Oltre il genocidio armeno: Papa Francesco rompe ogni silenzio
Turchia, Francia, Ucraina, Messico, Cile: dopo due anni di pontificato, la luna di miele tra Bergoglio e la diplomazia mondiale sembra essere finita
Il Papa scelto dalla «fine del mondo» ed eletto per riformare la Curia in pochi mesi è diventato un leader mondiale, corteggiato dai principali capi di Stato e di governo. Con indiscutibili successi: come la mediazione per far riaprire le relazioni diplomatiche tra Cuba e Stati Uniti. Ma dopo due anni di pontificato la luna di miele tra il pontefice e le diplomazie del mondo sembre essere finita. Bergoglio e il suo Segretario di Stato, Pietro Parolin, si trovano in queste ore ad affrontare una serie di fronti di crisi particolarmente caldi.
Anzitutto con la Turchia, che ha richiamato l’ambasciatore presso la Santa Sede dopo la condanna del genocidio armeno, compiuta da Papa Francesco in occasione dell’anniversario dei centi anni dalla quella tragica pagina della storia dell’umanità. Una reazione, quella da parte della Turchia, che non ha stupito il palazzo apostolico fermamente convinto di dover ribadire la condanna di quel genocidio già affermata, oltrettutto, da Giovanni Paolo II.
Più complicata la questione della Francia: con l’invito a rinunciare rivolto dal nunzio a Parigi, monsignor Luigi Ventura, all’ambasciatore presso la Santa Sede designato dalla Francia, Laurent Stefanini, già capo del protocollo del presidente della Repubblica François Hollande. Ma anche in questo caso non si tratta affatto di una svista: il problema non riguarda l’orientamento omosessuale di Stefanini ma le sue prese di posizione a favore del matrimonio gay.
Sull’Ucraina il problema è arrivato dai greco-cattolici, quando il pontefice ha definito guerra «fratricida» quella che per gli ucraini è invece un’aggressione da parte della Russia. La Santa Sede è dovuta intervenire per precisare la propria posizione che non è a favore né degli uni né degli altri ma difende il diritto dei popoli all’autedeterminazione e punta a favorire la riconciliazione.
Crisi anche con il Messico per le parole pronunciate da Francesco nel corso di un colloquio privato con un amico argentino e poi diffuse alla stampa, sul rischio di «messicanizzazione» dell’Argentina per la diffuzione del narcotraffico. Anche qui è stato necessario un intervento ufficiale per raffreddare le tensioni più un’intervista televisiva nella quale Bergoglio si è spiegato personalmente.
Resta infine ancora da sciogliere il nodo con il Cile, relativo alla nomina di monsignor Juan de la Cruz Barros Madrid nella diocesi di Osorno, dove viene accusato di avere insabbiato le accuse di pedofilia a carico di un sacerdote. Nomina che ha provocato le proteste delle associazioni delle vittime della pedofilia e l’irritazione del governo nonostante le rassicurazioni sull’innocenza di Barros da parte della Santa Sede.