L'uomo dei Benetton conferma: «Sapevamo che il ponte Morandi poteva crollare»
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Politica

L'uomo dei Benetton conferma: «Sapevamo che il ponte Morandi poteva crollare»

Al processo la drammatica confessione di Gianni Mion, ad della Holding Benetton che ha raccontato quanto emerso in una riunione del 2010: «Sapevamo di un problema strutturale; non abbiamo fatto nulla»

"Emerse che il ponte Morandi aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo. Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo mi rispose 'ce la autocertifichiamo'. Non dissi nulla e mi preoccupai. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico”.

Ascoltare, rileggere le parole pronunciate davanti ai giudici da Gianni Mion ex Ad della holding dei Benetton Edizione, ex consigliere di amministrazione di Aspi e della sua ex controllante, Atlantia, al processo per il crollo del Ponte Morandi vengono i brividi. Brividi di terrore e brividi di orrore. Terrore nel pensare ancora a quei morti, al grido di quel giorno in redazione quando arrivò dal papà di uno dei colleghi che viveva a Genova la notizia del crollo , ben prima che uscisse sulle agenzie. Ma soprattutto l’orrore; perché è con orrore che oggi qualcuno ammette quello che purtroppo temevamo: tutti sapevano, tutti hanno taciuto, tutti hanno evitato di intervenire. Ed ecco chi c’era in quella riunione di cui parla l’amministratore delegato tenutasi nel 2010: l'Ad di Aspi Giovanni Castellucci, il direttore generale Riccardo Mollo, Gilberto Benetton, il collegio sindacale di Atlantia e, secondo il ricordo del manager, tecnici e dirigenti di Spea.

Dal 2010 al 2018 questi alti dirigenti, azionisti, proprietari, concessionari (chiamatali come vi pare) hanno intascato miliardi e miliardi di utili, milioni di stipendi e bonus vari; hanno intascato denari anche da quel ponte che non hanno sistemato proprio perché chiuderlo avrebbe significato fermare la ruota della slot-machine del traffico e del pedaggio, quello si aumentato come da tradizione ogni 1 gennaio.

Se queste parole fossero confermate, e viene difficile pensare che si tratti di invenzioni, allora beh, c’è bisogno di pene severe. C’è bisogno di dare un segnale forte perché è evidente che dietro all’atteggiamento di quei dirigenti c’è anche l’idea che tanto in Italia «non si paga mai», nemmeno se ammazzi 43 persone che non avevano alcuna colpa. Che si aprano quindi le porte delle carceri, e a lungo; che si svuotino i conti in banca; che si tolga ogni incarico, ogni medaglia, ogni qualifica a chi è responsabile di una strage di Stato. Serve la mano più pesante possibile che si chiede di solito per i peggiori reati di mafiosi e terroristi.

Invece temiamo che finirà all’italiana, con la giustizia incapace di trovare il colpevole e quindi alla fine pronta a dire che sono tutti innocenti. Finirà con qualche ammenda, con al massimo domiciliari o servizi sociali mentre i pendolari sulle autostrade liguri solo nel 2028 potranno circolare liberi e sicuri al termine di quei lavori di manutenzione che la dirigenza di cui sopra per decenni ha evitato di fare. Pur sapendo che andavano fatti.

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Andrea Soglio