Nuove truppe Usa in Afghanistan: così Trump cede ai militari
Altri 4000 uomini che si aggiungono agli 8.800 già presenti e ai 6.500 degli alleati: pochi per domare il paese. Vittoria politica per il Pentagono
Dopo 16 anni di guerra e 2.300 americani morti. Dopo il disimpegno militare voluto da Obama che aveva ridotto a 8mila le truppe Usa nel paese rispetto alle oltre 100mila schierate per sconfiggere i Talebani, ecco che la Casa Bianca cambia nuovamente i piani sull’Afghanistan.
Lo fa inviando nuove truppe fresche (4mila) per "combattere il terrorismo". Questa enigmatica mossa, annunciata dallo stesso presidente Donald Trump dalla base militare di Fort Myers, segnala al contempo la vaghezza strategica della politica Usa in Asia Centrale e contraddice quanto annunciato dallo stesso Trump ancor prima della campagna elettorale che lo avrebbe portato alla presidenza.
All’epoca, infatti, Trump affermava con veemenza di volere il ritiro completo del contingente in Afghanistan: "quando la smetteremo di sprecare i nostri soldi per ricostruire l’Afghanistan? Ricostruiamo il nostro paese!" twittava nell’ottobre 2011. "È tempo di andarcene dall’Afghanistan" aggiungeva nel 2012, "qui è un completo disastro". E ancora "sono d’accordo con il presidente Obama sull’Afghanistan, dovremmo ritirarci velocemente dal paese" riferiva nel 2013.
Una chiara linea politica all’insegna dell’”America first” che è proseguita fino al dicembre 2015 quando, dopo la morte di un soldato americano in un attacco suicida, twittò: "Quando diventeranno forti e intelligenti i nostri leader? Ci hanno portato al macello!"
Questa promessa elettorale è la prima a essere davvero sconfessata: il 21 agosto 2017 Trump - che, comunque, ci ha abituato alle giravolte - ha annunciato la decisione d’inviare nuove truppe nel paese, sobillato dal Segretario alla difesa, generale James Mattis, dal Capo di stato maggiore Joseph Dunford, e dal consigliere per la sicurezza nazionale, generale H.R. McMaster.
Perché i militari vogliono le truppe in Afghanistan
Hanno vinto i militari, insomma. E da questo momento loro hanno il pieno potere: "Basta col micro-management da parte di Washington" ha sentenziato il presidente.
Ma perché si vuole mantenere i soldati Usa in questo quadrante in un numero così esiguo? Sembra quasi che sia una scelta maturata tra i soli corridoi del Pentagono, dove i militari lavorano per contare sempre di più all’interno dell’Amministrazione. Un semplice obiettivo politico, dunque.
Attualmente, in Afghanistan sono presenti circa 13mila effettivi del contingente internazionale nell’ambito della missione Nato Resolute Support, iniziata il primo gennaio del 2015. Di questi, 8.400 appartengono alle forze armate statunitensi (e poco più di mille all’esercito italiano).
Resolute Support sostituisce la precedente missione Isaf (International Security Assistance Force) inaugurata col benestare dell’Onu nel dicembre del 2001 contro al Al Qaeda e il regime dei Talebani, in risposta all’attacco contro le Torri Gemelle di New York ordito da Osama Bin Laden.
Risultati scarsi della guerra ai terroristi
Dopo tutti questi anni, solo l'uccisione di Osama Bin Laden, peraltro avvenuta in Pakistan nel maggio 2011, ha segnato un momento positivo nella lotta al terrorismo islamista. Per il resto, la situazione vede ancora Talebani e altre formazioni radicali - tra cui lo Stato Islamico, la cui presenza in loco è in fase crescente - bene insediati in numerose province e a capo del traffico internazionale di oppiacei.
Oppio
L’Afghanistan, infatti, è il primo paese produttore al mondo di oppio, da cui si ricava l’eroina: ben il 90% del totale distribuito nel mondo proviene da qui. Dopo l’invasione americana del paese nell’ottobre 2001, l’Amministrazione Bush Jr promosse la distruzione dei campi di papavero da oppio locali, finanziando l’allora governo del presidente Karzai con miliardi di dollari, nella convinzione che questo potesse costituire un argine al fenomeno.
Lo scopo era riconvertire i campi di oppio ad altre colture e al contempo garantire il lavoro ai contadini per eliminare i narcotrafficanti. Questo sistema, però, non funzionò e oggi l’Afghanistan è tornato a essere il primo produttore di oppiacei al mondo proprio grazie ai Talebani, che si sono sostituiti ai narcotrafficanti e ormai controllano e gestiscono l’intero mercato, con rendite elevatissime.
In Afghanistan, inoltre, il ruolo dei Talebani non si è mai limitato al narcotraffico poiché essi ambiscono al potere statuale. In questo senso, i negoziati che da oltre dieci anni si finge di voler intraprendere tra il governo di Kabul e queste forze antisistema, è sempre naufragato. "O noi o loro" sostengono in estrema sintesi i Talebani. Da qui, la decisione di ampliare la presenza militare.
La questione del Pakistan e dell’Iran
A Donald Trump aveva già fatto intendere il suo pensiero in passato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, affermando che sarebbero potute servire "alcune migliaia di soldati in più" in Afghanistan. Il quale oggi conferma: "La Nato rimane pienamente impegnata in Afghanistan e non vedo l'ora di discutere la strada da seguire con il segretario James Mattis e con i nostri alleati e partner internazionali".
In definitiva, però, la mossa appare sconclusionata e priva di grande efficacia, visto che poche migliaia di uomini in più non potranno fare la differenza, se le decine di migliaia sinora inviate a presidiare queste montagne impenetrabili non sono riuscite ad avere la meglio sui "ribelli".
A meno che non si voglia sostenere che si deve presidiare l’Afghanistan perché il paese rimane la base logistica principale di Al Qaeda, che i Talebani sono i loro principali sponsor e che il crescente peso dello Stato Islamico in questa regione va limitato prima che sia troppo tardi. Ma non è precisamente così.
O a meno che non si voglia ritenere che l’Afghanistan è strategico per limitare il Pakistan, contro cui Donald Trump ha tuonato: "Ha molto da perdere se continua a ospitare i criminali nostri nemici, mentre da noi riceve miliardi" temendo anche che l’arsenale nucleare pakistano possa un domani finire in mani sbagliate. O, da ultimo, a meno che il Pentagono non ritenga l’Af-Pak (Afghanistan-Pakistan) da occupare per impedire all’Iran di espandere troppo il proprio potere nella regione.
In ogni caso, l’unica cosa vera emersa dal discorso di Trump è che in quest’area vi sono "le più alte concentrazioni di terroristi al mondo". Ma la guerra al terrorismo non si combatte con formule già sperimentate e risultate fallimentari. Nessuno è mai riuscito a domare l’Afghanistan, eppure s’insiste a tentare.