La Macedonia non cambierà nome: un duro colpo per l'adesione all'Ue
Il referendum popolare non ha raggiunto il quorum. Ma premier Zaev non si dà per vinto e annuncia l'avvio dell'iter parlamentare
In Macedonia è fallito il tanto atteso referendum sull'accordo con la Grecia per il nuovo nome del Paese ex jugoslavo (Macedonia del Nord). L'affluenza alle urne non ha raggiunto il quorum del 50% più uno.
Si sa però che oltre il 90,8% dei votanti ha scelto il cambio di nome, rispetto al 6,18% dei no. Il premier socialdemocratico Zoran Zaev, europeista convinto e grande fautore della consultazione, pur avendo subito una sconfitta politica, non si scoraggia e promette di continuare a battersi per garantire al Paese balcanico l'integrazione in Nato e Ue. E non esclude elezioni anticipate nel caso di difficoltà nell'iter parlamentare per l'approvazione dell'accordo con Atene.
L'esultanza dei conservatori contrari
Sul fronte opposto, esultano i conservatori contrari al cambio del nome, con persone riversate nel centro di Skopje per festeggiare con musiche tradizionali e slogan antigovernativi. "E' stata una giornata di democrazia, i cittadini hanno votato pacificamente e liberamente secondo le proprie convinzioni", ha però insistito il premier dopo la chiusura dei seggi, sottolineando come la stragrande maggioranza dei voti espressi - il referendum era consultivo e non vincolante - siano stati a favore dell'accordo con Atene che mette fine allo stallo che impediva alla piccola repubblica l'integrazione euroatlantica.
"La volontà degli elettori in questo referendum consultivo dovrà trasformarsi in attività politica in parlamento", ha insistito il premier, che ha detto di aspettarsi un comportamento responsabile dell'opposizione conservatrice. In caso contrario, ha detto, vi saranno presto elezioni anticipate.
Da Bruxelles - che aveva posto la soluzione sul nome conteso con la Grecia come condizione al cammino di adesione all'Ue - anche il Commissario all'allargamento Johannes Hahn ha invitato in un tweet "tutti i partiti" a tenere conto "con grande senso di responsabilità" della "notevole maggioranza di voti a favore" dell'accordo, nonostante non si sia raggiunto il quorum.
Tutta colpa degli appelli al boicottaggio?
Secondo Zaev, la bassa affluenza è dovuta agli appelli al boicottaggio da parte dell'opposizione conservatrice e del presidente nazionalista Gjorgje Ivanov, per il quale l'accordo è una "flagrante violazione della sovranità" nazionale macedone e una capitolazione di fronte agli interessi greci. "Questa è la Macedonia, qui vivono i macedoni, la nostra identità è quella macedone, la nostra lingua è il macedone, i nostri antenati erano macedoni", ha rivendicato dopo il risultato Hristijan Mickoski, leader del partito conservatore all'opposizione Vmro-Dpmne, pur sottolineando di essere favorevole all'adesione di Skopje a Ue e Nato. E riferendosi alle possibili elezioni anticipate prospettate dal premier Zaev, il leader conservatore lo ha invitato a prepararsi, più che alle elezioni, alla pensione politica.
Per l'approvazione delle modifiche costituzionali legate all'accordo con la Grecia per il nuovo nome è richiesta la maggioranza dei due terzi, che attualmente il governo non ha. Lo storico accordo fra Skopje e Atene, che ha posto fine a una disputa lunga 27 anni, rischia così di restare ancora incompiuto.
Prima del referendum
Macedonia e Grecia avevano firmato ufficialmente a giugno l'accordo sul nuovo nome dell'ex Paese jugoslavo, ponendo le basi della fine di una disputa che da 27 anni anni bloccava il cammino di Skopje verso l'integrazione nell'Unione europea e nella Nato.
Il nuovo nome sul quale si erano accordati i due premier - il greco Alexis Tsipras e il macedone Zoran Zaev - è Repubblica della Macedonia del Nord.
Qualcosa di più che un nome
L'accordo rapppresentava il primo passo verso il raggiungimento dell'identità nazionale e della lingua della Macedonia, oltre a spianare la strada al cammino del Paese verso l'integrazione euroatlantica, rimasta bloccata dal sistematico veto di Atene.
La Grecia, infatti, non si è mai piegata ad accettare il nome "Macedonia" - che è anche quello della provincia greca settentrionale con capoluogo Salonicco - ritendo che appartenesse esclusivamente al patrimonio storico e culturale ellenico.
Sotto una ostinazione che potrebbe apparire solo verbale, la Grecia temeva che il nome del Paese vicino potesse evocare pretese territoriali.
Per questo, con la dissoluzione della Jugoslavia, ottenne che nel 1993 la neorepubblica indipendente fosse accolta all'Onu con l'acronimo FYROM (Former Yugoslavian Republic of Macedonia - Ex repubblica jugoslava di Macedonia).
Negli ultimi mesi, in una situazione di crescente ottimismo, si erano accentuati i contatti fra Atene e Skopje con il mediatore dell'Onu Matthew Nimetz.
Decisivo l'intervento dell'Ue
Lo scorso aprile la commissione europea, alla luce dei progressi evidenti compiuti nel negoziato con Atene sulla questione del nome, aveva dato parere favorevole all'apertura del negoziato di adesione della Macedonia alla Ue.
Per Tsipras, il nuovo sarebbe potuto essere usato da Skopje sia sul piano interno che su quello internazionale.