Conte contro Rousseau: muore il mito della democrazia diretta e digitale
La questione dei dati degli iscritti tra il leader grillino e Davide Casaleggio rischia di finire in tribunale. Con un solo risultato: l'addio alla democrazia del web
Erano partiti per fare una specie di Rivoluzione francese (ricordate l'enfasi robespierriana sul "cittadino"?). Poi erano passati alla scatoletta di tonno. Poi avevano proclamato l'abolizione della povertà. Adesso sono finiti alle carte bollate. L'eroismo tribunizio alla Danton si è trasformato in una banale bega legale: quella del divorzio dalla Piattaforma Rousseau. Sono giorni amari, questi, per il Movimento 5 Stelle, che sta battibeccando adesso con Davide Casaleggio sui dati degli iscritti. E, a scendere in campo, è stato il neo leader grillino, nonché avvocato, Giuseppe Conte.
"Casaleggio per legge è obbligato a consegnare i dati degli iscritti al Movimento, che ne è l'unico e legittimo titolare. Su questo c'è poco da scherzare, perché questi vincoli di legge sono assistiti da solide tutele, civili e penali", ha tuonato. "Se Rousseau", ha proseguito energico, "non vorrà procedere in questa direzione, chiederemo l'intervento del Garante della Privacy e ricorreremo a tutti gli strumenti per contrastare eventuali abusi. Non si può fermare il Movimento, la prima forza politica del Parlamento".
Il Movimento 5 Stelle insomma ha preso due piccioni con una fava: in un colpo solo si è infatti trovato un leader e un legale. Un bel vantaggio, certo. Anche se, a ben vedere, questa situazione mette anche in luce il fallimento strutturale in cui i grillini sono piombati. Questa bega lascia infatti trasparire un problema molto più complesso. Un problema che chiama direttamente in causa il mito della "democrazia diretta". E' noto che il Movimento 5 Stelle abbia costruito su questo elemento la propria fortuna politica: un elemento che, non a caso, doveva essere esemplificato proprio da colui che della democrazia diretta fu uno dei massimi teorici, Jean Jacques Rousseau. La volontà generale, il buon selvaggio, l'uomo in catene, sì lo sappiamo: tutto molto bello e interessante. Quello che magari salta meno all'occhio di questo filosofo (terribile e geniale) sono tuttavia due aspetti.
Il primo è che, oltre che della democrazia, Rousseau è stato anche giustamente considerato il teorico del totalitarismo. "Chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale sarà costretto a farlo dall'intero corpo. Il che significa soltanto che lo si costringerà ad essere libero", sentenziò nel Contratto sociale. D'altronde, la sua idea di "volontà generale" mal si sposa con il principio liberale dei diritti naturali (alla John Locke, per capirci). Insomma, alla volontà generale o ti adegui o ti adegui. Così come nel Movimento: o ti adegui alla linea di Grillo o sei fuori. C'è una certa coerenza, va riconosciuto.
L'altro aspetto poco battuto è che, sì, Rousseau invocava la democrazia diretta. Ma, rendendosi conto che fosse difficile da attuare, diceva anche che potesse funzionare per le piccole comunità, tendenzialmente per le città-stato, non certo per i Paesi con milioni di abitanti. Ebbene i grillini hanno pensato di ovviare al problema attraverso il web. E attenzione: non era un'idea isolata. Barack Obama, per esempio, era un altro convinto che la democrazia si sarebbe diffusa sui celeri binari di Internet. Le "primavere arabe" sembrarono addirittura dargli ragione. Poi però abbiamo visto come sono andate a finire (e ne stiamo ancora pagando le conseguenze).
Perché forse non bastano le piattaforme, i social, gli iscritti, i follower a mettere in campo un solido progetto politico. Succede, quando si scambia il mezzo con il fine. Ed è quanto esattamente accaduto ai grillini. La preminenza del web ha infatti impedito loro di costruire due fattori fondamentali: un'ideologia politica coerente e un effettivo radicamento territoriale. Due fattori che nel Movimento 5 Stelle hanno – ahilui – sempre latitato. Una situazione che lo ha portato, in una sadica eterogenesi dei fini, a trasformarsi nell'opposto di quello che sosteneva di essere. Prima partito antiestablishment, poi partito di establishment; prima filo-venezuelano, poi atlantista; prima acerrimo nemico del Pd, poi alleato del Pd; prima euroscettico, poi europeista. Svolte radicali e repentine, ogni volta (ufficialmente) sancite dal voto online di qualche migliaio di iscritti. Ripetiamo: qualche migliaio di iscritti (e stiamo parlando del più numeroso gruppo parlamentare in Italia). E attenzione, perché sarebbe troppo facile derubricare il tutto a smania di potere e attaccamento al cadreghino. Sicuramente questo aspetto è ben presente, sia chiaro. Ma non basta a spiegare questo tipo di condotta.
Il problema strutturale è quello che dicevamo prima: la più totale assenza di cultura politica non può che produrre questo stato di cose. Chi crede che basti nascondersi dietro il manto dell' onestà sbandierata per essere giudicato (o addirittura pretendere di essere giudicato) un buon politico, è totalmente fuori strada. Tacito lo disse di Galba: uomo rigorosissimo, ma imperatore scarsamente capace. Ed è proprio l'assenza di cultura politica che ha sfasciato il Movimento 5 Stelle. Un movimento che ha avuto la sua grande occasione di emanciparsi, ma che l'ha totalmente sprecata, mostrando tutta la sua inadeguatezza. Dopo la crisi di governo dell'agosto del 2019, anziché prendere coraggiosamente la strada delle elezioni anticipate, si è piegato in massa alla linea di Grillo, per governare assieme al nemico di sempre: quel Pd che – fino a pochi giorni prima – i grillini, lo ricordate, bollavano come "il partito di Bibbiano".
Il resto è storia recente. Le conferenze stampa di Conte e la "comunicazione" come metodo di governo: la retrocessione della politica agli istinti narcisistici di Instagram. Ecco a che cosa ci ha condotto la democrazia diretta sul web. E' vero che, come diceva Vergniaud, la rivoluzione divora i suoi figli. Ma qui non c'è stata rivoluzione. O meglio, c'è stata. Ma all'incontrario. Perché, dal berretto frigio, si è mestamente passati alla pochette.