sostenibile, devono essere una priorità». Anche la rigenerazione urbana? «Sì, ma con grande attenzione; non possiamo abbandonare al degrado aree industriali, ma non possiamo neppure giustificare tutto. Servono spazi verdi, attenzione alla mobilità a impatto zero. Per esempio servirebbe far lavorare di nuovo le commissioni d’ornato, valutare attraverso di esse la qualità e la sostenibilità dei progetti».

È una missione che Italia Nostra porta avanti con oltre 200 sezioni che oggi mettono insieme tutela e valorizzazione del patrimonio storico-artistico-culturale, l’intangibilità del paesaggio e protezione del naturale. «Al nostro interno si è discusso della nuova formulazione dell’articolo 9 della Costituzione: le due azioni tutela, del paesaggio e del patrimonio naturale, possono e devono stare insieme. Un esempio? Lo abbiamo dato a Milano quando ci siamo imposti per la salvaguardia degli spazi verdi nella zona di San Siro. In fin dei conti si tratta solo di rispettare e amare la nostra Italia. Con Italia Nostra».

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Carlo Cambi

Toscano di nascita e di formazione (economico-giuridica) diventa giornalista professionista a 23 anni. Percorre tutto il cursus honorum a Repubblica fino a dirigere le pagine di economia. Nel 1997 fonda I Viaggi di Repubblica - primo e unico settimanale di turismo - che dirige fino al 2005 quando sceglie di vivere a Macerata insegnando marketing del territorio e incontra Maurizio Belpietro col quale stabilisce un sodalizio umano e professionale. Autore radiofonico e televisivo continua a occuparsi di economia ed enogastronomia. Ha scritto una trentina di libri. Il suo best seller? Il Mangiarozzo.

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