Il trionfo di Colbrelli nel giorno più bello del ciclismo e della Roubaix del fango
L'immagine dell'italiano che batte gli avversari in volata dopo 6 ore nel fango con i protagonisti irriconoscibili riportano al giusti livello uno sport troppo spesso criticato
Una maschera di fango con sotto una storia bellissima. Non unica, perché spesso le storie dello sport lontano dalle vetrine glamour del calcio raccontano vicende di carriere costruite nella fatica e nel sacrificio, di bivi in cui la strada imboccata è stata quella per la gloria e di riflettori che si accendono alla fine, quando il tempo sta per scadere. Il trionfo di Sonny Colbrelli nel Velodromo di Roubaix sugella un 2021 irripetibile per lo sport italiano. Siamo ubriachi di gioia e di vittorie, abbiamo conquistato tutto quello che c'era da conquistare, dato lezione di football ai maestri inglesi a casa loro, spiegato il volley ai serbi davanti a migliaia di fedeli urlanti, sfidato la cattedrale del tennis, strappato al resto del mondo lo scettro di paese con l'uomo più veloce e quello che salta più alto in tutti. Altius, citius, fortius. E da adesso anche renitens, resistente o resiliente perché dietro la cavalcata di Colbrelli nell'autunno dell'Inferno del Nord c'è tutta la capacità di resistere che permea il ciclismo come pochi altri sport.
E' l'elogio del fango, quella maschera che ha reso il bresciano quasi irriconoscibile mentre metteva la sua ruota davanti a quella degli avversari dopo una giornata di fatiche bestiali. L'elogio delle carriere costruite nel silenzio, della preparazione quasi artigianale di un trionfo che ha riportato in Italia la Roubaix che mancava dal 1999 (Andrea Tafi) e che in questa era di corse sembrava troppo grande per i nostri eroi in bicicletta. Ha raccontato Pippo Pozzato, ex che frequenta ancora il mondo del ciclismo e che segue Colbrelli, di aver trascorso l'ultima settimana a discutere con lui di pressione delle gomme, atmosfere, tattiche e trucchi per restare in piedi in una gara che sarebbe stata ad eliminazione e che la pioggia ha reso leggendaria come da almeno un ventennio non accadeva. Il Covid l'ha costretta a traslocare dalla primavera all'autunno, il tempo del Nord ha fatto il resto e ci ha regalato una delle immagini più potenti di questo 2021 da sogno.
Colbrelli ha vinto la gara della vita a 31 anni: non giovane, ma nemmeno troppo in là per i tempi di una disciplina che è fatta anche di esperienza oltre che di doti fisiche e resistenza. Ha vinto da debuttante alla Parigi-Roubaix e questo, invece, è un autentico capolavoro perché il pavé con le sue insidie richiedono un tributo di sangue e conoscenze di solito indispensabile per potersi presentare da conquistatore. Ha vinto d'astuzia, marcando il più forte fino all'ultimo metro, ma anche con generosità perché nel fango e nella pioggia si era capito da un po' che la sua gamba era quella giusta e che l'occasione si presentava irripetibile. Ha approfittato della fuga romantica e molto sfigata di un altro italiano, Gianni Moscon, finito nel fango quando accarezzava il sogno di arrivare a Roubaix da solo come un certo Francesco Moser, l'italiano domatore dell'Inferno per eccellenza, capace di farlo suo tre volte di fila tra il 1978 e il 1980.
Ha vinto una maschera di fango con sotto un atleta vero, che per arrivare fino al Velodromo ha fatto anche due lavori contemporaneamente e che ha salito uno dopo l'altro tutti i gradini della fatica. Non un uomo da copertina anche se il suo volto mascherato, insieme all'abbraccio tra Jacobs e Tamberi sulla pista di Tokyo e a quello degli eterni amici Vialli e Mancini a Wembley resterà l'immagine scolpita della nostra lunga estate. Iniziata mentre si aprivano gli ombrelloni nelle spiagge e chiusa in una domenica infernale e leggendaria in cui un uomo in maschera, sepolto nel fango, ha alzato la testa per primo e davanti a tutti. Era italiano.