Conte incontra Draghi, ma è più nostalgia che politica
L'incontro finisce con un nulla di fatto, soprattutto sulla riforma della giustizia sulla quale il Governo tira dritto
Il sospetto è forte. Terminato l'incontro atteso tra Draghi e Conte c'è la sensazione che l'avvocato del popolo abbia organizzato tutto solo per tornare in quel palazzo per due anni la sua casa, la sua poltrona, lui, avvocato sconosciuto al paese, seduto sullo scranno di Palazzo Chigi, con due maggioranze diverse, due esecutivi diversi. Normale che ci abbia preso gusto e quindi che oggi ci sia stata un po' di nostalgia.
Lo prova la conferenza stampa di stamane sul piazzale, davanti ai cronisti schierati nella quale mancava solo il banchetto per i microfoni per riportarci ai tempi in cui provava aggrappandosi ai «responsabili» di non lasciare palazzo e poltrona.
Il succo dell'ora di incontro tra i due alla fine è tutta qui. Una cosa più personale che politica. Da quest'ultimo punto di vista è infatti andata come doveva andare, come vanno tutti gli incontri che Draghi da mesi fa con i vari capi dei partiti. Incontri definiti sempre allo stesso modo, scegliendo tra due parole: «costruttivo» o «proficuo». Questa volta è stata scelta la seconda a cui si aggiunge possibilmente un aggettivo tra «franco» e «cordiale» (e anche in questo caso ha vinto la busta numero 2).Perché di concreto è successo poco o nulla.
I bene informati infatti raccontano come il premier, quello attuale, abbia per lo più ascoltato il nuovo capo politico (al 50% con Beppe Grillo) del Movimento 5 Stelle e le sue richieste. Nulla di bellicoso al contrario di quello che il messaggio di due giorni fa sul web lasciava immaginare. Sulla giustizia infatti Conte ha così commentato con i cronisti: "Sulla riforma io per primo dico 'mettiamo da parte le ideologie'. Cosa vogliamo assicurare agli italiani? Una riforma della giustizia con tempi chiari e definiti ma anche assicurando il principio che alle vittime dei reati va assicurata giustizia. Non possiamo creare le condizioni di rischio che possano svanire nel nulla i processi. E queste sono preoccupazioni che devono riguardare tutte le forze politiche".
Aria fritta dietro cui si nasconde il messaggio di Draghi, suonato più o meno così: «Avvocato, ho capito la sua posizione. Ma la riforma difficilmente è modificabile e abbiamo anche fretta di approvarla. ce lo chiede l'Europa. Quindi, vedo se si può limare qualcosa ma altrimenti sono pronto a mettere la fiducia sul provvedimento…» e tanti saluti a Conte ed ai suoi propositi bellicosi.
Una cosa politica però Conte l'ha detta. Ha spiegato agli italiani il suo no alla candidatura nelle suppletive dove avrebbe potuto misurarsi con il gradimento degli elettori, per la prima volta: «Ho preso l'impegno prioritario di rilanciare il M5S. Se mi candidassi e fossi eletto mi ritroverei a frequentare pochissimo quell'aula per cui ho grande rispetto». Abbiamo quindi imparato oggi che tutti i segretari di partito che nella storia repubblicana hanno osato essere allo stesso tempo anche senatori ed onorevoli hanno mancato di rispetto ai due rami del Parlamento.
In realtà si chiama paura di perdere, e gli italiani lo sanno bene.
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