De Sio: «Al Pd manca un reale campo largo»
L'analisi del politologo della Luiss sulla sconfitta pesante della sinistra nelle amministrative di due giorni fa
«Il nuovo tracollo elettorale del centro-sinistra è da ricondurre alla pessima interpretazione della legge elettorale maggioritaria delle elezioni amministrative». Così il politologo Lorenzo De Sio, direttore del CISE (Centro italiano studi elettorali) della Luiss di Roma commenta il risultato dei ballottaggi di domenica e lunedì scorsi con la netta vittoria del centrodestra e la crisi profonda soprattutto del Pd e del M5S.
Professore, la domanda è quasi scontata: cosa c’è dietro l’ennesima débacle elettorale della sinistra italiana subìta alle ultime elezioni amministrative?
«Più che della sinistra si è trattata specificamente di una sconfitta del campo complessivo del centro-sinistra, ovvero di quelle forze (tra cui il Pd e il M5s) votate dagli elettori che si collocano a centrosinistra e a sinistra. Come nelle politiche del settembre scorso, queste forze non sono riuscite a presentarsi in modo sistematico come coalizione, ovvero con strategia, candidati e progetti comuni.
Da dove vengono queste difficoltà?
«In questi anni il sistema dei partiti italiani sta cambiando. L’esperienza del governo gialloverde, tra 2018 e 2019, ha fatto cambiare pelle al M5S che dal 2019 in poi ha ormai un elettorato (intorno al 16%) che ha chiaramente posizioni di centrosinistra. Non a caso il governo Conte II ha visto la collaborazione tra Pd e M5S, ma poi l’esperienza del governo Draghi (e della sua caduta) ha esacerbato le tensioni tra Pd e M5S, impedendo di formare una coalizione».
Ma perché è importante formare coalizioni?
«Per un motivo molto semplice. In Italia tutti i sistemi elettorali, in parte per le politiche ma in modo chiarissimo per le amministrative, hanno leggi elettorali sostanzialmente maggioritarie che comportano un confronto serrato tra due grandi coalizioni. E per vincere, un requisito imprescindibile è quello di costruire schieramenti i più ampi possibili».
Una norma non scritta, non sempre compresa dai partiti…
«Non tutti, per la verità. Il centro-destra invece l’ha capita perfettamente, già dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi: Berlusconi si adoperò allo spasimo, nel 1994, per mettere insieme addirittura Lega Nord e Alleanza nazionale, avendo ben compreso che il primo requisito per assicurarsi la vittoria risiedesse nel poter contare su un‘ampia coalizione elettorale».
Cosa che nel centro-sinistra evidentemente non hanno compreso…
«I partiti del campo del centro-sinistra fanno e continuano a fare grande fatica nell’adottare tale schema, continuando a pagare con cocenti sconfitte sul campo questo limite. Tenuto conto che, come dicevamo prima, siamo in una fase di transizione dopo anni e anni in cui il M5S si era sempre definito in modo trasversale, né di destra né di sinistra. Fino al 2018…».
Cosa accade nel 2018?
«Dopo le elezioni del 2018, durante il primo governo giallo-verde, nella divisione del lavoro tra Cinque Stelle e Lega, i “grillini” puntarono sul cavallo di battaglia della loro campagna elettorale, ovvero il reddito di cittadinanza, argomento tipicamente “di sinistra”. Questo comportò che una notevole percentuale di voti passasse dai 5Stelle alla Lega: infatti molti dati ci dicono come tra il 2018 e il 2019, con il dimezzamento del partito di Beppe Grillo, quanti rimasero fedeli ai 5Stelle fossero sostanzialmente elettori ideologicamente di centro-sinistra. E da allora è ancora così».
Il sistema maggioritario consiglierebbe quindi un realismo politico: dare vita ad ampie coalizioni…
«Imporrebbe di costruire la coalizione elettorale e di governo, esattamente come si continua a fare nel centro-destra, dove, pur litigando su molti temi, alla fine riescono sempre ad aggregarsi, raccogliendo il successo elettorale. Invece il sentiero del c.d. “campo largo” rimane ancora ostico per il centro-sinistra, ora per errori dei 5Stelle ora per errori del Partito democratico. Insomma, se il campo di “centro-sinistra” continua a perdere è perché non ha deciso di rafforzarsi in senso aggregativo».
Intanto a 90 giorni dal suo insediamento, Elly Schlein non ha ancora trovato la quadra…
«Della nuova segretaria del Pd, l’aspetto che mi aveva colpito era che all’indomani delle primarie, proprio in apertura del discorso di insediamento, la Schlein avesse chiaramente messo l’accento sui temi della diseguaglianza economica: temi cari a quell’elettorato -che il Pd aveva tralasciato da alcuni anni- e che soprattutto rappresentavano un buon terreno di convergenza con lo stesso Movimento 5Stelle».
Promessa mantenuta?
«Invece abbiamo assistito in questi mesi a una campagna nettamente più silente; quasi a dare l’impressione di non volersi esporre più di tanto. Forse perché i candidati erano stati scelti sotto la segreteria precedente?».
Ma così facendo la giovane segretaria continua a rimanere silente…
«Eh sì, questa purtroppo non può essere una strategia vincente. E il risultato è che non si percepisce chiaramente la sua linea politica, nè i temi su cui si attiverà maggiormente, nè su quali candidati vorrà scommettere per le elezioni europee dell’anno prossimo. Il Pd appare agli occhi dell’opinione pubblica un partito che deve ancora esprimersi, anche rispetto al governo che ha tolto il reddito di cittadinanza e che ha allargato le maglie delle sanzioni per l’evasione fiscale. Temi su cui l’elettorato di centro-sinistra verosimilmente si attende posizioni chiare…».
C’è un punto che ci stuzzica: l’appuntamento elettorale amministrativo è stato sempre visto come un “feudo” del centro-sinistra: qualcosa è cambiato?
«Ormai questa tendenza è un ricordo del passato, sostanzialmente vera almeno fino alle elezioni amministrative del 2015/2016. Sino a quell’epoca, infatti, aveva retto lo schema escogitato per le città nel corso degli anni Novanta, cioè l’intesa tra Partito popolare e Democratici di sinistra: si era trattato di un messaggio che le forze del centro-sinistra davano di una forte inclusività sociale».
Poi qualcosa è cambiato, evidentemente.
«Certo, effetto della svolta impressa da Matteo Renzi al Partito democratico all’indomani delle elezioni europee del 2014: l’allora segretario cercò di riposizionare il Pd verso posizioni centriste (Jobs act, La buona scuola…) rompendo i legami con la sinistra più radicale e scegliendo candidati moderati nelle città. In realtà, da quel momento, il centro-sinistra inizia a faticare molto anche nelle storiche roccaforti cittadine, che da sempre rappresentavano un terreno di agevole vittoria».
Moderare il Pd non è servito ad inanellare vittorie, ma soltanto sconfitte, quindi.
«Temo che la sintonia tra Pd ed il proprio elettorato si sia persa. E lo vedo da vicino: sono toscano di origini e di residenza e il feudo rosso che questa terra rappresentava è ormai un ricordo sbiadito; quando si gioca con l’identità dei partiti si rischia di correre seri rischi, e il Pd appare aver smarrito la sua base identitaria tradizionale senza essere riuscito a inventarne una nuova in grado di rappresentare le esigenze del suo elettorato progressista. Città come Pistoia, Pisa e Siena dimostrano questo assunto: stravolte nella tradizionale e fedele stabilità politica che era durata decenni».
Sarà dura risalire la china!
«Il Pd (e il M5S, che deve “rassegnarsi” a collaborare in quel campo) è chiamato a ricostruire questo legame con i candidati e i dirigenti, oltre che con il territorio: manca da molto l’idea di una coalizione ampia su cui investire, e con la sfiducia montante è più difficile mobilitare gli elettori. Ma si tratta di un passo necessario per una democrazia sana e competitiva, con due grandi coalizioni tra cui gli elettori possano scegliere».
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Lorenzo De Sio è professore ordinario di Scienza Politica presso la LUISS Guido Carli e direttore del CISE - Centro Italiano di Studi Elettorali. Già Jean Monnet Fellow presso lo European University Institute, Visiting Research Fellow presso la University of California, Irvine, e Campbell National Fellow presso la Stanford University, è membro di ITANES (Italian National Election Studies), e ha partecipato a vari progetti di ricerca internazionali. I suoi interessi attuali vertono sull'analisi quantitativa dei comportamenti di voto e delle strategie di partito in prospettiva comparata. Tra le sue pubblicazioni, accanto a vari volumi in italiano e in inglese, ci sono articoli apparsi su American Political Science Review, Comparative Political Studies, Electoral Studies, Party Politics, West European Politics, South European Society and Politics, oltre che su numerose riviste scientifiche italiane.