Le illusioni della patrimoniale
L'editoriale del direttore
Amici francesi residenti in Italia hanno già chiuso i conti correnti che avevano a Parigi e si preparano a chiedere la cittadinanza italiana. Si tratta dei primi effetti della cura Barnier, il quale, appena diventato premier, ha annunciato una patrimoniale sui più ricchi. Non è la prima volta che in Francia pensano di risolvere i problemi di bilancio del Paese mettendo le mani in tasca ai cittadini danarosi. Il primo a inaugurare la serie di prelievi fiscali a carico dei milionari fu François Mitterand, che nel 1981 inventò l’«Impôt de solidarieté sur la fortune», facendo fuggire un po’ di imprenditori, tra cui Bernard Arnault, che per tre anni si trasferì in America. Anche François Hollande pensò di aumentare le tasse sui magnati e di nuovo il patron del gruppo Lvmh minacciò di fare le valigie e di traslocare in Belgio.
Già, perché i veri ricchi, quelli che hanno patrimoni miliardari, ci mettono un attimo a spostare la propria residenza fiscale. Se la maggioranza dei gruppi industriali e finanziari, anche italiani, ha sede in Lussemburgo, Olanda o Irlanda, una ragione c’è. Questo per dire che chi ha uno stuolo di consulenti da mettere al lavoro per trovare la soluzione giusta non fatica a sfuggire alle pretese eccessive del Fisco, nelle cui grinfie alla fine rimane chi ha qualche proprietà immobiliare, magari ereditate dai genitori, e un lavoro che non gli consente di emigrare. Insomma, quando a sinistra promettono di attuare misure che facciano piangere i ricchi, s’illudono. I miliardari continueranno a essere tali: al massimo saranno costretti a cambiare indirizzo. E a piangere sarà quel ceto composto da piccoli imprenditori e manager che certo ha raggiunto il benessere, ma che pure non si può definire nababbo.
Del resto, anche noi in Italia abbiamo avuto un esempio di come la tassa patrimoniale colpisca la fascia intermedia dei contribuenti. Credo che tutti ricordino che cosa accadde nel 2011 quando Mario Monti, subentrato a Silvio Berlusconi, varò l’Imu, l’Imposta municipale sugli immobili. Per far cassa, l’ex rettore della Bocconi non guardò in faccia a nessuno, ma il risultato fu una perdita di valore dell’intero settore, che dopo anni di crescita ininterrotta non soltanto fu colpito dalla crisi, ma a lungo faticò a riprendersi. Non so quale sia stata la perdita per lo Stato, che ha dovuto rinunciare agli introiti delle tasse sulle compravendite, tuttavia mi sono noti gli effetti che l’introduzione dell’Imu ha avuto sui consumi nazionali. Siccome gli italiani considerano l’investimento nel mattone una forma di risparmio per il futuro (come in effetti è), tutti grazie alla nuova imposta si sentirono non solo un po’ più poveri, ma anche più esposti all’arbitrio fiscale e dunque meno propensi a spendere, con un effetto depressivo sui consumi. Che poi è ciò che accadde anche molti anni fa quando, di notte, l’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato, mise le mani sui conti correnti degli italiani, prelevando il sei per mille sui risparmi. Una stangata giustificata da esigenze di cassa, che tuttavia non soltanto non evitò alla lira l’uscita dal sistema monetario europeo, ma generò una sfiducia nei confronti della classe politica, che per anni ci ha accompagnato.
Purtroppo, visti gli esempi in Francia e le pressioni di Bruxelles, il prelievo forzoso sui patrimoni sta ritornando di moda. Per lo meno a sinistra. Infatti, Elly Schlein ha rispolverato le vecchie proposte di stangata sui patrimoni avanzate in passato dai compagni e le ha trasformate nella sua linea di politica economica, pensando che tassare i ricchi dovrebbe far contenti i poveri, i quali sono certamente più dei primi. Temo purtroppo che stia sbagliando i conti. E non solo perché, come abbiamo visto, le imposte sugli immobili e sulle attività finanziarie non portano grandi introiti e fanno…