Perché lo sport Usa si è ribellato a Donald Trump
Dal basket al football, i giocatori si inginocchiano durante l'inno americano per protestare contro la politica del presidente
Il mondo dello sport americano ha iniziato la sua personale battaglia contro Donald Trump, 45° presidente degli Stati Uniti che per la sua politica interna ed estera sta dividendo le opinioni degli americani.
L'ultimo episodio riguarda un universo vastissimo composto da NBA, NFL e MLB, le tre leghe professionistiche di basket, football americano e baseball che hanno pubblicamente espresso il loro dissenso al tycoon per la sua politica definita "razzista". La reazione del presidente non si è fatta aspettare, con un appello da Twitter alle società per licenziare tutti i giocatori che boicotteranno l'inno.
If NFL fans refuse to go to games until players stop disrespecting our Flag & Country, you will see change take place fast. Fire or suspend!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 24 settembre 2017
La protesta nel basket
Tutto è iniziato perché i campioni in carica dei Golden State Warriors hanno rispedito al mittente l'invito alla Casa Bianca, tradizionale appuntamento di inizio stagione con l'ultima squadra vincente in NBA. Prima Kevin Durant e poi Steph Curry hanno ammesso che il motivo è proprio Donald Trump: "Nello spogliatoio auspichiamo che un gesto del genere possa ispirare al cambiamento".
Più pesante il giudizio di Lebron James, dei Cavs: "Trump è uno straccione, prima che arrivasse lui la visita alla Casa Bianca era motivo d'orgoglio". Tra le proteste del mondo NBA c'è anche quella di un'istituzione come Kobe Bryant: "Un presidente il cui nome evoca rabbia e divisione, le cui parole ispirano dissenso e odio, non renderà l'America grande di nuovo".
Sports fans should never condone players that do not stand proud for their National Anthem or their Country. NFL should change policy!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 24 settembre 2017
Le proteste nel football
Per Donald Trump non va meglio con il mondo del football. Il presidente aveva ammonito quei giocatori colpevoli di inginocchiarsi e non cantare l'inno americano durante le partite. "Le società caccino i giocatori che per protesta non cantano l’inno nazionale", ha tiwttato. L'appello è però clamorosamente caduto nel vuoto e durante la partita tra Jacksonville Jaguars e Baltimore Ravens la protesta è dilagata a macchia d'olio coinvolgendo tutti i giocatori delle due squadre in campo.
Il primo a dare via alla rivoluzione nel mondo NFL era stato il quarterback Colin Kaepernick che nell'agosto 2016 era rimasto seduto durante l’esecuzione dell’inno nazionale per protestare contro le violenze sugli afroamericani.
Le proteste nel baseball
Anche nella Major League Baseball la situazione non cambia. Il primo a protestare è stato Bruce Maxwell, giocatore afroamericano di baseball degli Oakland Athletics e primo ad inginocchiarsi durante l'inno nazionale.
Le proteste anti-Trump sembrano ora pronte per allargarsi a macchia d'olio anche fuori dallo sport come durante l'ultimo concerto a New York di Stevie Wonder: anche il cantautore si è inginocchiato durante l'inno per portare la sua solidarietà alle stelle dello sport Usa. Chi sarà il prossimo?