Il Colle chiude il cerchio del potere. Il centrodestra resta fuori
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Politica

Il Colle chiude il cerchio del potere. Il centrodestra resta fuori

Il potere del Quirinale è un compasso che allarga il suo raggio tanto più si complica la crisi politica. Lega, Fi e Fdi ne sono esclusi. Il rischio è che anche in caso di vittoria alle elezioni restino espulsi dai giochi, soprattutto con l'Europa. E delegittimati a scegliere il futuro capo dello Stato.

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Il potere del Quirinale è un compasso che allarga il suo raggio tanto più si complica la crisi politica. La possibilità di una risoluzione lampo della rottura nella maggioranza del Conte bis è oramai sfumata e il potere del Capo dello Stato si è messo in moto. E non è mai un potere neutro o notarile, come certa dottrina giuridica ha fatto passare nelle facoltà di scienze sociali e nel dibattito pubblico, ma concreto e capace di indirizzare tanto più in un'era di partiti liquefatti e crescenti vincoli esterni europei.

Il Presidente della Repubblica per ora ha reso evidenti due piste: l'esclusione di un ritorno alle urne ed il mantenimento del perimetro della vecchia maggioranza del Conte bis. Inoltre, il Quirinale ha conferito il mandato esplorativo al Presidente della Camera Roberto Fico. Questa mossa se da un lato permette di proteggere il premier dimissionario Giuseppe Conte per evitare che venga bocciato da Renzi in prima battuta, dall'altro incentiva una contrattazione tra partiti che potrebbe indebolire il Presidente del Consiglio uscente. Di fatti, l'aver rimosso dal piatto della crisi la possibilità di scioglimento delle Camere rafforza indirettamente il potere negoziale di Renzi all'interno della maggioranza e mette al centro delle trattative proprio la poltrona di Palazzo Chigi.

Ma l'iniziativa del Quirinale evidenzia anche un'altra linea di faglia, quella con l'opposizione. Nella prospettiva disegnata da Mattarella non c'è spazio, almeno al momento, per maggioranze che coinvolgano Forza Italia (la cosiddetta "coalizione Ursula" che ricalca lo schema europeo) o il centrodestra nella sua interezza (si allontana così l'ipotesi di un governo di unità nazionale). Una linea che sembra stabilire un confine preciso tra europeismo ed euroscetticismo, con Forza Italia e le componenti centriste a flottare nella zona grigia tra i due schieramenti.

Il Quirinale dimostra con la sua decisione di non voler mescolare le carte tra i due opposti schieramenti senza aver tentato prima tutte le possibili risoluzioni all'interno della vecchia maggioranza. Un segno che le riserve sull'affidabilità del centrodestra sono ancora rilevanti e che un governo di unità nazionale è considerata una opzione extrema ratio. Ma anche, forse, l'espressione di una velata preferenza per mantenere intatta la composizione della maggioranza che dovrà eleggere il suo successore.

Se si alza lo sguardo dalle contingenze della crisi, si nota come questa cartografia del potere appaia pericolosa per il futuro del centrodestra che rischia una conventio ad excludendum permanente dalla possibilità di governare. In molti potranno obiettare che prima o poi le elezioni arriveranno e li vi sarà la resa dei conti con i partiti della sinistra arroccati al potere e lontani dal popolo e con un Movimento 5 Stelle spompato ed ectoplasmatico. L'impressione, però, è che questa interpretazione non voglia sino in fondo fare i conti con gli aspetti sistemici dello scenario politico. La prima complicazione potrebbe arrivare dalla riforma elettorale che renderebbe ulteriormente proporzionale il sistema politico. Essa sarebbe senza dubbio un fattore di instabilità per il centrodestra poiché Lega e Fratelli d'Italia sarebbero quasi certamente costretti, anche in caso di vittoria elettorale, a fare i conti con la galassia centrista. Questa eventualità potrà favorire operazioni di disarticolazione della destra sia per disgregazione interna che per intervento esterno, come già avvenuto prima con Gianfranco Fini nel 2010 e poi con Angelino Alfano nel 2014. Il secondo problema è che, rebus sic stantibus, il centrodestra non riuscirà non solo a eleggere un proprio candidato al Quirinale ma forse nemmeno a trovare un candidato fortemente condiviso con le altre forze politiche. Condizione sfavorevole secondo quanto prima illustrato, con un Capo dello Stato sempre più determinante nell'indirizzare la politica italiana. Il terzo scoglio, invece, è sia narrativo che di puro potere. La narrazione, funzionale alla sinistra e a gran parte dell'establishment, di una linea di faglia insormontabile tra l'europeismo e l'euroscetticismo rischia di essere un gran problema per la destra poiché rispecchia una volontà di potere, quella del vincolo esterno europeo. Pure se sul piano ideologico e politico tutto appare più sfumato all'osservatore senza pregiudizi, bisogna tenere conto dell'egemonia culturale avversa e della potenza dei processi di delegittimazione. Essere bollati come anti-europeisti significa partire, nel caso di un eventuale governo di centrodestra, col marchio d'infamia, anche e soprattutto agli occhi di Bruxelles e delle cancellerie straniere. È quanto accaduto con il primo governo Conte e si è visto come è andata a finire.

Questi tre aspetti non dovrebbero essere sottovalutati né dai leader del centrodestra né dai loro fiancheggiatori intellettuali. Si dovrebbe, invece, concretamente lavorare per evitare questa situazione. Se un governo di unità nazionale non sarà possibile, soprattutto per volontà della vecchia maggioranza e del Quirinale, allora si dovrà guardare alla prossima scadenza che è quella dell'elezione del nuovo Capo dello Stato. Rimanere fuori dalla partita proponendo nomi simbolici o candidati senza speranza di elezione relegherebbe il centrodestra in un angolo allontanandolo dal grande gioco del potere. Sarebbe meglio correre ai ripari con un nome condivisibile con l'attuale maggioranza e più conciliante con tutti, come quello di Mario Draghi ad esempio. Nel frattempo, sarà opportuno lavorare per rendere meno ostile il dibattito pubblico ed essere meno temibili e più affidabili agli occhi delle istituzioni europee, dei mercati e degli altri grandi Paesi. Ciò significa lavorare per guadagnarsi un posto all'interno dell'europeismo popolare e realista, che ospita molti partiti e leader della destra europea da Orban a Kurz, dai gollisti fino alla CSU bavarese. Gran parte della destra italiana troppo ama illudersi con le elezioni credendo che esse siano una sorta di evento catartico capace di rimuovere qualunque ostacolo istituzionale e che l'eventuale vittoria nell'urna basti ad assicurare un'ampia autonomia ed indipendenza nell'azione politica. Eppure basta osservare il comportamento del sistema politico italiano degli ultimi quindici anni per comprendere quanto ciò sia niente più che un'allucinazione.

In conclusione, soltanto con una saggia ponderazione degli eventi, coltivando la consapevolezza della realtà del potere e senza farsi inebriare dai fumi del consenso elettorale sarà possibile cementare una destra di governo che sappia resistere alla tenaglia del vincolo esterno e a quella dell'egemonia culturale.

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Lorenzo Castellani