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(Ansa)
Politica

La Cop26, un bicchiere più vuoto che pieno

L'assenza di alcuni paesi, il ritardo dell'India tengono lontani gli obiettivi della vigilia, ma non tutto di questa conferenza sul clima è da buttare

Mentre la conferenza sul clima di Glasgow è ancora in corso, in molti si staranno chiedendo quale sia il bilancio provvisorio dei risultati finora ottenuti. La risposta non può che partire dagli obiettivi prefissati prima dell'inizio della conferenza. Ci aspettavamo che tutte le 200 nazioni partecipanti si impegnassero in maniera vincolante a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e a drastiche riduzioni entro il 2030. In altri termini, gli ottimisti immaginavano un impegno per il raggiungimento di un punto di equilibrio entro metà secolo, quella situazione per la quale tutta la CO2 emessa viene assorbita dal suolo, le foreste e gli oceani. Qualunque altro risultato diverso da questo si tradurrebbe di fatto nell'impossibilità di mantenere l'innalzamento della temperatura media sotto il grado e mezzo.

Di fronte a questi obiettivi, ecco che cosa si è ottenuto finora. Il Primo Ministro indiano Narendra Modi ha annunciato un piano per il raggiungimento della propria neutralità solo entro il 2070 e non entro il 2050. Ha poi promesso di raggiungere il 50 per cento di energia rinnovabile entro il 2030 e nello stesso anno di ridurre le emissioni di CO2 di un miliardo di tonnellate. Se uno fa riferimento all'obiettivo della conferenza, allora l'annuncio del Primo Ministro indiano è senza dubbio deludente. Significa che la neutralità climatica del pianeta entro il 2050 non potrà essere raggiunta.

L'annuncio è deludente in particolare per i Paesi sviluppati che contano su una decisione eclatante da parte dei Paesi in via di sviluppo. Ma dal punto di vista di questi ultimi, che giustamente fanno ricadere sui primi la responsabilità di gran parte delle emissioni di origine antropica, la decisione dell'India di porre un limite alle proprie emissioni è una svolta storica. L'India è il quarto Paese al mondo per emissioni di biossido di carbonio, ma la sua enorme popolazione di circa 1,3 miliardi fa sì che le sue emissioni pro capite siano molto più basse di quelle di qualunque altra economia mondiale. Giusto per fare un confronto, nel 2019 l'India ha emesso 1,9 tonnellate di CO2 a persona contro le 15,5 tonnellate degli Stati Uniti e le 12,5 tonnellate della Russia.

Per parte sua, la Cina, il più grande emettitore di anidride carbonica con il 27 per cento del totale (contro l'11 per cento degli Stati Uniti, il 6,6 dell'India e il 6,4 per cento dell'Unione Europea), ha fissato il suo obiettivo di neutralità al 2060, con un picco delle emissioni nel 2030 e un impegno a sviluppare con vigore l'energia rinnovabile. Anche qui, come nel caso dell'India, la Cina chiede di tenere conto della storia e delle esigenze nazionali e punta il dito sugli Stati Uniti che non hanno ratificato il protocollo di Kyoto e si sono ritirati dall'accordo di Parigi.

Anche la Russia, che ha contribuito per il 6,9 per cento alle emissioni mondiali di CO2 dal 2050, non punterà a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 ma solo entro il 2060. Il suo obiettivo sarà comunque quello di ridurre le emissioni dell'80 per cento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050.

Sebbene il presidente degli Stati Uniti Joe Biden abbia promesso la neutralità entro il 2050 e un taglio delle emissioni del 50 per cento rispetto al 2005 entro il 2030, non è chiaro se il suo piano da 500 miliardi di dollari sull'energia pulita sarà approvato dal Congresso.

Scontata la posizione dell'Unione Europea, che conferma l'obiettivo della neutralità entro il 2050. Buone le notizie arrivano anche dal presidente del Brasile Jair Bolsonaro il quale si è impegnato alla neutralità entro il 2050 e a porre fine alla deforestazione entro il 2050.

Per quanto riguarda gli accordi sulla neutralità del biossido di carbonio raggiunti fin qui, si è quindi fatto solo un grande passo in avanti che non è però sufficiente per frenare l'aumento delle temperature oltre un grado e mezzo.

C'è poi un altro gas serra a minacciare il pianeta, il metano, che ha un effetto ancora più potente dell'anidride carbonica nel trattenere il calore. Qui si registra un altro enorme passo in avanti: se prima solo cinque Paesi si erano impegnati a un drastico taglio delle emissioni di metano, adesso sono 105 quelli che puntano a ridurre queste emissioni del 30 per cento rispetto ai valori del 2020 entro il 2030. Purtroppo, India, Cina e Russia non fanno parte di questo gruppo di Paesi volenterosi, capeggiati da Unione Europea e Stati Uniti. Anche nel caso del metano, dunque, un grande passo avanti ma ancora insufficiente.

Veniamo alla conservazione delle foreste esistenti, assolutamente necessaria per assorbire le emissioni e diminuire la perdita di biodiversità. Su questo fronte la buona notizia è un impegno a fermare la deforestazione entro la prossima decade sottoscritto dall'85 per cento delle nazioni, tra le quali quelle che hanno più foreste: Brasile, Cina, Colombia, Congo, Indonesia, Russia e Stati Uniti. Ecco la fotografia della situazione attuale: nel 2020 la perdita delle foreste tropicali primarie era cresciuta del 12 per cento rispetto al 2019. Ciò equivale a emettere il doppio dell'anidride carbonica emessa dalle auto negli Stati Uniti in un anno. Le foreste boreali dell'emisfero nord, che subiscono la lenta ma costante azione distruttrice di tagli e incendi, svolgono un ruolo altrettanto importante trattenendo 190 volte le emissioni globali emesse in un anno. Con la loro perdita viene accelerato lo scioglimento di permafrost e il rilascio di metano in atmosfera. Per avere un'idea di cosa possono fare le foreste bisogna pensare che tutte le foreste intatte del mondo hanno assorbito il 28 per cento dell' anidride carbonica emessa dal 2007 al 2016.

Affinché la conferenza di Glasgow sia un successo, nei prossimi giorni ci si aspetta che le nazioni che hanno inquinato di più dalla Rivoluzione Industriale a oggi si carichino di quella parte del fardello che le nazioni in via di sviluppo rifiutano. Questo significa impegni più severi sulle emissioni da parte di Usa ed Europa. Ma un ulteriore passo avanti da parte di India, Russia e Cina sarà cruciale perché questo avvenga.

Sono poi necessari altri impegni, quali quello di implementare gli obiettivi dell'Accordo di Parigi: una conversione più veloce alle auto elettriche, una maggiore protezione delle popolazioni lungo le coste, la fissazione di un limite sul consumo di carne e sul numero di voli di aereo dei vari Paesi. Idealmente, secondo alcune raccomandazioni delle Nazioni Unite, tutti i Paesi dovrebbero ridurre il consumo di carne e latticini del 20 per cento entro il 2030 e del 35 per cento entro il 2050.

Se su tutti questi punti non verranno fatti passi avanti, occorreranno azioni volte alla cattura dell'anidride carbonica. Questo significa l'uso di tecnologie di cattura in aggiunta alla riforestazione. Va in questo senso il progetto per ora in discussione di piantare mille miliardi di alberi entro il 2030. Un obiettivo impossibile da raggiungere perché significherebbe piantare circa 25 milioni di alberi al giorno. La strategia della cattura è comunque solo un modo di ritardare un disastro inevitabile, quello di un aumento delle temperature di circa 3 gradi entro fine secolo, con tutte le conseguenze devastanti per la vita delle specie viventi su questo pianeta.

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Luca Sciortino