Il male oscuro di Parigi
Il rogo di Notre Dame si unisce alla povertà dilagante, alle proteste dei Gilet Gialli alla speculazione immobiliare
«Abbiamo perso più di un monumento. Abbiamo perso un po’ della nostra anima!», dice la sindaca socialista di Parigi, Anne Hidalgo, mentre sono ancora calde le ceneri della guglia e del tetto di Notre-Dame. Passato qualche giorno, l’emozione per la cattedrale ferita si è ormai trasformata in cifre da capogiro di donazioni destinate a finanziare il miracolo della rinascita. Bene. Ma i parigini sanno che ci vuole anche altro per rilanciare l’anima della loro città.
Sono profondamente irritati da tanti fenomeni come sporcizia, insicurezza e disordine. Ci sono le catastrofi epocali ma anche i problemi quotidiani. Ci sono gli incendi. Quello del 15 aprile a Notre-Dame non è stato l’unico a sconvolgere quest’anno la capitale francese.
Il 17 marzo la chiesa di Saint-Sulpice, proprio quella che eredita a titolo provvisorio molte funzioni religiose della cattedrale, è stata a sua volta colpita da un grave rogo sulle cui motivazioni si cerca ancora di fare piena luce. In questo caso, diversamente da quanto accaduto a Notre-Dame (dove le fiamme si sono scatenate nella parte alta, in cui erano in corso lavori di restauro), l’incendio è partito dal basso della chiesa, vicino all’ingresso, e si è subito parlato di una sua «origine criminale». Nessun parigino dimentica gli incendi del 16 marzo nella zona degli Champs-Élysées : quel pomeriggio i «gilet gialli» hanno manifestato nella capitale (come loro abitudine ogni sabato dal 17 novembre 2018); gruppi di individui hanno dato alle fiamme il famoso ristorante Fouquet’s e un palazzo che al pian terreno ospita gli uffici di una banca. Una donna e i suoi bambini hanno visto la morte in faccia. Ognuna di queste vicende è una storia a sé. Non sarebbe giusto confonderle.
Ma nel loro insieme queste storie drammatiche (a cui si aggiunge l’incendio doloso che il 5 febbraio ha fatto 10 morti e 37 feriti in un palazzo chic della Rive droite) contribuiscono a creare tra i parigini una sensazione di amarezza e di sconforto. Di insicurezza. Tanti problemi scuotono questa città, che è in realtà molto più piccola e meno popolata di quanto in genere si creda. Se la conurbazione della capitale è enorme (una decina di milioni di persone), il comune di Parigi ha solo 2,14 milioni di abitanti e rischia di trasformarsi in una città-museo mentre alcune aree della «banlieue», a ovest della capitale, respirano dinamismo e attraggono investimenti a palate. Esempio. Una volta il polo dell’informazione (giornali, radio, tv) era nel centro di Parigi. Oggi ha lasciato la città di Anne Hidalgo e si è trasferito a cavallo tra Issy-les-Moulineaux e Boulogne-Billancourt. L’area delle vecchie fabbriche è diventata il regno delle nuove tecnologie. Insieme alle attività più avanzate e innovative, sono molte famiglie a lasciare Parigi per le città limitrofe, situate un po’ più a ovest.
Se almeno la Parigi-museo fosse pulita e tranquilla, come appunto si addice a un museo, i suoi abitanti e la marea dei turisti non potrebbero lamentarsi. Invece no. A lanciare il grido d’allarme è il settimanale Marianne, con una copertina-shock in cui si dice che «dietro la cartolina postale» esiste una Parigi-spazzatura dove pullulano immondizia, topi, cimici e schifezze d’ogni genere. Una città sempre meno sicura, con scene da Gomorra che attendono solo un Saviano per essere raccontate.
Una Parigi con sacche di povertà che dovrebbero preoccupare l’amministrazione comunale rosso-verde (socialisti, comunisti, ecologisti) così come preoccupano gli abitanti. Il numero delle persone che dormono nelle strade aumenta in continuazione e nessuno riesce ad affrontare efficacemente questo fenomeno. Le strutture d’accoglienza sono insufficienti. Campeggi improvvisati spuntano qua e là in condizioni igieniche disastrose. La chiusura della «giungla di Calais» e di altri luoghi in cui, nel resto della Francia, decine di migliaia di migranti vivevano in situazione precaria, non ha affatto risolto i problemi su questo fronte. Parigi si è trovata in prima linea e la giunta municipale è accusata dall’opposizione, dalla popolazione e dalla stampa di non aver compiuto scelte efficaci.
Per altre cose i parigini dovrebbero cominciare col prendersela con sé stessi. L’abitudine di praticare seriamente il tri sélectif, la raccolta differenziata dell’immondizia domestica, stenta a mettere radici. Certo ogni casa ha recipienti diversi per la spazzatura, ma la gente prende questo esercizio meno seriamente di quanto accade in altre città europee. Votare verde va bene, ma esserlo davvero può richiedere troppo sforzo. I servizi della nettezza urbana (7.500 persone su un totale di circa 50 mila dipendenti dell’amministrazione comunale parigina) fanno il loro mestiere, ma le strade e i marciapiedi sono più sporchi di una volta. Sempre più sporchi. Soprattutto in certe zone, la situazione è davvero preoccupante. E i topi ringraziano.
La giornalista di Marianne Anne Dastakian ha indagato proprio sulla presenza di questi roditori. Ha chiesto una spiegazione a Geoffroy Boulard, sindaco (di destra) del XVII arrondissement. Eccola: «Nel 2016 la piena della Senna ha fatto risalire i topi dal sottosuolo. I lavori, atualmente in corso un po’ ovunque nella capitale, e alcune installazioni inappropriate (i contenitori in plastica per l’immondizia non offrono alcuna resistenza ai roditori) contribuiscono a spiegare una certa recrudescenza. C’è infine da constatatare il diffondersi di comportamenti sbagliati, con gente che butta per terra gli scarti alimentari».
Insomma, i topi sono ovunque: dalle cantine ai giardini pubblici, dalle case alle scuole. I parigini si sono specializzati nella caccia ai topolini, che si infilano talvolta nei loro armadi. Monsieur et madame Dupont corrono a comprare le trappole. Ma il tipico radical-chic alla parigina (qui definito bobo, che sta per bourgeois-bohème), abituato ai viaggi avventurosi nei cinque continenti, perde la testa quando si tratta di eliminare l’animaletto rimasto impigliato nell’astuto marchingegno della caccia domestica. La figlia dodicenne del docente universitario chiede di liberare l’animaletto e magari di curargli le ferite. Alla fine la mamma, di professione psicanalista, distrae la ragazzina mentre il coraggioso papà lancia in strada, con la complicità delle tenebre, la trappola in cui è encora impigliato il malcapitato roditore. Scena di vita quotidiana nella Parigi del Ventunesimo secolo (tutto autentico tranne il nome Dupont). Autentico è anche il passaggio di rapidi e astuti topolini tra le bancarelle dei mercati alimentari nelle strade della capitale francese. Topolini dall’aria simpatica, ma non per questo più puliti.
Un’altra angoscia dei parigini viene oggi dal diffondersi di un particolare tipo di insetto chiamato comunemente punaise de lit (cimice del letto), all’anagrafe cimex lectularius. Lo stesso tipo di persone che vent’anni fa discutevano a tavola, con gli amici, a proposito dello sviluppo internazionale alla luce dell’evoluzione tardo-capitalista dell’Occidente, parlano oggi del modo in cui fronteggiare l’eventuale rischio delle punaises de lit, che hanno già messo in ginocchio i vicini del terzo piano. Solo le malattie (quelle vere e soprattutto quelle gravi) fanno ai parigini attuali più paura di quelle maledette cimici. E, a proposito di malattie, si parla del ritorno a Parigi della tubercolosi: 323 casi nel 2015, 372 nel 2016 e 403 nel 2017.
Nella Parigi del 2019 c’è anche un paradosso. I lavori pubblici, che stanno paralizzando la città e mandando in tilt il traffico, sono figli di una buona intenzione. Parigi vuole diventare più bella per le Olimpiadi, che è destinata a ospitare nel 2024 (un secolo esatto dopo gli ultimi Giochi d’estate svoltisi sul suolo francese). Per essere più attraente domani, Parigi è più caotica oggi. Nel caso di una città che gronda secoli, cinque anni (da qui all’apertura dei Giochi) sono pochini per farsi il lifting. Dunque si mette tutto a soqquadro. Il traffico è in crisi a causa dei «lavori in corso» (oltre che per la scommessa ideologica dei Verdi, che hanno ottenuto dalla sindaca Hidalgo la chiusura delle strade di scorrimento veloce, sugli argini della Senna). Così la circolazione rimonta in superficie e tutto si complica.
Poi ci sono i problemi comuni a moltissime città: il rumore, il pericolo dei monopattini elettrici e, alla faccia dei membri Verdi della giunta comunale, l’inquinamento (tra l’altro qui gli inceneritori sono situati dentro l’agglomerato urbano, esattamente al limite tra Parigi e la banlieue). Le giunte di sinistra, che dirigono Parigi dal 2001, hanno scommesso sulle biciclette e sulle auto elettriche in condivisione (sulla base di un abbonamento). Questo sistema, che sembrava molto promettente, è andato in crisi per le auto e ha registrato molte difficoltà anche per le biciclette.
C’è però un altro paradosso. Nonostante tutto, il prezzo degli appartamenti a Parigi non smette di salire da anni. Ha raggiunto livelli stratosferici, con i 10 mila euro al metro quadro che vengono ormai considerati «normali». Perché Parigi piace ancora. Piace sempre. Spesso piace agli stranieri più che ai parigini. È una vecchia signora piena di rughe, a cui magari scappa un bel ruttino, ma che è sempre capace di cavarsela con la battuta giusta. Le capita di appisolarsi, ma quando apre bocca per raccontare quel che ha vissuto, ti bevi le sue parole come il miele. La classe non è acqua.
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