Elezioni Regionali: perché l'affluenza è stata così in calo
La vittoria di Pirro e la dura legge del voto nei risultati del voto in Emilia Romagna e Calabria
I risultati elettorali in Emilia Romagna e in Calabria hanno un solo titolo, si tratta della più classiche delle vittorie di Pirro. Male l'affluenza, bene i risultati: 2-0 netto è stato l’immediato commento del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, subito dopo essere stato informato dell’esito delle urne. Ma, una cosa è certa, non c’è assolutamente da stare allegri.
In quella che una volta era chiamata la roccaforte della sinistra, si è registrata un’affluenza da minimi storici, 37,8% e, soprattutto il Partito democratico, ha perso, rispetto al voto delle elezioni Europee di maggio, quella che fece cantare al trionfo lo stesso Renzi, circa l’8%.
Il primo commento del neo governatore, Stefano Bonaccini, è stato che non si può essere soddisfatti di una partecipazione così bassa, sapevamo che avremmo pagato sia l'inchiesta sia il fatto che un pezzo di Pd ha voluto mandare un segnale, come dire c’è una parte del partito che ha remato contro. Questo perché?
I precedenti di D'Alema e Berlusconi
Renzi non è il primo capo del Governo italiano, e non sarà certamente l’ultimo, a subire la dura legge del voto. Prima di lui, per rimanere negli anni della Seconda Repubblica, ci sono passati Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi. D’Alema, l’acerrimo nemico dello stesso Renzi e che, come Renzi non era passato per la legittimazione delle elezioni politiche ma nominato a Palazzo Chigi, arrivò addirittura a dimettersi dopo la cocente sconfitta alle elezioni regionali della primavera del 2000. Berlusconi, dopo lo straripante successo delle politiche del 2001, fu costretto a passare per le forche caudine delle elezioni europee del 2004 che registrarono il successo dell’Ulivo e che fecero da apripista alla successiva sconfitta del 2006.
Fino a un paio di mesi fa i giornali e i telegiornali, grazie anche all’ottima campagna promozionale di auto-celebrazione dello stesso premier, non facevano altro che raccontare di un capo del Governo mai così amato dagli italiani da far impallidire anche i leader europei. Tuttavia, per quanto ci si possa scervellare in analisi politiche sui probabili flussi elettorali e sulle ragioni di un successo o di una sconfitta, il bello della democrazia, però, è che il vero potere è in mano agli elettori, di qualunque colore politico essi siano.
Le ragioni del calo dell'affluenza
Uno dei motivi che sicuramente ha influito, più di ogni altro, in questo risultato è stato, senza ombra di dubbio alcuno, quel tipo di atteggiamento da uomo solo al comando messo in atto dal capo del Governo sin dal giorno del suo insediamento.
Dal punto di vista storico tutti i leader carismatici, e l’elenco sarebbe sterminato, hanno sempre beneficiato di questo tipo di situazione, riscuotendo, nel breve periodo, ottimi risultati a cominciare proprio dal consenso popolare e, i sondaggi della scorsa estate – inizio autunno, lo dimostravano. Alla lunga, però, questo tipo di scelta, si è sempre rivelata deleteria e suicida per l’uomo in questione ma, soprattutto, per il Paese che decide di perseguire questa strada affidandosi ciecamente al proprio leader. Basta sfogliare un qualsiasi libro di Storia per avere l’imbarazzo della scelta.
Per quanto riguarda Matteo Renzi, la sterminata sequela di annunci di riforme da mettere in atto e mai viste realmente, il desiderio morboso di trovare ogni giorno un nemico da combattere e, non ultimo, il cerchio magico di cui circondarsi, hanno prodotto proprio la più classica delle vittorie di Pirro.