Pizzarotti, adesso corro da solo
Dopo la clamorosa rottura con il M5S, il sindaco di Parma si ricandida con una sua lista. Ed è sicuro di vincere. Così anche il Pd lo corteggia
Inaugurare, presenziare, porgere i saluti. Federico Pizzarotti vive una fase ipercinetica. Il sindaco di Parma, già simbolo dell’avanzata grillina nel 2012 e adesso nemico giurato del Movimento, trotta senza sosta. Nella città emiliana è cominciato l’assedio all’elettorato: conferenze stampa, incontri, inaugurazioni. Finalmente, dicono i parmigiani ormai intorpiditi. Insomma: come i politici più scafati, Pizzarotti si adopera solo con l’avvicinarsi delle urne? «Abbiamo passato la prima metà del mandato a gestire rogne» replica. «Adesso possiamo pensare al futuro». Da rivoluzionario a uomo in grisaglia. «Non penso di esser mai stato un rivoluzionario. Ho sempre cercato di applicare buon senso: non salva da tutto, però aiuta. Ragionare con la propria testa, passo mai più lungo della gamba, pragmatismo. Gli strilli a me non sono mai piaciuti».
A Parma è tempo di elezioni. Undici candidati ai nastri di partenza. E uno strafavorito: il «Pizza». Non gli davano un centesimo, invece s’appresta al bis: «Il segreto è stato adattare i principi che ispiravano il movimento alla Realpolitik. E avere attorno una squadra d’eccellenza. La differenza la fanno sempre le persone, non i simboli. E gli assessori qui sono bravissimi». E dove ha pescato questi fuoriclasse? «Curriculum». Ma non era una leggenda quella dei cv grillini? «Solo l’assessore al Bilancio è cambiato» prosegue incurante. «Per il resto sono rimasti tutti. E, se venissi rieletto, la maggior parte sarebbe riconfermata».
Spezzato blu, camicia azzurra con impercettibili pallini, capelli sale e pepe imbrillantinati, Pizzarotti comincia il primo pomeriggio di una bella giornata d’aprile in una saletta del palazzo comunale di Piazza Garibaldi. L’incontro con i giornalisti locali serve per appuntarsi la medaglia più simbolica: aver dimezzato in quattro anni il debito da 807 a quasi 400 milioni. Grazie, soprattutto, alla chiusura di venti partecipate del Comune.
«Nel 2017 non si parla più dei conti di Parma e del rischio default. Abbiamo dato una stabilità economica che chiunque ci riconosce. Da qui si riparte». Una battuta con le tv e poi il sindaco schizza fuori per raggiungere l’auto di servizio: un’Opel bianca. Siede alla guida. Mette in moto. Va bene: ma, a parte ridurre il debito, cos’altro avete fatto? «Ci siamo concentrati sul patrimonio scolastico. Riqualificazioni energetiche, sismiche e bonifica dall’amianto: un investimento di 20 milioni solo negli ultimi due anni. La differenziata, poi. È salita all’80 per cento: la percentuale maggiore tra le grandi città».
I parmigiani hanno apprezzato? «Sarebbe stato più comodo e utile elettoralmente fare opere pubbliche. Qui la priorità era costruire rotonde: comode per carità, ma soprattutto visibili. Noi abbiamo scelto un’altra strada». E nei prossimi cinque anni? «C’è un programma con 247 punti...». Nel solco del gigantismo pre-elettorale. «Al contrario, non c’è nessuna idea faraonica. Finire di mettere in sicurezza l’intero patrimonio scolastico. Cinquanta chilometri di piste ciclabili, per collegare la città alle frazioni. Tre nuovi parchi. Il museo della gastronomia e dello sport. Cose chiare e fattibili».
L’utilitaria bianca, intanto, dopo essersi divincolata dal traffico del centro, ha raggiunto una bella villa d’epoca di periferia. Nel giardino fiorito l’aspettano un gruppo di partigiani per festeggiare il 25 aprile. Pizzarotti indossa la fascia, impronta un breve discorso, onora il sobrio buffet. Infine, risale in auto, tonico e scattante. Dica la verità: lei è uno sfegatato di sinistra. «I miei valori sono più vicini alla sinistra che alla destra. Ma io cerco di essere realista». In passato, ha votato per i Radicali e Rifondazione comunista. «Sì, ma non ho mai partecipato alla vita di partito. Dei radicali, però, condivido l’attenzione per i valori civili e la laicità». Fermo a un semaforo, guarda pensieroso fuori dal finestrino: «Certo, chi mai avrebbe detto che alla fine anche Marco Pannella sarebbe diventato un mio ammiratore?».
In realtà gli estimatori del «Pizza» ormai si sprecano. Ad esempio, c’è il pantheon piddino. Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna. Graziano Del Rio, ministro delle Infrastrutture. Perfino l’ex premier Matteo Renzi, lo scorso dicembre, ha titillato: «A Parma hanno fatto cose buone». Il più spudorato è stato però il sindaco di Bologna, Virginio Merola, auspicando un’alleanza con Effetto Parma, la lista con cui Pizzarotti si presenta alle lezioni. Inevitabile sospetto: intelligenza con il nemico. Svolgimento: i democratici, arcirivali dei Cinque stelle, sperano nella riconferma del sindaco, pronto a lanciare nell’orbita nazionale Effetto Italia, una stampella a cui il Pd si appoggerebbe per ridimensionare i grillini.
«La leggenda è arrivata anche a me» conferma il Pizza. Quindi smentisce? «Può anche darsi che qualcuno del Pd faccia questo ragionamento, ma non sarò mai io a sgonfiare il movimento. Si sgonfierà da solo quando vincerà le elezioni, sotto il peso della tensione interna. Il mondo è difficile. Ci sono dei vincoli che limitano quello che vorresti fare: anche noi abbiamo dovuto fare un bagno di realtà. Allora la base esploderà: “Siete come gli altri! Anche voi non mantenete le promesse!”. Loro però non sono preparati a gestire il dissenso. Quando ti vengono sotto che fai? Non è un bell’andare....».
Rientrata nel centro storico, la macchina sterza lentamente in un vicolo a destra. «E poi» riprende il sindaco «hanno fatto fatica a nominare dieci assessori a Roma. Cosa succederà quando dovranno nominare 20 ministri, 50 sottosegretari, capi di gabinetto, manager di aziende? E chi accetterà sapendo che alla prima difficoltà sarà scaricato e lapidato in piazza?». I Cinque stelle, nonostante le débacle locali, nei sondaggi nazionali restano il primo partito. «A chi abita dall’altra parte dell’Italia cosa vuoi che importi di Genova? Ovunque però già soffrono un calo di attivisti: vogliono fare i parlamentari, ormai». A Parma, alla fine, hanno candidato Daniele Ghirarduzzi. «Qualcuno avrà pensato che, comunque, valeva la pena disturbare» dice sarcastico. Chi? Grillo? «Dai, ragazzi: dopo dieci anni siamo ancora a farci ‘ste domande? Sono cose che Grillo non vede neanche passare. Decide tutto a Milano la Casaleggio».
Arrivato nella sede del Comune, il «Pizza» schizza fuori dall’auto come se l’avesse punto una tarantola. Attraversa veloce i portici del centro. Perché Grillo l’ha espulsa? «Ha seguito i cattivi consiglieri, come Max Bugani e Matteo Incerti, che mi accusavano di essere troppo morbido e dialogante con il Pd. Secondo loro non dovevo parlare con nessuno». Pure lei ha polemizzato: a cominciare dalle espulsioni. «Ero preoccupato dalla deriva autoritaria del movimento. E posso dire che alla fine c’ho preso su tutto».
Effetto Italia sarebbe il collettore dei delusi pentastellati? «No, il progetto non è quello» ribadisce secco e bonario. «Faccio fatica a Parma, figurarsi se posso organizzare un progetto nazionale. Pensiamo piuttosto a collegare una rete di esperienze civiche locali che però mantengono nome e simbolo autonomi. E che, magari, possono essere certificate con un nostro bollino». Effetto Italia, dunque? «Quando e se sarà il momento, una volta vinta Parma, penseremo a come mettere in comune le nostre esperienze».
Lo spartiacque con il post-grillismo sono le amministrative parmigiane. I dieci contendenti non sembrano irresistibili. A partire da Paolo Scarpa, candidato del Pd. La campagna elettorale è ai prodromi. Ma si avviterà certamente su immigrazione e sicurezza, considerati i punti deboli del primo cittadino uscente. Non a caso il centrodestra ha scelto l’avvocato Laura Cavandoli: giovane, bella e leghista. Buona parte della città considera il sindaco troppo aperto all’accoglienza.
«Vogliono mandarci ancora migranti» riferisce. «Ho detto no al prefetto. Abbiamo già raggiunto il 4 per mille della popolazione: circa un migliaio di persone. Quando gli altri avran fatto uguale, allora ne riparliamo». La sua rinomata tolleranza vacilla. «È come quando a casa sei troppo cedevole con la fidanzata: lei ne approfitta. Il confine tra essere buono e coglione è sottile. Non dico “non li voglio” ma nemmeno “tutti a me”».
Degrado, droga, clandestini: nella città che chiamavano «la piccola Parigi» sembra non si parli d’altro. «Questa percezione è soprattutto legata allo spaccio. Ma non c’è insicurezza a Parma. Poi se dicono che è brutto quello che beve la birra e fa pipì per strada, dico: “Vero, è brutto”. Ma lì è un tema di inciviltà». Rimedi? «Uno dei più importanti sarà spostare il comando della Polizia municipale in centro, nell’ex scalo merci». Sotto i portici, s’avvicina un cittadino. Si complimenta, esuberante, per il ridimensionato debito municipale. «Non riesco a fare 50 metri senza che uno attacchi bottone. È il bello di fare il sindaco, ma anche un peso» ammette. Sei del pomeriggio: nell’oratorio di San Tiburzio è prevista l’ennesima conferenza stampa: «Parma 2030, la città delle idee». All’interno giganteschi cartelloni mostrano progetti, mappe, rendering. I dettagli di «55 progetti di rigenerazione urbana». Recupero di aree industriali, alcuni in project financing. Riqualificazione di zone del centro storico, a partire da Piazzale della pace. E di monumenti storici, come il Ponte Romano.
Breve discorso, nessuna pomposità, parola agli assessori. Il sindaco sfila via dal portone della chiesa per improvvisare un piccolo tour tra i monumenti: «A fine 2015 abbiamo ottenuto il marchio Unesco per la gastronomia. Il turismo è cresciuto, ma ora vogliamo arrivare a un milione di visitatori all’anno». Incede tra le vie della città ducale. Saluti, strette di mano, affettuosità. «Stavolta è andata bene» dice con ironia che cela sicumera. «Poteva pure capitare il giro del “signor sindaco fai schifo”».
L’aria comincia a rinfrescare. Pizzarotti, ancora in giacchetta, ha un tremolio. Come nel gioco dell’oca, è tornato al punto di partenza: il palazzo del Comune. Si ferma davanti a una colonna del porticato. Alle sue spalle si staglia un pannello di plastica con una frase di Arturo Toscanini, direttore d’orchestra parmigiano: «Nessuno sa il massimo che può raggiungere».