La settimana nera del PD
Il Partito democratico, dilaniato dalle polemiche precongressuali e da eventi ulteriori che ne stanno incattivendo il carattere e indebolendo lo spirito.
E va bene, l’Italia politica ha passato l'ultima settimana a parlare del caso Cancellieri. Ma non c'è stato soltanto questo. È accaduto di più, molto di più. Soprattutto dentro il Partito democratico, dilaniato dalle polemiche precongressuali e da eventi ulteriori che ne stanno incattivendo il carattere e indebolendo lo spirito. Eventi che la cronaca mediatica ha reso secondari e però sono sostanziali.
Questione morale/1.
Sui territori i militanti cominciano a non poterne più. Ricordate quando in giro per l’Italia nasceva OccupyPd? O la campagna «Mobbasta» via Twitter e web («I 101 traditori, il governissimo, la mozione Giachetti, gli F35, la sospensione dei lavori della Camera, il caso Alfano: mobbasta. Fino a che punto dobbiamo rinnegare noi stessi?»)? A Bologna hanno fatto il bis. Gli iscritti hanno preso d’assalto il partito, via email e telefono, per chiedere le dimissioni di Marco Monari, capogruppo regionale del Pd. Proprio il Monari di cui l’inchiesta sulle spese pazze in regione ha rivelato i conti di ristoranti e alberghi (famose le due notti trascorse a Venezia, 1.100 euro). Monari ha dovuto autosospendersi dall’incarico.
Al di là del problema giudiziario, scuote la testa Virginio Merola, sindaco di Bologna, c’è «un aspetto etico, ci sono comportamenti individuali che non vanno bene». Il Pd «ha una base molto reattiva su questi temi. Bisogna tenerne conto».
Questione morale/2.
Nelle stesse ore, a Monza andava in scena il processo sul «sistema Sesto» e spuntavano le buste farcite di soldi (3 milioni di «prestiti» in 13 anni) elargite dall’imprenditore Piero Di Caterina a Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano ed ex capo della segreteria di Pier Luigi Bersani. «Preparavo io le buste, scrivevo sopra i nomi che lui mi indicava. Ho assistito alla consegna delle buste solo in qualche occasione a Penati»: così Giulia Limonta, assistente di Di Caterina. Non c’è, agli atti delle cronache politiche, una sola presa di posizione del partito da Roma, né autonoma né su richiesta dei giornalisti. Imbarazzo, opportunismo o entrambe le cose?
Stabilità instabile.
Il segretario (pro tempore) Guglielmo Epifani chiede l’aumento dell’aliquota applicata alle rendite finanziarie. Il ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, risponde che non si può fare. Giorgio Santini, relatore della legge di stabilità, replica ancora che invece sì, tassare di più le rendite si può. È soltanto un esempio: nel Pd tutti pensano di avere idee per migliorare (in teoria) la legge di stabilità, al punto di scontrarsi (spesso sotterraneamente, almeno per ora) su questioni di principio avvelenate però dal clima congressuale. Ognuno, anche attraverso l’ex legge finanziaria, cerca di portare acqua alla propria mozione, al proprio leader e a se stesso. A costo di vendere l’anima al diavolo.
Caos iscrizioni.
Tessere gonfiate come ai tempi della vecchia Dc, denunce ai garanti, alleanze geneticamente modificate tra correnti incompatibili: ai congressi locali si è visto di tutto. In Calabria, Puglia, Sicilia e Ciociaria renziani e cuperliani si accusano a vicenda di avere trafficato con tessere false, truppe cammellate, infidi e voltagabbana. Hanno ragione tutti e nessuno. Perché in periferia non ci sono stati apparentamenti ufficiali con i candidati nazionali, quindi chiunque poteva mettersi l’etichetta preferita in base a logiche (e convenienze) strettamente indigene. «Noi non abbiamo messo alcun bollino blu, né abbiamo distribuito attestati di renziani doc» dice David Ermini, deputato vicinissimo al sindaco di Firenze. Con il risultato che chiunque poteva dirsi renziano. Le polemiche per la conversione dell’ultim’ora di Stefania Pezzopane, senatrice abruzzese ed ex bersaniana di ferro, sono state la punta dell’iceberg: la guerra tra renziani della prima e della seconda ora è stata drammatica.
I Morrenziani.
Prendiamone atto: il nuovo che avanza nel Pd ha per simbolo la faccia bonaria del neosegretario provinciale di Torino, Fabrizio Morri. Ex Pdup, ex Pci, passato al Pds indi ai Ds e poi al Pd, storico portavoce di Piero Fassino, due legislature alle spalle: insomma, a 59 anni il buon Morri dovrebbe essere l’emblema del rottamando. Invece no, è il campione dei rottamatori sotto la Mole. Di fatto è una sorta di Frankenstein. L’hanno sostenuto gli uomini di Fassino ma anche l’ex anti Fassino per eccellenza, il renziano Davide Gariglio. E poi Giusy La Ganga, ex socialista con un patteggiamento per tangenti, oggi consigliere comunale del Pd, che però ha annunciato che alle primarie nazionali voterà per Cuperlo. Quanto ai renziani doc, beh, molti hanno votato per un candidato di area Cuperlo, Matteo Franceschini. Ecco, benvenuti nel Pd 2.0 che, in attesa della vittoria di Renzi l’8 dicembre (70 per cento dei voti secondo il sondaggio sbandierato dal suo comitato elettorale), sembra precipitare vertiginosamente nell’entropia.
Carne da congresso.
«In queste ore tanti vorrebbero stracciare le tessere, anche tra i nostri eletti. C’è chi l’ha già fatto. Quando si scavalcano i militanti, il partito cessa di avere un senso come luogo di partecipazione e confronto». Lo dicono e lo scrivono, da Asti, 16 iscritti al Pd invocando «un sussulto di dignità» di fronte a una «pagina indegna della nostra storia politica»: in quattro ore si sono tesserati 341 sconosciuti, di cui due terzi albanesi. «Molti dei tesserati sono disoccupati, migranti, famiglie in difficoltà, gli stessi che la nostra storia politica ci impone di tutelare e che invece abbiamo scelto di sfruttare come carne da congresso». Troppi «migranti, extracomunitari e rifugiati» anche ad Arpino, in Ciociaria. Troppi senzatetto a Roma. A Empoli, secondo il bersaniano Vannino Chiti, c’erano «file di immigrati», mentre al Lingotto «si sono presentati 15 cinesi che non parlavano italiano ma avevano in mano un foglietto con il nome da votare» racconta la deputata renziana Silvia Fregolent. Delle irregolarità è stata chiamata a occuparsi la commissione nazionale di garanzia. Ma un primo risultato, drammatico, è già da mettere agli atti: la base è sotto shock. «Non scordiamoci che è la base, cioè i militanti veri, a fare poi i volantinaggi o a servire a tavola alle feste» insiste Fregolent. «Se perdiamo i militanti, su chi potrà più contare il Pd? Sui cinesi last minute?».