Khaled Asaad
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Siria: perché l'Isis ha ucciso l'archeologo di Palmira

La decapitazione di Khaled Asaad è l'annientamento del nemico attraverso l’assassinio della memoria e di chi la difende al costo della vita

Ansa/Twitter
Khaled Asaad, ex capo sito archeologico di Palmira in Siria, decapitato e appeso a una colonna dall'Isis. Roma, 19 agosto 2015. TWITTER
khaled-asaad-isis-palmiraKhaled Asaad, ex capo sito archeologico di Palmira in Siria, decapitato e appeso a una colonna dall'Isis. Roma, 19 agosto 2015. FACEBOOK Ansa/Facebook
khaled-asaad-isis-palmiraKhaled Asaad accompagna il presidente francese Francois Mitterrand in visita agli scavi di Palmira. Roma, 19 agosto 2015. FACEBOOKAnsa/Facebook
khaled-asaad-isis-palmiraKhaled Asaad (quinto da sinistra) l'anno scorso con alcuni studiosi. Roma, 19 agosto 2015. FACEBOOK Ansa/Facebook

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24 agosto 2015. I miliziani dell'Isis distruggono il tempio di Baalshamin, una delle strutture meglio preservate del sito archeologico di Palmira, nonché un monastero cattolico del quinto secolo DC. I miliziani - dopo averlo torturato - decapitano anche Khaled Asaad, 81 anni, l'ex direttore del sito di Palmira (nella foto).

Gli occhiali di Khaled Asaad. Gli occhiali sono tutto, significano tutto. Sono lo studio, la fatica sulle carte, sui documenti, sui reperti. Le lente della cultura che ci consente di vedere meglio nell’anima del mondo.

E sono ciò che resta, che s’imprime nella nostra immaginazione ferita da quell’immagine terribile: il corpo decapitato dell’ex direttore e custode delle rovine romane di Palmira, Khaled Asaad, appeso a un palo della luce in una piazza della città siriana conquistata lo scorso maggio dalle bande nere dell’Isis. La testa nella polvere, ai piedi del corpo, gli occhiali ancora indosso. Per sfregio? Per caso? Per una tragica ironia emblematica della sorte che ha travolto Asaad a 82 anni, 50 dei quali trascorsi ad accudire e custodire la bellezza della storia, dell’arte, di Palmira?

La terribile immagine elaborata e pixelata del corpo decapitato e appeso per le braccia di Khaled Assad, direttore del centro archeologico di Palmira

Palmira che vanta uno dei siti archeologici più belli e importanti di tutto il mondo, patrimonio dell’umanità secondo l’Unesco. Palmira che ho potuto visitare durante la prima guerra del Golfo, nel 1991, allora nel mezzo di un confronto storico tra eserciti che si combattevano oltre confine. Il territorio siriano non era stato violato, ma non c’erano turisti.

Le dolci rovine rosa dell’antica città romana si scorgevano a distanza, s’innalzavano solitarie nell’immensa piana del cuore della Siria. Colonne, anfiteatri, fori, palazzi, templi: monumenti armoniosi di bellezza che si stagliavano contro il cielo dalla crosta semi-desertica. E in lontananza, il Krak dei Cavalieri, “la più bella fortezza crociata del Levante” (nelle parole di Lawrence d’Arabia).

Come mai, mi chiedo, Khaled Asaad è stato catturato? Come mai non è riuscito a scappare, a mettersi in salvo come aveva trasferito e portato al sicuro, dicono, tanti reperti archeologici di Palmira, proprio in previsione di un’avanzata della barbarie islamista del Califfato?

Voglio pensare a Khaled Asaad, archeologo famoso, guardiano della bellezza insidiata dalla furia (dis)umana di una guerra incomprensibile, come a un eroe. Per un mese intero è stato interrogato, forse anche per estorcergli informazioni su eventuali magazzini segreti di reperti di Palmira. Sul suo corpo appeso a un palo (non a una colonna, come s’era detto all’inizio per concessione, forse, a un facile spunto narrativo) si vede un cartello che lo indica come “apostata e partigiano del regime sciita”.

Palmira

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Uno scorcio del sito archeologico di Palmira OSEPH EID AFP GETTY

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Nel fermo immagine tratto da un video pubblicato da Aamaq News Agency, media vicino all'Isis, il 26 maggio 2015, i resti archeologici di Palmira apparentemente intatti dopo la conquista da parte del gruppo, il 20 maggio.ANSA/ INTERNET / Aamaq News Agency

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L'Isis ha pubblicato sul web un nuovo set di foto che sarebbero state scattate nelle ultime ore a Palmira, in Siria, conquistata dai jihadisti il 16 maggio scorsoANSA FOTO

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Nel fermo immagine tratto da un video pubblicato da Aamaq News Agency, media vicino all'Isis, il 26 maggio 2015, i resti archeologici di Palmira apparentemente intatti dopo la conquista da parte del gruppo, il 20 maggioANSA/ INTERNET / Aamaq News Agency

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Massimiliano Gatti, Rovine di Palmira, 2009, Stampa fineart Gicl a getto d'inchiostro

Massimiliano Gatti

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Il castello di Palmira, Siria, 18 maggio 2015.STR/AFP/Getty Images

E tra i cinque capi d'accusa che gli hanno procurato la condanna a morte, almeno tre sono squisitamente politici: la sua partecipazione alla festa per la vittoria della Rivoluzione di Khomeini in Iran, e due sui legami con esponenti del regime di Damasco bollato semplicemente come “sciita" anche se Assad sciita non è ma è alleato di Teheran (legami peraltro inevitabili, per la rilevanza del ruolo di direttore a Palmira). Ma le altre due accuse, le prime, rimandano piuttosto alla guerra religiosa: a Khaled Asaad in quanto “rappresentante della Siria nelle conferenze della blasfemia" (blasfeme, agli occhi del fanatismo dello Stato islamico, sono le conferenze sulle opere d'arte pre-islamiche o che raffigurano la divinità) e in definitiva alla sua stessa posizione di “direttore delle statue archeologiche di Palmira", quasi un soldato della cultura, una sentinella della bellezza, alfiere della “blasfemia" odiata dagli iconoclasti.

Guai a definire “follia" quella del Califfato. Non c'è nulla di irrazionale nei crimini perpetrati dai seguaci di Abu Bakr al-Baghdadi. C'è, piuttosto, una logica di guerra del terrore. E un'altra, impietosa, di annientamento del nemico in quanto “infedele" o “traditore", che passa attraverso l'assassinio delle opere d'arte e di chi le ama, le custodisce, le difende al prezzo della vita.

Gli occhiali di Khaled Asaad come una spada contro la cecità omicida dei boia incappucciati.

Ps: a oltre 17 ore dalla pubblicità della notizia, l'unico commento istituzionale di rilievo sembra essere quello del ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, solo per ribadire che il conflitto siriano può avere soltanto una soluzione “politica", non militare. Dove sono oggi tutti quelli che urlavano “Je suis Charlie"? Vergogna.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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