Al via la partita a Poker per il Quirinale, l'emblema del compromesso
Si comincia con il primo voto, a scheda bianca, mentre sotto traccia si lavora, come sempre accaduto nella storia repubblicana, tra veti, passi indietro come in una partita a poker
L’elezione per il Quirinale rappresenta la massima manifestazione, nel bene e nel male, del compromesso politico. Si gioca d’astuzia, di ipocrisia, di sussurri e grida.
Il primo mito da sfatare, in queste ore, è che il presidente debba essere necessariamente scelto a larga maggioranza. Altrimenti è uno strappo alla Costituzione. Niente di più falso. Basti pensare al ritornello di Enrico Letta sul “presidente non divisivo”. Ricordiamoci che nel 2006 il centrosinistra impose Napolitano agli avversari dicendogli in sostanza: “Noi ce lo votiamo da soli. Prendere o lasciare. Se non vi va bene, l’alternativa è D’Alema”. Questa era la delicatezza con la quale l’allora Unione di Romano Prodi affrontava le trattative. Oggi però che la sinistra non può dare le carte, risuona l’allarme democratico all’ipotesi che il centrodestra esprima un suo nome: prima hanno detto no a Berlusconi, poi hanno detto no a qualsiasi nome di area, domani verranno a dirci che l’unico nome buono è quello di Rosy Bindi. La verità è che nella storia repubblicana ci sono stati ottimi presidenti eletti con uno scarto minimo, come ad esempio Luigi Einaudi, Antonio Segni, il già citato Napolitano. Fa parte del gioco, anche se qualcuno in questi giorni interpreta le regole come più gli aggrada.
Un altro mito da sfatare è quello per cui occorre “fare presto”. Non c’è un secondo da perdere, tocca scegliere il capo dello Stato alle primissime votazioni, altrimenti saremmo di fronte a un “fallimento della politica”. Scampanare l’emergenza (economica o sanitaria) è un espediente che ultimamente funziona molto bene quando si tratta di imporre maggioranze e governi che in altri frangenti non passerebbero mai. Giova ricordare, anche qui, che solo Ciampi e Cossiga vennero eletti al primo scrutinio: gli altri presidenti hanno raccolto il consenso del parlamento dopo giorni, spesso al termine di battaglie all’ultima scheda. Facendo una media matematica, gli inquilini del Quirinale sono stati eletti dopo una media di 9-10 votazioni: non esattamente elezioni-lampo. La scheda bianca, insomma, non è un affronto: è praticamente la regola nei primi scrutini. E nessuno si è mai lamentato. Chi oggi mette fretta al Parlamento sta portando avanti una precisa linea politica: quella di far rotolare la pallina sul piano inclinato più in fretta possibile, per far si che vada nella buca del flipper quanto prima, per materializzare la scelta di Draghi o del Mattarella Bis. Qualcuno addirittura tira in ballo la pandemia del Covid per mettere la fregola al parlamento, come se consentissimo al Coronavirus, che già ci ha pesantemente sconvolto l’esistenza, persino di condizionare l’elezione del capo dello stato.
Il punto è che metà del Paese ha un orientamento di centrodestra. E non è fuorilegge immaginare che quella parte politica, pur non avendo una solida maggioranza sulla carta, possa per una volta avere il pallino della partita avanzando delle personalità culturalmente affini alla sua storia. Chi si oppone a questo percorso, lo fa solo per i propri interessi, e non certo per l’unità della Nazione.