Parigi: siamo in guerra e dobbiamo reagire
Ora i paesi occidentali devono finalmente coordinarsi e combattere con unità di intenti politici per contrastare il terrore, senza paura
Ancora non l’avevamo capito. Ancora non ci era entrata nel cervello quest’idea che “siamo in guerra”.
Eppure non semplicemente i segnali congiuravano all’unisono in quella direzione.
La guerra era sotto i nostri occhi
Ma la guerra era già sotto gli occhi di tutti, nel modo che i guerriglieri dell’Isis intendono la guerra. Una guerra non guerreggiata ma “guerrigliata”, la stessa che fanno in Siria, in Libia, nel Sinai, in Iraq. In Europa. Secondo un principio lapalissiano e terribile: voi colpite noi, noi colpiamo voi. Voi ci colpite con gli aerei dall’alto in Siria. Noi vi colpiamo con le armi che abbiamo a Parigi (che conosciamo bene) e in Europa.
- LEGGI ANCHE: Cosa è successo al teatro Bataclan
- LEGGI ANCHE: Lo stato di emergenza a Parigi
- LEGGI ANCHE: Cosa è successo allo Stadio di Parigi
- LEGGI ANCHE: L'allerta in italia
Inutile ripeterci adesso che ci sono falle mostruose nella rete dell’Intelligence. Parigi era in teoria la capitale più presidiata del mondo dopo Charlie Hebdo.
E la falla dei servizi francesi è solo una parte della grande falla dei servizi occidentali che ormai, sul terrorismo e sull’Isis, sono (o dovrebbero essere) pienamente coordinati. Forse qualche “segnale”, in questo senso, c’era stato. Ma nulla di preciso, purtroppo.
Siamo tutti sotto tiro
La guerra di guerriglia dell’Isis è una guerra che usa il terrore non più contro obiettivi prevedibili, “sensibili”, ma sparando nel gruppo, anzi nella massa. Stadi, ristoranti, sale da concerto, centri commerciali. Siamo tutti in pericolo, tutti a rischio, ovunque. Oggi Parigi, domani chissà. Sono vicini, sono qui.
Le rivendicazioni del Califfato rimandano ogni volta a nuovi traguardi di orrore.
Roma e Londra sono evocate esplicitamente come nuove tappe, nuovi target (anche se rivendicazioni ufficiali non sempre ci sono, ma vengono affidate al tam tam della Rete jihadista).
E a Roma tra poco parte il Giubileo, occasione tragicamente ghiotta per i terroristi di tutto il mondo. Questo terrore diffuso, questa grande paura capillare, questa fragilità, dipendono anche dal fatto che l’ideologia totalizzante dell’Islam che ha idee molto nette, molto militanti, su quale modello di “Stato” (sì, Stato) creare, a livello non solo arabo e mediorientale ma globale, è un motore di consenso potentissimo nell’universo dell’Islam. Che ha infiltrato anche l’Europa.
Al contrario, l’Occidente ha dimostrato finora di essere un gigante d’argilla. Incapace di fare la guerra guerreggiata (contro quella guerrigliata), incapace di condividere una linea di politica estera e di sicurezza che sia una, incapace di mostrare i muscoli ma anche di usare il cervello.
L’America di Obama ha optato per la strategia del guidare “dalle retrovie”, la Francia ordina raid che risultano suicidi, scoordinati dagli alleati e utili quasi solo a marcare il territorio e rilanciare la “grandezza” patria.
Addirittura un pilastro della NATO come la Turchia (paese a stragrande maggioranza musulmana) ha chiuso per troppo tempo un occhio mentre i foreign fighters passavano la frontiera con la Siria.
L’Europa non ha saputo gestire né l’immigrazione, né i rapporti con i Paesi arabi, facendo guerre sbagliate come quella contro Gheddafi, in nome di una primavera araba che ha sortito l’unico risultato di rovesciare i dittatori garanti della stabilità e spianare il deserto ai tagliagole.
Urge cambiare politica. Armiamoci e contrastiamo il terrore. Senza paura.