Il Papa in Colombia
EPA/LEONARDO MUNOZ
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Papa Francesco in Colombia: cosa ci è rimasto del suo viaggio

Messaggi di pace, riconciliazione, speranza. Ma anche condanna dei sicari della droga. Una missione pastorale a cui Bergoglio ci ha ormai abituati

Cinque giorni di corsa all'insegna della proclamazione della pace, della riconciliazione, della condanna di “fautori di morte e sicari della droga”, con particolare attenzione ai giovani “a non farsi mai derubare la speranza e la voglia di futuro”. Parole proclamate da Papa Francesco davanti a milioni di persone nelle 5 tappe toccate in Colombia, spendendosi totalmente nei tanti incontri avuti con le autorità, col clero, ma soprattutto con la popolazione che lo ha accolto come un padre che torna in mezzo ai suoi figli per aiutarli “a riprendere il vostro cammino troppo tragicamente interrotto negli anni passati per lotte fratricide, scontri senza senso che hanno portato solo morte, distruzione, lutti”, come lui stesso, Francesco (primo papa sudamericano) ricorda in tutte le principali tappe del viaggio, il diciannovesimo del suo pontificato.

Una missione pastorale messa a totale servizio del paese che lo ha ospitato “con grande amore, affetto, condivisione”, ricordando il determinante ruolo svolto da Bergoglio nel promuovere il dialogo tra guerriglieri delle Farc e istituzioni.

Speranza, dialogo e allegria

Parole che ricambia con altrettanto “amore, passione, condivisione”, donando tutto se stesso in ogni tappa, senza timore di qualche brutta sorpresa, che purtroppo arriva quando, distratto dai saluti della gente lungo le strade di Cartagena Francesco sbatte la testa contro il vetro della papamobile riportando una ferita al sopracciglio sinistro e al volto, perdendo anche un po' di sangue che gli macchia la veste bianca. “Come vedete mi hanno tirato anche un pugno in faccia, ma io sono qui”, scherza in seguito.

Piccolo incidente che non compromette il dialogo positivamente avviato appena atterrato a Bogotà, dopo che sull'aereo aveva invitato a pensare anche al “vicino Venezuela” per il quale chiede “una preghiera perché si possa trovare stabilità attraverso il dialogo”.

Dialogo e pacificazione auspicati anche per la Colombia nel suo primo bagno di folla di Bogotà “perchè possa andare avanti nel suo cammino di pace". E nel primo contatto con i giovani ai quali chiede invece di “non perdere la speranza, l'allegria, il sorriso: andate avanti così". E nella successiva Messa davanti a oltre un milione e duecentomila fedeli, non manca di infondere ancora “attese e speranza per la Colombia”, ricordando che  "moltitudini di uomini e donne, bambini e anziani abitano una terra di inimmaginabile fecondità, che potrebbe dare frutti per tutti".

"Ma anche qui, come in altre parti del mondo, ci sono fitte tenebre che minacciano e distruggono la vita". Tenebre – ha ammonito - “dell'ingiustizia e dell'iniquità sociale; le tenebre corruttrici degli interessi personali o di gruppo, che consumano in modo egoista e sfrenato ciò che è destinato al benessere di tutti; le tenebre del mancato rispetto per la vita umana che miete l'esistenza di tanti innocenti, il cui sangue grida al cielo; le tenebre della sete di vendetta e di odio che macchia di sangue umano le mani di coloro che si fanno giustizia da soli; le tenebre di coloro che si rendono insensibili di fronte al dolore di tante vittime". Tutte queste tenebre, ha avvertito, "Gesù le disperde e le distrugge con il suo comando sulla barca di Pietro: 'Prendi il largo'". E la gente lo ha subito capito.

La condanna dei sicari, le parole per i migranti

Come lo ha capito a Medellin, quando tocca tasti delicatissimi come la condanna dei venditori di droga e della pedofilia nella Chiesa. "Medellin mi porta la memoria ai sicari della droga. Mi evoca così tante giovani vite troncate, scartate, distrutte. Vi invito a ricordare, ad accompagnare questa processione dolorosa, a chiedere perdono per coloro che hanno distrutto le illusioni di tanti giovani". Chiedere che finisca questa sconfitta della giovane umanità", e per i "sicari della droga", chiede che "Dio converta i loro cuori".

Non si dimentica nessuno, papa Francesco. Nemmeno dei migranti “costretti a scappare dalle loro terre per sfuggire a guerre e sopraffazioni. Lo fa significativamente a Cartagena, la città di approdo nel '600 degli schiavi deportati dall'Africa, avvertendo che “occorre lavorare per la dignità di tutti questi nostri fratelli, specialmente per i poveri e gli scartati dalla società, per quelli che sono abbandonati, per gli emigranti, per quelli che subiscono la violenza e la tratta. Tutti costoro hanno la loro dignità e sono immagine viva di Dio". "Da questa città, sede dei diritti umani - aggiunge -, faccio appello affinché si respinga ogni tipo di violenza nella vita politica e si trovi una soluzione alla grave crisi che si sta vivendo e che tocca tutti, specialmente i più poveri e svantaggiati della società". Parole che, non è azzardato immaginare, caratterizzeranno anche il  ventesimo delicatissimo viaggio che papa Francesco farà a novembre in Myanmar e in Bangladesh.  

Per saperne di più

Alberto Pizzoli AFP/Getty Images
Un primo piano del Pontefice, con un piccolo ematoma sullo zigomo procuratosi sulla Papa Mobile. Cartegena, 10 settembre 2017

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Orazio La Rocca