Carlo De Benedetti, io che tutto creo e tutti distruggo
La Rubrica - Come Eravamo
Da Panorama del 15 giugno 2011
Se il «manichino» è destinato a fare la stessa fine del «partito di plastica», c’è da scommettere che un giorno ce lo ritroveremo premier. O che comunque la politica non si libererà presto di Angelino Alfano. Perché quando il partito di carta di Repubblica e il suo patron Carlo De Benedetti azzardano una previsione, in genere si avvera il contrario. Ricordate, appunto, Forza Italia descritta come il partito di plastica, destinato a liquefarsi come neve al sole, magari con Silvio Berlusconi già in galera? Correva l’anno 1994. Il Cav è ancora oggi il perno del bipolarismo e l’ex FI è il motore del Pdl. Ora che «la plastica» non si è sciolta, ma ha subito vistose ammaccature alle ultime amministrative, l’Ingegnere ha scelto un altro bersaglio: Alfano, appena designato segretario politico del Pdl, bollato da De Benedetti come «un manichino» nelle mani di Berlusconi. Il giudizio più feroce sul neoleader in pectore del Pdl. Roba da fare apparire Antonio Di Pietro un pacioso doroteo. C’è da scommettere che il guardasigilli quarantenne, politico tenace e gioviale, buon giocatore di basket e anche per questo abituato a incassare colpi, si sia fatto una risata. Mastica amaro invece l’Ingegnere. Neppure nel Pd, di cui si vantava di essere «la tessera numero 1», gli è andata bene: Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema hanno rialzato la testa ai danni del suo preferito Walter Veltroni. Gli ex comunisti «non sono riusciti a compiere un reale salto nella modernità» ha sentenziato De Benedetti. Che invece il salto lo ha fatto nello stalinismo, cercando di ridurre l’avversario a una nullità. La verità, sostengono i suoi detrattori nello stesso Pd, «è che l’Ingegnere vuole sminuire la nomina di Alfano perché teme il rinnovamento del Pdl: spera ancora che si dissolva quando Berlusconi lascerà». Campa cavallo... che intanto Alfano cresce.