Pd, i limiti della "new company" Calenda per rottamare Renzi
Il manifesto per andare oltre il Pd dell'ex ministro è più una ricetta di un manager che vuole mettere ordine in un'azienda disastrata che un progetto politico
Il piano di Carlo Calenda era noto da tempo.
L’ex ministro che non è sceso nell’agone elettorale, ma non si è risparmiato per tirare la volata a Emma Bonino e Paolo Gentiloni durante la campagna elettorale, ha presentato ieri il suo manifesto di 5 punti.
L’ex ministro oggi si pone nei confronti del Pd, come un commissario liquidatore si pone con un’azienda in fallimento. Quando Calenda che alle spalle ha una lunga esperienza di manager in grandi aziende, dice che bisogna andare “oltre il Pd”, intende dire che quella è una bad company da lasciare a quei volti che l’hanno ridotta così, a partire da Matteo Renzi e le sue truppe cammellate.
La new company di Calenda
Nel progetto di una new company repubblicana invece, Calenda vuole recuperare tutte quelle energie positive che in questi anni non hanno trovato spazio nel PD perché schiacciate dalle logiche delle correnti. Così entrano in gioco Claudio De Vincenti, Roberta Pinotti, Giorgio Gori e persino l’ex sindaco grillino di Parma, Federico Pizzarotti.
Il disegno di Calenda si completa con Nicola Zingaretti segretario e Paolo Paolo Gentiloni futuro candidato premier. I due per ora tacciono, ma da tempo rappresentano la nuova leadership della sinistra, uno con il "modello Lazio", l’altro con l’esperienza a Palazzo Chigi che lo ha portato in vetta all’indice di popolarità tra gli elettori.
Probabilmente in un altro partito, Gentiloni avrebbe avuto più spazio durante le elezioni del 4 marzo.
La visione del tecnico applicata alla politica
Non bisogna cadere nel tranello però. La visione calendiana non è tanto una visione politica, piuttosto quella di un ex ministro che durante la permanenza al Mise ha gestito parecchi tavoli di crisi e oggi si trova a voler dare il contributo a quell’azienda in crisi chiamata Pd.
L’approccio è quello pragmatico delle soluzioni e delle ricette, tanto che Calenda nel suo piano, ancora non ha svelato il suo ruolo una volta risanata questa azienda e la frattura con gli ex elettori del PD.
Il partito da mesi galleggia, oltre ad avere perso le elezioni ha anche perso di incisività.
Dopo la falsa uscita di scena di Renzi, che aveva promesso due anni di silenzio, si è scoperto il bluff della reggenza Martina eterodiretta dall’ex segretario e dal suo emissario diretto Matteo Orfini. Così il partito non riparte e oggi chi tiene saldo il timone è il primo a criticare la proposta arrivata da Calenda.
Da papa straniero a pericolo numero 1
In poche settimane, l’ex ministro è passato da essere l’uomo più acclamato come “papa straniero” al Nazareno, al pericolo numero uno per i leader di ieri che stentano a mollare la presa anche di fronte al disastro. Il tesserato del 5 marzo, oggi propone di lasciarsi alle spalle chi ha sperperato quel 40 per cento di consensi a colpi di hashtag e presunzione, portando all’interno del centrosinistra scissioni e continue lacerazioni.
Il reggente Maurizio Martina ha respinto la proposta di Calenda dicendo che ancora una volta si finisce per parlare di nomi.
Vero. Ma i nomi altro non sono che storie, percorsi e credibilità politiche e quello che viene proposto oggi non è poi così diverso da quello che fece Renzi, quando da Firenze lanciava l’idea di rottamare una vecchia classe politica considerata non più in linea con i tempi.
Sono passati diversi anni e sul Pd pesa un’eredità pesante, fatta soprattutto di una serie infinita di errori targati Renzi. Quindi come spesso accade, Calenda propone di accettare questa eredità con quello che si dice “beneficio d‘inventario” ovvero gli errori restano a Renzi e lui propone qualcosa di nuovo con il buono che nel partito c’è e che è ora di mettere in risalto.
D’altronde molti da tempo stavano aspettando che Renzi lanciasse il suo partito sulla falsariga di quello di Macron, ma deluse le aspettative, Calenda propone alle forze migliori del Pd di fare le valigie e andare oltre il Pd, oltre il populismo e rimettersi in moto per arrivare pronti alle prossime elezioni che nei piani dell'ex ministro potrebbero tenersi entro un paio d'anni.
Che piaccia o no, questa è la ricetta del manager arrivato a rimettere in sesto questa baracca in crisi.
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