Perché monsignor Viganò non può chiedere le dimissioni del papa
Le motivazioni per cui l'iniziativa dell'ex Nunzio non può produrre effetti concreti sul futuro del pontificato di Francesco
Può uno dei 5200 vescovi cattolici sparsi nel mondo chiedere le dimissioni del papa regnante? A norma di regolamenti pontifici no. Ma a titolo personale sì, assumendosene tutte le responsabilità. Come è successo con l'arcivescovo Carlo Maria Viganò, 77 compiuti il 16 gennaio scorso, ex nunzio apostolico negli Usa, che in una lettera pubblicata sulla stampa internazionale chiede a papa Francesco di lasciare la guida della Chiesa per non aver preso “tempestivamente” i dovuti provvedimenti contro il cardinale Theodore Edgard McCarrick, 88 anni, arcivescovo emerito di Whashington, il porporato a cui nei giorni scorsi Bergoglio ha ritirato la porpora cardinalizia a causa di una serie di presunti delitti sessuali commessi negli anni passati.
Ma può un ponterfice regnante, come Francesco, dimettersi perchè glielo chiede un vescovo? No, regolamenti pontifici alla mano. Secondo il Codice di Diritto Canonico solo un papa può lasciare il suo alto ufficio, spontaneamente, senza chiedere il parere di nessuno, annunciando semplicemente al Collegio Cardinalizio la sua scelta di farsi da parte. Scelta che i cardinali – in virtù del giuramento di obbedienza totale al papa – sono tenuti ad accettare senza discuterne. Come è successo, ma senza andare troppo lontano nel tempo, nel Febbraio 2013 con Benedetto XVI. Monsignor Viganò è ben consapevole, dunque, che la sua iniziativa non produrrà effetti concreti, al di là dell'inevitabile clamore mediatico che, comunque, una richiesta del genere è destinata a suscitare. Il primo ad esserne consapevole è proprio lui, Viganò, prelato di lunga esperienza curiale e diplomatica, ex titolare della più importante nunziatura della Santa Sede, quella di Washington, e prima ancora potente segretario generale del Governatorato, il più importante ufficio amministrativo del Vaticano. Ma allora, perchè lo ha fatto? Pur sapendo che le scrivanie di ogni pontefice praticamente da sempre sono inondante di lettere dai contenuti più disparati e più strani, dalle richieste di benedizioni, ai messaggi augurali e, non di rado, alle proteste corredate anche di inviti più o meno espliciti al pontefice a lasciare il papato. Senza produrre effetti.
Scenari inquietanti
La mossa di Viganò sembra quindi aprire altri scenari, al di là della velleitaria richiesta di Bergoglio a diventare il secondo papa emerito di questo inizio di terzo millennio, dopo papa Ratzinger. Scenari a dir poco inquietanti, di puro veleno che stanno rendendo difficile, giorno dopo giorno la vita nei Sacri Palazzi vaticani e il pontificato di Jorge Mario Bergoglio, che comunque sembra certo che fin dal 2013 era stato informato da Viganò degli scheletri (casi di presunte violenze sessuali a giovani seminaristi e preti) che McCarrick teneva nell'armadio, pur essendo stato elevato alla porpora cardinalizia nel 1998 da Giovanni Paolo II. Ma è pur vero che Bergoglio, dopo l'udienza concessa a Viganò nel 2013, pochi mesi dopo l'elezione papale, non si fermò. Con prudenza, determinazione e grande discrezione mise in moto la riservata macchina giudiziaria pontificia che – dopo attente e lunghe verifiche di quelle accuse, anche alla luce delle inchieste della magistratura americana – ha portato alle dimissioni di McCarrick da cardinale. Poco per Viganò.
Non sembra dunque azzardato immaginare che le richieste di dimissioni avanzate dall'ex nunzio siano nate per altri motivi, forse legati alle frustrazioni per le mancate legittime aspirazioni del prelato che, è bene non dimenticare, fu “promosso” nel 2011 da Benedetto XVI nunzio negli Usa da segretario generale del Governatorato, dove era andato in rotta di collisione con l'allora segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, per aver denunziato casi di nepotismo, di appalti truccati e di malcostume amministrativo in Vaticano, con lettere arrivate misteriosamente nelle redazioni dei giornali nell'ambito della cosiddetta Vatileaks. Negli Usa il monsignore lavora circa 4 anni, non abbadonando mai il sogno di tornare “vincitore” in Vaticano dopo l'esperienza diplomatica.
Al compimento dei 75 anni, nel 2016, Viganò a norma di Diritto Canonico è costretto a lasciare il prestigioso incarico di nunzio di Washington, incarico che per prassi prelude ad altri importanti uffici, primi fra tutti il cardinalato. Ma papa Francesco fa altre scelte. Addirittura “osa” chiedere all'ex ambasciatore di lasciare tutti gli incarichi in Vaticano, compreso l'appartamento, per rientrare nella sua diocesi d'origine, a Milano. Un affronto agli occhi di monsignor Viganò che, anziché obbedire e ritirarsi nel milanese, resta a Roma entrando ben presto in contatto con ambienti ostili all'attuale pontefice. Presumibilmente – pur senza prove ufficiali – con quelle cordate tradizionaliste ed integraliste che si sono formate intorno ai quattro porporati dei Dubia, contrari alle aperture pastorali di papa Francesco sulla famiglia. Veri e propri “cospiratori” nemmeno tanto occulti contrari alle innovazioni del Concilio vaticano II arrivati ad accusare apertamente papa Francesco di eresia sulla nuova pastorale familiare (comunione a divorziati risposati e attenzione a coppie di fatto e omosessuali) col cardinale Raymond Leo Burke.
In sintonia con gli oppositori di Bergoglio
Ambienti con cui evidentemente entra in sintonia anche monsignor Viganò che, stranamente, fa pubblicare la sua lettera alla fine del delicato viaggio pastorale di Bergoglio in Irlanda dove ha chiesto perdono per i casi di pedofilia, ha fatto mea culpa per i ritardi della Chiesa per fare pulizia e assicurato una tolleranza zero senza precedenti. Un tentativo di sfregio per la delicata missione del pontefice nella tormentata Chiesa irlandese, ma anche un tentativo di vendetta consumata a tavolino che, al di là di qualche titolo di giornale, non cambierà certamente il corso della storia della Cattolicità mondiale. Viganò dovrà farsene una ragione. Anche se non è da escludere che il suo nome possa ben presto suscitare le attenzioni inquisitorie della Penitenzeria apostolica, il dicastero che giudica di Delicta Graviora, vale a dire i grandi peccati commessi dai prelati, a partire dalle offese alla persona del papa. E l'ex nunzio lo sa.