Omicidio Kennedy: le 5 domande senza risposta
Il 26 ottobre 2017 scade la riservatezza sui file secretati. E Donald Trump vuole renderli pubblici. Cosa ancora non sappiamo e (forse) non sapremo mai
Declinati in trilogia, cinquina o decalogo (ma c’è chi è andato ben oltre) i misteri sulla morte di John Fitzgerald Kennedy sono tanti e imperscrutabili. Ci proverà ora Donald Trump. Il suo nome è uscito dalla partita a dadi giocata dal Destino col Tempo, dal momento che è toccata in sorte a lui la data del 26 ottobre 2017, quando scadrà la riservatezza sugli oltre 3 mila file secretati sull’assassinio di Dallas.
Vediamo allora i 5 punti più irrisolti della vicenda, le parole che da 54 anni a questa parte girano come atomi impazziti senza aver ancora trovato pace: Oswald, cospirazione, sovietici, CIA, Cuba, mafia, Vietnam, Lindon Johnson, Commissione Warren.
Chi era davvero Lee Harvey Oswald?
È questo uno dei pochi punti sul quale gli storici si attendono rivelazioni. Chi era davvero questo ex marine? Un agente della CIA, un agente dei russi? E perché andò in Messico pochi giorni prima di arrivare a Dallas e sparare a JFK tre colpi in rapida sequenza (o furono 4?) con un fucile di fabbricazione italiana? E CIA ed FBI stavano già seguendo Oswald e se sì, perché? Era uno dei loro o ne temevano le intenzioni? La teoria della cospirazione ruota tutta attorno alla distinzione tra esecutore materiale dell’omicidio, solo lui secondo la ricostruzione ufficiale, e i mandanti.
Cuba e Russia hanno un ruolo?
JFK ucciso da Castro per vendicarsi di Kennedy il quale a sua volta voleva eliminarlo? O forse per ricambiare l’attacco americano del 1961 alla baia dei Porci? Probabilmente no. Castro non aveva motivi per vendicarsi del tentativo d’invasione perché vinse la sfida, quindi la sua gratificazione l’aveva già avuta e poi, da avventuriero, non portava rancore contro chi eventualmente avesse voluto ucciderlo. Anche perché son sempre stati in molti.
I russi? Beh, il ruolo di cattivi nella Guerra Fredda in effetti è tutto loro ma perché serve un motivo concreto, non illazioni generiche. A furia di guardar fuori dai confini ecco spuntare il Vietnam, scenario di guerra sporca che ci riporta però dentro i confini nazionali, dove il “partito della guerra” (esercito, lobby di produttori armi e politici loro amici, con in testa il vice presidente Lyndon Johnson) voleva eliminare JFK il “pacifista”. E chi lo dice? Ma Hollywood naturalmente.
La pista interna è la più sicura?
Più della Commissione Warren incaricata da Lyndon Johnson di far luce sull’assassinio di JFK, ha potuto l’omonimo film inchiesta di Oliver Stone del 1992. È da quel clamore che nasce la Kennedy Assassination Records Collection Act e il relativo veto di 25 anni sui documenti. Tre ore di film e due Oscar (fotografia e montaggio) per smontare la Commissione Warren, smontare l’ipotesi dei comunisti (russi e cubani) cattivi a prescindere e suggerire la pista interna con alla regia un discusso uomo d’affari di New Orleans, Clay Shaw (la sola persona incriminata e poi assolta per l’omicidio di JFK) e all’incasso il “partito della guerra” finalmente libero di far sul serio laggiù in Vietnam.
E Robert Kennedy?
Cosa c’entra Robert Kennedy, detto RFK? Era il fratello minore di JFK, era stato il suo Ministro della Giustizia, ed è stato assassinato a Los Angeles in circostanze altrettanto oscure a 42 anni mentre correva per completare il sogno presidenziale del fratello maggiore, la grande battaglia per i diritti civili e la visione di JFK: “Non chiederti cosa il tuo Paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Paese.”
Si dice che l’America con JKF abbia perso la propria innocenza, e allora chiediamoci cosa ha perso con la morte di Bobby Kennedy, in questo solco d’odio incolmabile che ancora separa una nazione sfregiata non solo storicamente a Dallas e a Los Angeles, ma solo ieri a Charlottesville?
Perché ora?
Donald Trump si limita a osservare cosa prevede la legge del 1992, denominata Kennedy Assassination Records Collection Act con la quale si era posto il veto sulle carte di JFK.
Anche se gli storici più accreditati (non sono molti quelli in giro) rimangono scettici sul reale valore di questi file sinora inaccessibili, è di diverso avviso la CIA e il suo direttore, Mike Pompeo, che ha chiesto a Trump di mantenere il segreto di Stato.
La paura della CIA è che si scoprano brutte cose sul suo conto in relazione alla fine di JFK? Poco probabile, innanzitutto perché la buona reputazione non è quello che si chiede all’Agenzia, né qualcuno oggi potrebbe essere ritenuto responsabile per una cospirazione interna avvenuta mezzo secolo fa. Materia per gli storici, appunto.
Il nodo sono invece i rapporti attuali fra Tump e tutta la comunità d’intelligence americana, rovinati dal Russiagate e dal giorno in cui Trump parlò a braccio coi russi nello Studio Ovale, vantandosi tra le altre cose di aver licenziato il capo dell’FBI. Insomma tra questi due poteri non corre buon sangue e i file di JFK potrebbero essere materia di rappresaglia. La nebbia su Dallas in questo caso aumenterà, invece di diradarsi.