L'armata «Branca Grillone»
(Ansa)
Politica

L'armata «Branca Grillone»

Estromesso da Giuseppe Conte all’assemblea costituente, il fondatore medita la riscossa. Ma più che «truppe scelte», intorno a lui si agita uno stuolo di pentastellati già trombati dal nuovo corso. E in spasmodica ricerca di ricollocazione

«Ma i dov’è che iate?». La domanda del fabbro Mastro Zito, nel latino maccheronico di Mario Monicelli, riecheggia tra le macerie pentastellate. «A Bengodi, cojon mio!» risponde lo scudiero Mangoldo. L’Armata Brancaleone rinasce Brancagrillone. Il capolavoro cinematografico rivive nella pantomima politica: Beppe fronteggia Giuseppi, che gli ha sfilato la storia, il simbolo e l’onore. E adesso? Il garante è stato spodestato, ma resta pur sempre l’indimenticabile fondatore, colui da cui tutto nacque quindici anni or sono. All’armi, dunque. Prima bisogna riconquistare il simbolo e poi muovere guerra a Conte, il masnadiero di Volturara Appula. Grillo lo chiama il «mago di Oz», perché avrebbe acconciato la votazione che l’ha estromesso dal Movimento. Che, comunque, è morto. Anzi «stramorto», scandisce Beppe a bordo di un carro funebre. Ma gli epurati più puri possono ancora sognar di riveder le stelle: «Avrà un altro, meraviglioso, decorso». Preparate bibitone ghiacciate e vasche di popcorn. Pare non sia finita. Brancagrillone va alle crociate, in compagnia della sua scombiccherata armata. «Semo li felici sordati di nobile cavaliere, di magnanimo duce e splendido eroe. Vienci anco tu!» esorta il giovane Taccone nel film monicelliano. Anche al garante reietto servono valorosi devoti. L’impresa non è certo ambiziosa, come quella degli esordi.

Stavolta, basta poco. I sondaggisti concordano. I Cinque stelle formato Giuseppi valgono, per ora, l’11 per cento. Il comico potrebbe sottrarre quattro punti all’avvocato. Il Movimento ufficiale si fermerebbe dunque al sette per cento, stretto parente dell’irrilevanza politica, per diventare così il sesto partito dell’arco parlamentare: alle spalle dell’Alleanza verdi e sinistra, qualche punticino sopra Matteo Renzi o Carlo Calenda. Ci aspettano mesi avvincenti, quindi. E se Brancagrillone da Genova non dovesse riconquistare il simbolo? Potrebbe tentare comunque l’avventura, con un’associazione che rievochi le calpestate origini. Del resto, quel che conta è soprattutto veder fallire l’ormai PdC, il partito di Conte.

A fianco dello stagionato condottiero, è rimasta una pattuglia di nostalgici esautorati. Il settantaseienne Brancagrillone, però, è fiducioso. L’anagrafe non è dalla sua parte. Ma il tempo, sì. I pretoriani prima lo veneravano. Adesso pendono dalle labbra di Giuseppi. Più che amore, è un calesse. Anzi, una cadrega. Le smanianti vecchie glorie, difatti, sarebbero magari ricompensate con un altro giro di giostra. Il Conte Mascetti ha illuso tutti con l’ennesima supercazzola. Gli iscritti hanno votato per il terzo mandato, ma il quesito era volutamente fumosetto, proprio per non scontentare la pletora di pretendenti. La deroga varrà per quei pochissimi che si candideranno sindaci o governatori? O per i tantissimi che vorrebbero rientrare in parlamento «dopo una pausa di cinque anni»? Solo per fare qualche nome: Alfonso Bonafede, Fabiana Dadone, Paola Taverna, Vito Crimi. Si toglierebbe spazio agli attuali eletti, però. Insomma, in tanti adesso sperano nel trionfale ritorno. Ma rimarranno solo posti in piedi. A quel punto, per lo meno gli equidistanti potrebbero riabbracciare l’ex comico. Tanto per dirne una: la vicepresidente del Senato, Mariolina Castellone, che nelle ultime settimane ha difeso il fondatore: «Perché tutto questo astio nei confronti di Beppe Grillo e di chiunque abbia provato a spendere per lui una parola?».Tra gli attendisti, c’è pure Virginia Raggi. L’ex sindaca di Roma siede nel consiglio comunale capitolino. Il suo amico e maestro, l’avvocato Pieremilio Sammarco, supporta il fu Elevato nella battaglia legale. Sarà l’amazzone delle truppe passatiste? Lei nega. Magari allora fonderà un altro partito insieme ad Alessandro Di Battista, il Che Guevara di Roma Nord prestato al dibattito televisivo. Da tempo ha lanciato la sua associazione: Schierarsi. A dispetto dello stentoreo proponimento, da anni però cincischia. D’altronde, manzonianamente, «il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare». Ed è proprio il sentimento che non manca, invece, all’indiavolato fondatore.

Quella del Brancagrillone sarebbe davvero l’ultima crociata. Certo, per adesso deve accontentarsi di quel che passa l’ex convento pentastellato: scalmanati e residuati. Già in estate, i pochi fedelissimi rimasti scioglievano il malcontento in un’accorata lettera rivolta ai contiani di complemento: «Gratitudine è una mescolanza di egoismo, orgoglio e stupidità, affermava Cartesio». E «molti smemorati di Collegno, senza arte né parte, dovrebbero dimostrare rispetto e gratitudine». Seguono undici firme di ex parlamentari prematuramente deposti. Spiccano quelle di Nicola Morra, Elio Lannutti e Alessio Villarosa. Partiamo allora dall’ultimo valoroso. L’ex sottosegretario dell’Economia, in attesa del meritato rientro sul proscenio politico, si cimenta nell’attigua industria dello svago. Con la sua Volare snc, gestisce uno stabilimento sul lungomare di Barcellona Pozzo di Gotto. E ha appena fondato una società di consulenza informatica ad Andria. Lannutti, ex presidente dell’Adusbef, si distingue invece per una tambureggiante class action sugli extraprofitti di alcune banche. L’indimenticabile Morra, poi. Prima crea l’associazione Equa, assieme a un’altra talentuosa tentata dal grande ritorno: Barbara Lezzi, già ministra per il Sud. Poi Morra, ex presidente della commissione antimafia, si candida alle regionali in Liguria. Aspirante governatore, dunque. Ma il Torquemadino grillino si distingue soprattutto per un’avvilente intemerata sulla salute di Marco Bucci, poi eletto presidente. Implacabile responso delle urne: 0,9 per cento, per un totale di 2.510 elettori.

Il più indomito resta, comunque, Danilo Toninelli. In queste settimane, non ha mai smesso di chiedere ai militanti di sabotare il voto. Il suo libro autobiografico, Non mollare mai, è una profezia. Dopo aver toccato inaccessibili vette come ex ministro dei Trasporti, si reinventa youtuber. Nella sua rubrica, Controinformazione, sbertuccia la restaurazione giuseppina e invita gli ortodossi alla rivolta. Si lancia pure nell’agone imprenditoriale assieme all’amata moglie: Maruska Lavezzi. Sfruttando l’indimenticabile brand domestico, l’11 aprire 2022 fonda la Toninelli consulting. L’ultimo bilancio segna 10.040 euro di utili. Insomma, i palafrenieri ci sono. Adesso servono i soldati. In Italia si contano ancora 66 meet up, nonostante il tentato repulisti. Sono due le città in cui i rivoltosi potrebbero sfidare l’esercito giuseppino. Le politiche sono lontane, ma incombono regionali e amministrative. Come in Campania, dove il caos favorirebbe i sostenitori del comico. Don Vincenzo De Luca vuole correre ancora per il terzo mandato, a tutti i costi. Pd e Cinque stelle si oppongono. Ed Elly potrebbe concedere ai «progressisti indipendenti» la candidatura alla presidenza. E non certo per bontà.

La Campania resta una roccaforte pentastellata: alle ultime europee, qualche mese fa, il Movimento ha superato il 20 per cento. È la patria del reddito di cittadinanza, del resto. Roberto Fico, da sempre incrollabile fautore del campo largo, scalpita per il grande ritorno. È uno dei peggiori, sostiene Grillo. L’ingratitudine fatta persona: ex impiegato in un call center diventato presidente della Camera. Far fallire il campo largo, come in Liguria, sarebbe la vendetta perfetta. Nella lotta all’ultimo sangue tra De Luca e il candidato giallorosso, l’anziano condottiero potrebbe sottrarre quei punticini necessari per far perdere il centrosinistra. E se alla fine il prescelto fosse proprio Fico, la possibile disfida con l’ex pupillo nelle piazze sarebbe una manna. Il francescano diventato inciucione: repertorio sterminato, dileggio garantito. «Belìn, ora ci divertiamo…» pregusta il comico ligure. Medita di replicare anche nella sua Genova, che trabocca di militanti delusi. L’ex sindaco, Bucci, è diventato governatore. E adesso bisognerà sostituirlo. Ci saranno le elezioni. E proprio in consiglio comunale c’è la pattuglia di ortodossi meglio organizzata a livello locale in Italia: Uniti per la costituzione, guidata dall’ex senatore, Mattia Crucioli. Alle ultime amministrative, nel capoluogo ha preso il 3,5 per cento: poco meno del Movimento, fermo al 4,4. Il Conte Mascetti, per evitare l’usuale irrilevanza delle amministrative, sarà costretto ad appoggiare il candidato piddino, come ha già fatto invano alle regionali con Andrea Orlando. Proprio l’ex ministro, votatissimo nel collegio genovese, potrebbe ritentare l’impresa a Genova. Comunque vada, Brancagrillone si dice pronto: «Questo movimento avrà un altro decorso, meraviglioso, che ci siate voi o no». Sì, «ma i dov’è che iate?». La risposta più assennata, in attesa di nuovi ordini, resta intanto quella di Mangoldo: «A Bengodi, cojon mio».

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Antonio Rossitto