Brigate Bossi
Come Eravamo
Da Panorama del 19 aprile 1992
Verranno a Pontida: li faremo giurare davanti a tutti. Perché qualche traditore alla Castellazzi, qualche Castelzoppo, si trova sempre".
Umberto Bossi, il vendicatore del Nord, non si concede un sorriso soddisfatto nemmeno nella notte del trionfo, ma grida la sua apprensione al popolo della Lega raccolto in massa al Palalido di Milano. Gli brucia ancora il voltafaccia dell' ex amico, passato armi e bagagli al Psdi: un "giuda" transfuga, punito dall' elettorato, "un portasfiga" insiste il senatur "anche per i socialdemocratici".
Ottanta solenni giuramenti per altrettanti nuovi eletti. È il prezzo della vittoria: cinquantacinque deputati e venticinque senatori catapultati dalla Brianza a palazzo Madama, dalla Val Brembana a Montecitorio. L' 8,7 per cento dei voti su scala nazionale, il 20,5 in Lombardia, 240.513 preferenze catturate dal leader maximo nel collegio Milano - Pavia, 146 mila più di Bettino Craxi, 150 mila più di Roberto Formigoni. Poteva andare ancora meglio. Il senatore infatti è "incazzato nero" per quell' 1,6 per cento rapinato dalle "leghe fasulle", che gli hanno soffiato almeno 11 seggi in Parlamento.
Ma ora Bossi è preoccupato soprattutto per l'affidabilità del suo gregge. Accanto a lui, invece, il professor Gianfranco Miglio è sempre amabile e sorridente. A 74 anni suonati, "l'unico laureato della Lega", come l'ha sbeffeggiato Beppe Grillo, non vede l'ora di guidare negli insidiosi corridoi del Palazzo (che ben conosce per averli già frequentati da democristiano) l'esercito dei leghisti: quasi una scolaresca in gita di piacere, pronta a giocare al gioco del piccone per demolire definitivamente l'odiato regime di Roma.
Avrà il suo bel daffare, Bossi, a tenere a bada un gruppo in evidente crisi di crescita: rispetto alla scorsa legislatura, quando la Lega aveva raccolto appena due parlamentari, l'aumento è impressionante, il 4 mila per cento. Un abisso separa poi il senatur dagli altri eletti: il secondo in ordine assoluto è Roberto Maroni, 37 anni, avvocato di Varese, fondatore con Bossi del primo nucleo del movimento nella provincia. Ha preso 29 mila preferenze e sarà il vero braccio destro del capo in Parlamento. Dopo di loro, il vuoto: la seconda nella circoscrizione Milano - Pavia, Maria Cristina Rossi, 37 anni, medico veterinario e dipendente della Usl milanese, ha preso solamente 8.469 preferenze. Maria Cristina, a dire il vero, non è propriamente un'outsider. Nella sede della Lega in via Arbe, alla periferia Nord di Milano, l'hanno vista pochino, ma nel 1990 è riuscita a entrare in consiglio comunale. Sta tutta qui la sua esperienza politica: l'ente locale vissuto dai banchi dell'opposizione. E il suo breve curriculum politico si replica per alcuni neoeletti leghisti. Come Francesco Formenti, architetto quarantacinquenne, capogruppo al Comune di Seregno (5.110 preferenze). Come l'avvocato Marcello Lazzati, 44 anni, consigliere al Comune di Legnano e alla Provincia di Milano (3.684 preferenze). Come Corrado Arturo Peraboni, 28 anni, laureato in legge, eletto in Comune a Cassano d'Adda (3.267 preferenze), grande esperto della Lega per i problemi industriali. E infine come Elisabetta Castellazzi, consigliere comunale ad Agrate Brianza, che ha mancato l'elezione per un pelo a Milano con 2 mila voti. Nessuna parentela con il Franco secessionista, solamente un'ingombrante omonimia. Questa, però, è la pattuglia dei picconatori scelti della Lega, quelli dotati di una qualche esperienza amministrativa.
Molto più numerosi sono i neodeputati e senatori totalmente a digiuno di ogni scienza politica. Miglio, preside di facoltà all'università Cattolica, dovrà davvero fare i doppi turni per divulgare qualche rudimento di politologia applicata. I suoi studenti? Partiamo dal primo della classe. Marco Formentini, sessantaduenne spezzino, rotariano, nel 1990 nominato sul campo "ministro - sole" (beffardo contraltare dei ministri - ombra comunisti) per l'economia: al contrario di Bossi, che inalbera preferibilmente cravatte regimental, predilige castigati pois. Fa il dirigente industriale ed è presidente della Pontidafin, la finanziaria della Lega. Non ha l'allure di un capitano d'industria, ma di economia dovrebbe intendersi: si è specializzato in problemi dell'integrazione economica europea al College of Europe di Bruxelles, ed è stato assistente di Piero Bassetti ai tempi del suo incarico alla Cee. "Gli ho dato il mio voto" svela Marco Borsa, direttore del mensile Espansione, e grande elettore della Lega. "Sta proprio in gente come lui la grande forza del movimento: gente che vive del proprio lavoro, che fa parte di quello che io chiamo il nuovo ceto medio finanziario di massa". A scorrere la lista dei cinquanta candidati a Milano - Pavia, i rappresentanti di questo ceto non sono pochi: otto fra imprenditori e dirigenti d'industria, dodici liberi professionisti, quattro artigiani e commercianti. Come Gennaro Fiordalisi, detto Rino, cinquant'anni, amministratore delegato della Pontidafin, fiorentino di nascita e milanese di fede. Non ce l'ha fatta nell'urna. Però si è guadagnato l'imperitura stima di Bossi producendo la videocassetta Roma ladrona, apologia su nastro del movimento, e organizzando la kermesse del Palalido. Sua l'idea del Va' pensiero introduttivo e del maxischermo tivù montato dietro al palco: sulle immagini mute di Craxi, De Mita, Gava e Borghini, il popolo leghista si è sfogato con bordate di fischi, buuu, scemo - scemo. E proprio loro, i giornalisti, i "pennivendoli" dei quali la Lega spesso si dice vittima ingiustificata, sono diventati numerosi tra supporter e candidati. Non per niente Bossi ha annunciato papale papale che "ora, dopo il voto, la Lega ha bisogno di un quotidiano". Marcello Staglieno, del Giornale, non è saltato sul Carroccio del vincitore all'ultimo momento: qualche tempo fa ha sfidato le ire di Indro Montanelli facendo il diavolo a quattro in una puntata di Samarcanda, pur di manifestare il suo tetragono credo leghista. Gli è andata bene, lo hanno eletto al Senato in Emilia - Romagna. E un altro cronista del Giornale, Daniele Vimercati, ha scritto l'autobiografia di Bossi. Con l'anticipo sui diritti, il segretario sta pagando i lavori di ristrutturazione della nuova casa nel Varesotto, progettata dall' architetto Giuseppe Leoni, leghista della prima ora e adesso confermato alla Camera. Lo stesso Leoni, del resto, è responsabile della Consulta cattolica insieme a un'altra giornalista: Irene Pivetti, 29 anni appena compiuti, detta l'Ornella Muti del Carroccio, neoeletta in Parlamento. Come gli altri non ha alcuna esperienza politico-amministrativa. Ha lavorato per Radio A, l'emittente della diocesi milanese. Forse è stata lei a inventare lo slogan "La tua anima a Dio, il tuo voto a Bossi" stampato su centinaia di volantini distribuiti nelle vie del centro. E' il trait - d' union fra Alberto da Giussano e i vescovi: deve vedersela anche con il cardinale Carlo Maria Martini, gran difensore degli immigrati. "La Lega ha un problema pastorale" ammette Irene. E cerca di risolverlo con i convegni e i "buoni contatti". Curioso: anche il detestato impiego pubblico alligna nelle file della Lega. Tra i candidati milanesi, gli insegnanti sono quattro. L'unico eletto (3.803 voti) è Luigi Negri di Codogno, 36 anni, sanguigno segretario provinciale di Milano, detto il Ceausescu della Lega, grande inventore di rime baciate ("Roma ladrona, la Lega non perdona") e capoclaque nei convegni bossiani. Un generoso combattente, ma più adatto forse alla piazza che alla Camera. Lo stesso limite di Gipo Farassino, il menestrello piemontese entrato alla Camera con una valanga di preferenze, confermate anche al Senato. E proprio a palazzo Madama, insieme al costituzionalista Miglio, sbarca un altro leghista storico: il bustese Francesco Speroni, perseguitato dalla definizione di "tecnico di volo dell' Alitalia", già parlamentare europeo e capogruppo in pectore. La sua è tra le facce più presentabili del movimento, come quella di Francesco Tabladini, geologo e quindi esperto di terremoti, anche elettorali. E' lui che ha creato il successo delle amministrative bresciane del 1991, quando la Lega ha conquistato il 24,3 per cento, superando la Dc. Di problemi industriali, invece, si occupa un altro neosenatore: Luigi Roveda, 56 anni, imprenditore, un pizzetto che fa pensare a uno gnomo. Pignolo all'inverosimile, giura che farà le pulci alla politica economica italiana. Al fisco, invece, penserà il commercialista milanese Giancarlo Pagliarini, mentre l' imprenditore bresciano Vito Gnutti (uscito dalla Confindustria per candidarsi nella Lega) entrerà sicuramente nella commissione Industria. "E' proprio lì, nelle commissioni, che aspetto al varco i partiti" minaccia Bossi. "Dovranno fare i conti con uomini preparati e duri".
E' però una promessa di serietà e competenza basata solamente su una fettina degli ottanta eletti. Gli altri rischiano di fare numero e basta. Non è comunque un limite che abbia impensierito più di tanto i tre milioni e 400 mila elettori leghisti. Nel chiuso dell'urna il pensiero andava alla protesta e al suo alfiere Bossi, il cui nome è stato ripetuto tante volte e con tale foga che al momento dello scrutinio sono sorti dubbi sulla validità di numerosissime schede.