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Perché il genocidio armeno è ancora materia incandescente

Dal Vaticano alla Turchia, dagli Stati Uniti alla Francia: le ragioni per cui il massacro del 1915 continua a dividere Paesi e opinioni pubbliche

Per Lookout news

La Turchia, membro della Nato, non è nuova all’irritazione per la materia. Ad esempio, non ha esitato a richiamare in patria “per consultazioni” il proprio ambasciatore a Washington quando, nel marzo 2010, il Comitato Esteri della Camera dei Rappresentanti del Congresso americano ha approvato una risoluzione che definiva gli omicidi di massa compiuti nel 1915 nei territori dell’impero ottomano ai danni della comunità armena un “genocidio perpetrato dai turchi “. Proprio l’esempio a stelle e strisce pare calzante per leggere la vicenda sotto una diversa luce.

Il genocidio armeno, gli Stati Uniti e Papa Francesco

Dopo che Papa Francesco nell’angelus di domenica 12 aprile 2015 ha parlato del “primo genocidio del XX secolo”, si è rinfocolata la polemica tra il governo di Ankara e il resto del mondo sul giudizio della storia, a un secolo esatto di distanza dal massacro degli armeni.

 

Il tema del riconoscimento ufficiale del “genocidio” armeno, secondo gli storici compiuto dall’impero ottomano durante la prima guerra mondiale, ha sempre influenzato le relazioni tra la Turchia e i Paesi alleati e amici, tale che ad oggi è riconosciuto (con alcuni distinguo) soltanto da una ventina di Paesi, tra cui anche l’Italia.

 

Quella che doveva essere esclusivamente una questione storiografica, è invece divenuta negli anni una complessa questione politica, in quanto la Turchia democratica e “Kemalista” rifiuta decisamente di sopportare l’accusa di genocidio e si stizzisce nel solo sentir pronunciare il termine “genocidio”, quale che sia il politico di turno. E ciò è vero in particolar modo per l’ex premier, oggi presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan.

 

Questione di terminologia
È opportuno, tuttavia, sottolineare quali siano state le esatte parole di Papa Francesco, prima di affermare superficialmente che la querelle sia nata intorno al termine “genocidio”. Ecco cosa ha detto il Santo Padre: “Questa fede ha accompagnato e sorretto il vostro popolo anche nel tragico evento di cento anni fa che «generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo»”.

 

Si tratta, come scrive anche Giuseppe Mancini sul blog di Lookout News “Cose Turche”, di una citazione estratta dalla Dichiarazione Comune di Giovanni Paolo II e del Patriarca Karekin II (presente domenica a San Pietro), siglata a Etchmiadzin il 27 settembre 2001. Dunque, la montante polemica appare al contempo strumentale e ben studiata.

 

In ogni caso, le parole del pontefice cadono non solo a pochi giorni dalla commemorazione del centenario del genocidio in Armenia (24 aprile) ma anche a poche settimane di distanza dalle elezioni politiche turche (7 giugno). Riportare a galla una questione scomoda per i numerosi Stati che interagiscono a vario titolo con la Turchia, certifica allora la sensazione crescente che il pontificato di Bergoglio, a due anni dall’elezione, si vada facendo sempre più “politico” (a tal proposito, quale miglior citazione se non una di Karol Wojtyla?).

 Sensazione confermata dalla dura nota dell’ambasciata di Turchia presso la Santa Sede, che ha giudicato “inaccettabile” quanto detto dal Papa e che ha bollato il tutto come “strumentalizzazione politica”.

 

Un’annosa questione
Già nel 2007 il Governo di Ankara aveva adottato un’analoga misura diplomatica quando un Comitato congressuale americano aveva approvato una simile risoluzione. Naturalmente, la diplomazia americana si è sempre sforzata di attenuare le tensioni con Ankara: la base aerea di Incirllyk è troppo importante per gli interessi geo-strategici di Washington, così come lo sono le commesse turche nel settore dell’industria militare. Basta dare uno sguardo ai cablo diplomatici pubblicati da Wikyleaks per comprendere il livello di panico del Dipartimento di Stato di fronte alla possibile approvazione di risoluzioni congressuali in tema di “genocidio armeno”.

 

“Ogni decisione degli Stati Uniti in merito alla classificazione degli eventi del 1915 come “genocidio”- scriveva nel 2010 l’ambasciatore americano James Jeffrey – potrebbe provocare una tempesta politica in Turchia e gli effetti sulle nostre relazioni bilaterali, incluse quelle politiche, militari e commerciali sarebbero devastanti”. Anche nei messaggi più recenti emerge lo sforzo della diplomazia Usa di “scongiurare” una presa di posizione congressuale che scontenti palesemente la Turchia.

 

La questione armena negli USA
Tuttavia, le pressioni della potente lobby armena in America (presente soprattutto in California, dove vive la più grande comunità armena al di fuori dei confini delle regioni d’origine) ha sempre ottenuto successi quando ha organizzato campagne miranti ad accusare la Turchia di genocidio nei confronti degli armeni. Da queste campagne sono scaturiti, nel corso degli anni, significativi riconoscimenti politici alla causa armena. Di seguito gli esempi più importanti:

-       Il 30 aprile 1981, il “Consiglio per la memoria dell’olocausto”, Agenzia governativa, approvò una risoluzione che includeva il “genocidio armeno” negli ambiti di competenza del “Museo americano per il Genocidio”;

-       Sempre nell’aprile 1981, il presidente Reagan dichiarò che “le lezioni dell’olocausto non debbono mai essere dimenticate, come nel caso del genocidio degli armeni e di quello dei cambogiani”;

-       Nel 1988, il presidente Bush riconobbe pubblicamente il genocidio armeno includendolo “nelle oscure tragedie di questo secolo” e aggiungendo che “gli Stati Uniti debbono riconoscere il tentato genocidio del popolo armeno compiuto negli ultimi anni dell’impero ottomano, sulla base delle testimonianze dei sopravvissuti, degli storici e dei nostri diplomatici del tempo”;

-       Nell’agosto del 1993, il presidente Clinton affermò che “ il genocidio del 1915, gli anni di dittatura comunista e i terremoti hanno causato gravi sofferenze in Armenia in questo secolo”.

 Più recentemente, il14 giugno 2011, dopo tre tentativi infruttuosi nelle precedenti legislature, il deputato repubblicano Robert Dold, insieme a un folto gruppo di colleghi di entrambi gli schieramenti, ha presentato al Congresso una risoluzione bipartisan (la n. 304) per chiedere che gli Stati Uniti riconoscano ufficialmente il genocidio armeno.

 La risoluzione 304, anche per le pressioni sul Congresso dell’allora Segretario di Stato Hillary Clinton, trovò difficoltà a essere votata, nonostante la camera dei Rappresentanti sia sempre stata molto sensibile alle pressioni della lobby armena, alla quale si era al tempo affiancata la lobby ebraica, a causa del deterioramento delle relazioni tra Ankara e Tel Aviv. Ad oggi, una risoluzione da parte del Congresso che invita il presidente Barack Obama a riconoscere il genocidio è ancora in attesa di ratifica.

 

Un importante segnale di attenzione alla causa degli armeni era però già venuto dalla risoluzione n. 306, approvata dalla Camera dei Rappresentanti il 13 dicembre 2011 a larga maggioranza bipartisan, con la quale si chiedeva al Governo turco di garantire la libertà religiosa e di restituire agli armeni le chiese confiscate nel 1915.

Armeni: chi ha paura di chiamare genocidio il genocidio

 

I Paesi che riconoscono il genocidio
Nel medesimo periodo, il 22 dicembre 2011 anche il Parlamento francese, che già nel 2001 aveva riconosciuto il genocidio armeno, si è mosso, approvando una legge che oggi riconosce valenza “criminale” alla negazione del genocidio armeno, reato punibile con la condanna a un anno di prigione e a una multa di 45mila euro.

 Questa decisione ha provocato tuttavia un’autentica sollevazione degli storici francesi e di accademici che hanno sottolineato come “non si può legiferare sul passato” e che “sarebbe meglio lasciare il genocidio armeno agli storici”.

 In ogni caso, attualmente in Francia si rischia il carcere se si nega pubblicamente il genocidio armeno. Argomento che non ha mancato di provocare tensione tra Turchia e Unione Europea, che generalmente si guarda bene dal sollevare il tema, al contrario di quanto ha fatto il Papa.

Il primo Paese al mondo a riconoscere il genocidio armeno fu l’Uruguay nel 1965. Seguirono a molti anni di distanza: Russia e Olanda (1994), Grecia (1996), Francia e Italia (2001), Svizzera (2003), Canada (2004), Argentina (2005), Svezia (2010), Bolivia (2014). Svizzera e Slovacchia prevedono anche pene sanzionatorie per i negazionisti e, nel 2013, la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che “processare e condannare qualcuno per negare il genocidio armeno costituisce un attentato contro la libertà di espressione”.

Library of Congress/Bain News Service
Bambini armeni sopravvissuti al massacro in un orfanotrofio.

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Redazione Panorama