Impatto e opinione di Usa e Chiesa nella crisi di governo
La nostra politica, si sa, da sempre è legata a queste due realtà da usarsi o meno a seconda delle convenienze. Anche in questa crisi
Si è talvolta ipotizzato che Matteo Renzi abbia innescato la crisi di governo, con un occhio alla nuova amministrazione americana. Non è dato sapere se le cose stiano realmente così. Eppure qualche segnale da Washington nelle attuali dinamiche italiane è possibile scorgerlo. Cominciamo col dire che l'Italia non sia esattamente al centro delle preoccupazioni americane. Un discorso che vale in generale, ma anche – e forse soprattutto – in questa fase storica. Alle prese con la gestione interna della pandemia, anche sul piano della politica estera è tutto da dimostrare che la Casa Bianca avrà in reale considerazione il nostro Paese: soprattutto se, come non escludibile, Washington mirerà a giocare di sponda con la Turchia. Una circostanza che, qualora si verificasse, assesterebbe a Roma un duro colpo in Libia. Qualcuno sostiene che la nuova amministrazione possa far leva sull'Italia in chiave antitedesca: uno scenario al momento non così probabile, visto che – per arginare eventualmente Berlino – Joe Biden ha già fatto chiaramente capire di voler rafforzare i propri legami con Parigi (non a caso Emmanuel Macron è stato il primo leader dell'Unione europea ad essere contattato dal neo presidente americano).
Eppure bisogna fare attenzione. Perché, se gli Stati Uniti non si curano eccessivamente delle sorti italiane, ben diverso è il loro interesse per quanto concerne il Vaticano: Vaticano di cui Biden ha bisogno sia sul fronte della diplomazia internazionale che su quello della politica interna. Ed è quindi questa attenzione americana alla Santa Sede che parrebbe intersecarsi con la nostra crisi di governo. Iniziamo col ricordare che il Vaticano nutra al momento una significativa simpatia nei confronti di Biden. Nonostante la distanza sui temi eticamente sensibili, da Oltretevere si guarda con benevolenza verso la nuova Casa Bianca, soprattutto in materia di immigrazione, multilateralismo e ambiente: tutte questioni rispetto a cui Papa Francesco, nella sua ultima enciclica Fratelli Tutti, aveva vividamente sottolineato un'abissale distanza da Donald Trump. Se vogliamo, i punti decisivi sono proprio multilateralismo e ambiente: i punti, cioè, che costituiscono la vera impalcatura della distensione tra Casa Bianca e Santa Sede. Non a caso, questi due elementi trovano la propria sintesi negli accordi di Parigi: accordi da cui – ricordiamolo – Trump si era ritirato e che invece, con un recente ordine esecutivo, Biden ha nuovamente abbracciato. Per capirne l'importanza, bisogna tuttavia andare oltre la superficie.
È vero: sia Biden che Bergoglio hanno fatto della lotta al cambiamento climatico una delle proprie priorità. Tuttavia quello che spesso sfugge sul tema degli accordi di Parigi è che si tratti di un'intesa fortemente caldeggiata anche dalla Cina. Non sarà un caso che parte del mondo conservatore americano abbia definito il rientro statunitense negli accordi di Parigi come un "regalo" a Pechino: una Pechino che ne trae vantaggio sia in termini energetici che geopolitici. Non si può allora non pensare a un dossier parallelo che, soprattutto da alcuni mesi, sta particolarmente a cuore alla segreteria di Stato vaticana: quello, cioè, dell'intesa con la Cina (siglata nel 2018 e recentemente rinnovata). Un'intesa che – ricordiamolo – fu osteggiata dall'amministrazione Trump e rispetto a cui la nuova Casa Bianca – almeno per ora – non si è ancora chiaramente espressa. Certo: qualcuno potrebbe evidenziare il fatto che Biden abbia promesso un approccio duro nei confronti della Repubblica Popolare. Resta però il fatto che il Vaticano (che ha da tempo chiarito di voler proseguire sulla via del disgelo con Pechino) abbia puntato proprio su Biden (e non su Trump) nel corso dell'ultima campagna elettorale americana. Eppure – come detto – il rientro degli Stati Uniti negli accordi di Parigi costituisce tutt'altro che una mossa anticinese.
E veniamo quindi a noi. Non è un mistero che il governo giallorosso abbia sempre riscosso la simpatia della Santa Sede: non solo il Conte bis è stato sovente interpretato Oltretevere come una coalizione in grado di mettere all'angolo i sovranisti d'ispirazione trumpiana. Ma è stato anche visto – soprattutto nella sua componente grillina – come un'entità abbastanza propensa ad aprire alla Cina. È pur vero che i giallorossi abbiano talvolta sottolineato la "benedizione" che Trump diede, nell'agosto del 2019, alla nascita del Conte bis attraverso il famoso tweet di "Giuseppi". Va tuttavia anche ricordato che, molto probabilmente, si trattò di un favore quasi personale dell'allora presidente americano al premier italiano che, in occasione del G7 di Biarritz, lo aveva spalleggiato sulla questione del reintegro della Russia. Tanto più che, dall'immigrazione al fisco, il governo giallorosso non è granché tacciabile di connotazioni ideologiche trumpiane.
Eppure adesso qualcosa sembra essere cambiato. È infatti altamente probabile che, sia a Washington sia in Vaticano, i crescenti scricchiolii in seno alla maggioranza (così come la spasmodica ricerca di "costruttori" in grado di puntellarla) siano stati visti con non poca preoccupazione. In tale quadro, si sono di recente verificati movimenti difficilmente considerabili come casuali. Nelle scorse ore, il neo segretario di Stato americano, Tony Blinken, ha telefonato al titolare della Farnesina, Luigi Di Maio. Ora, è senz'altro possibile leggere questa conversazione come semplice routine. E però, a voler pensar male, qualcuno la interpreta in altro modo. Non telefonando direttamente a Conte – che pur dimissionario, è sempre il premier – non è escludibile che Washington abbia di fatto "scaricato" il fu avvocato del popolo. A tutto questo va aggiunta la recente presa di posizione del presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, secondo cui i vescovi stanno guardando "con attenzione e preoccupazione alla verifica politica in corso, in uno scenario già reso precario dalla situazione che stiamo vivendo". Tutto questo auspicando "che la classe politica collabori al servizio dei cittadini, uomini e donne, che ogni giorno, in tutta Italia, lavorano in operoso silenzio". Parole che, secondo qualcuno, non suonerebbero troppo rassicuranti per Conte.
È quindi difficile pensare che tutti questi "segnali" non verranno, per così dire, "captati" dal Quirinale. Ne consegue che la strada per un Conte ter si stia facendo sempre più stretta. Senza contare che, anche qualora riuscisse miracolosamente a restare in sella, l'attuale premier si ritroverebbe comunque ridimensionato. Non è infatti alle elezioni anticipate, ma a due altri scenari che Washington e la Santa Sede stanno probabilmente guardando. Uno è quello di un esecutivo di larghe intese. Eventualità, questa, rispetto a cui Conte avrebbe soltanto due possibilità: o saltare o ritrovarsi di fatto sostanzialmente commissariato. L'altro scenario è invece quello di un governo istituzionale. Due tipologie di esecutivo, dalla cui eventuale composizione si potrebbero forse capire anche gli attuali equilibri in seno alla Santa Sede (dove la ripresa di un dialogo con gli schieramenti del centrodestra starebbe lentamente iniziando a non essere più considerata un tabù).