L'impresa impossibile di liberare il Pd da Renzi
La Direzione di giovedì ha mostrato che è ancora l'ex segretario a dettare la linea di un partito ormai chiuso in se stesso e che ha rottamato non solo i vecchi dirigenti ma l'idea stessa attorno alla quale era nato: una nuova grande casa della sinistra
La pace del Pd non è durata neppure 24 ore. Venerdì a bettibeccarsi sono stati Matteo Renzi e Dario Franceschini, con la buona pace di Maurizio Martina che si astiene da ogni commento, per non rischiare il linciaggio.
Ancora una volta ad accendere la miccia della discussione è stata una dichiarazione dell’ex segretario che si è intestato il risultato di aver fatto fallire la trattativa con i 5 stelle per un possibile governo. Il ministro della cultura che invece era favorevole al dialogo, ha bollato le ultime esternazioni come “superficiali e sbagliate”.
Le dimissioni di facciata
L’ennesimo segnale che tutto gira ancora intorno a Renzi , che le sue dimissioni sono state solo un gesto di facciata e dentro al partito non è cambiato nulla in termini di equilibri.
Martina che nel corso della Direzione ha sposato la linea renziana ha portato a casa un topolino, ovvero la reggenza piena fino all’assemblea del Pd che verosimilmente si terrà l’ultimo weekend di maggio, quando sarà chiaro il quadro istituzionale e l’orizzonte temporale della legislatura.
Il prossimo segretario avrà il compito di compilare le liste elettorali e nel caso in cui si dovesse tornare alle urne nel 2019, i renziani avrebbero l’occasione per spazzare via definitivamente gli avversari delle minoranze, dopo la scrematura delle ultime elezioni politiche.
Questo spiega la linea morbida di Martina che conta su uno sparuto numero di parlamentari (tutti abbastanza silenti) e la ferocia di Renzi nel non voler mollare la presa.
Chiusi al Nazareno, lontani dal Paese reale
Ma al di là delle divisioni, l’impressione è che il Pd sia già un’altra cosa. Le direzioni e le assemblee degli ultimi mesi hanno mostrato dei rituali stanchi, dove le discussioni non raggiungono mai un confronto franco. Tutto è ripiegato ai voleri di Renzi e l'atteggiamento della classe dirigente sempre più lontano dal paese reale e i suoi guai.
Oramai la discussione si limita al pro o contro Renzi a dimostrazione che i temi sono scomparsi, come sono scomparsi dalla campagna elettorale. Tutto il dibattito si riduce al commento della dichiarazione del leader a scapito dei temi e delle questioni concrete che interessano le famiglie italiane e che hanno favorito i partiti antisistema.
Pd, partito imbuto
Il Pd da partito collegiale si è trasformato in un partito imbuto. Dalle sezioni si è passati ai piani alti del Nazareno o a casa Marcucci per le riunioni, a scapito delle assemblee dei circoli, buone solo quando c’è da eleggere qualcuno. Un partito sempre più stretto e chiuso in se stesso, lontano anni luce dall'intuizione che doveva portare il Pd a essere il nuovo contenitore della sinistra.
Questa trasformazione si deve a Renzi che per rottamare gli uomini del vecchio partito, ha finito per rottamarne le idee e il partito stesso.
Ma oggi è difficile immaginare un Pd senza Renzi, capace di liberarsi della sua ombra e riprendere quel sogno federativo immaginato da Veltroni dieci anni fa.
Non resta che aspettare per capire se Renzi deciderà di fondare un partito alla Macron lasciando il Pd o se sarà il Pd (e le minoranze) a traslocare altrove.