Nel Decreto Ucraina bis spunta a sorpresa la norma sulle materie prime critiche
Polemiche sulla norma che vieta l'export e mette in crisi diversi comparti dell'industria e di cui nessuno sapeva nulla
Non era nella bozza del decreto Ucraina bis e non ne avevano parlato i ministri in conferenza stampa con Draghi dopo il consiglio dei ministri, ma alla fine è stata inserita nel testo ufficiale del decreto pubblicata la norma sull’export delle materie prime dall’approvvigionamento critico.
L’intervento è molto controverso, e non solo non erano d’accordo tutte le parti della filiera ma neppure tutti i ministri. L’articolo 30 del decreto prevede che i rottami ferrosi, anche non originari dell'Italia, costituiscono materie prime critiche e la loro esportazione e' soggetta all'obbligo di notifica, mentre rinvia a successivo dpcm l’individuazione delle materie prime critiche “sulla base della rilevanza per l'interesse nazionale e del pregiudizio che deriverebbe dall'operazione, anche in relazione alla necessita' di approvvigionamento di filiere produttive strategiche”.
L’articolo stabilisce che le imprese italiane o stabilite in Italia che intendono esportare, direttamente o indirettamente, fuori dall'Unione europea le materie prime critiche individuate o rottami ferrosi hanno l'obbligo di notificare, almeno dieci giorni prima dell'avvio dell'operazione, al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale una informativa completa dell'operazione. Pena una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 30 per cento del valore dell'operazione e comunque non inferiore a euro 30.000 per ogni singola operazione”.
Una semplice notifica dunque, per il momento, e il rinvio a un successivo dpcm per l’elenco delle materie prime critiche, mentre vengono già inseriti i rottami.
Questi costituiscono la materia prima di oltre il 90 per cento delle aziende siderurgiche italiane, che, tranne l’Ilva di Taranto, vanno tutte a forno elettrico quindi sono alimentate da rottami di acciaio e ferro.
La misura come abbiamo detto porta direttamente la firma del ministro Giorgetti, che la scorsa settimana si era recato in fabbrica da Feralpi per incontrare il vicepresidente di federacci Giuseppe Pasini che aveva fortemente richiesto l’intervento.
“Porre un freno all'uscita di materie prime dal nostro paese per evitare che il settore dell'acciaio, già colpito dal caro energia, rischi di collassare- aveva detto Federacciai- Su 24 milioni di tonnellate di acciaio prodotto in Italia, una ventina sono realizzati con il rottame, per noi una materia prima fondamentale. Ce ne mancano circa 3-4 milioni, ma se adesso ci si mette l'export, non verso i paesi dell'Ue dove il mercato è aperto, ma verso paesi fuori Unione, che hanno regole diverse, per noi si crea un problema gravissimo" Senza considerare che con l'attuale situazione i mercati sono nel caos. "Noi compravamo tantissimo dai Balcani e dalla Russia, Ora ovviamente in quadro è completamente diverso”.
Non è dello stesso avviso Assofermet, l’associazione delle imprese italiane che operano nel ramo del commercio di rottami e materie prime per il comparto metalsiderurgico, che nei giorni scorsi avev ainviato una lettera a Giorgetti chiedendo il mantenimento dei flussi commerciali in uscita.
Abbiamo sentito il direttore Luca Carbonoli che ci ha spiegato che in realtà le esportazioni di rottame italiano costituiscono, dati alla mano, un quantitativo veramente esiguo e trascurabile rispetto al Fabbisogno interno della siderurgia nazionale, che non desta preoccupazione alcuna e che dimostra che i fornitori di rottame che Assofermet rappresenta, sono da sempre i più legati ai produttori nazionali di acciaio e mai ne hanno messo in pericolo i quotidiani approvvigionamenti, alimentando una siderurgia che è divenuta, nella storia, la prima in assoluto tra tutte nell’Unione per la produzione di acciaio da rottame, grazie al processo di rifusione al forno elettrico, primo in Europa per quantità.
Nel merito, prendendo come esempio i dati sull’anno 2020 risulta che l’Italia ha esportato verso i Paesi extra Ue solo 450.000 tonnellate di rottame ferroso, importandone non più di 307.000 tonnellate; mentre ha acquistato dai Paesi Membri UE 4,891 milioni di tonnellate, e, a sua volta, ha effettuato cessioni per sole 210.000 tonnellate.
Questo a fronte di un consumo totale stimato (Anno2020) da parte della Siderurgia nazionale di circa 20 milioni di tonnellate di rottame ferroso. Questi dati, secondo Assofermet, dimostrano che senza andare alla ricerca di rottame ferroso presso altri Paesi terzi, in ambito Ue il rottame necessario alla siderurgia nazionale è presente in grande abbondanza e come tale viene di regola acquistato senza difficoltà alcuna di reperimento, in quanto disponibile”.
Secondo Assofermet inoltre: «L’introduzione di Misure restrittive determinerebbe, automaticamente, un enorme eccesso di Offerta sul mercato Ue, la cui grandezza in termini di volumi, in assenza di una domanda interna strutturalmente capace di assorbirne il gettito a disposizione, provocherebbe inevitabilmente: un crollo delle quotazioni non solo del rottame, ma anche dei prodotti di acciaio a valle, con particolare riflesso sulla produzione siderurgica di prodotti lunghi, ma anche sui piani (o i tubi senza saldatura) prodotti da rottame; un grave nocumento per tutte le Imprese che dalle loro lavorazioni, producono Scarti di lavorazioni costituiti da rottami ferrosi “nuovi”; una perdita di valore del rottame derivante dal cosiddetto “fine vita” di manufatti/beni finiti, così come del rottame proveniente dalle demolizioni più in generale; l’impossibilità di ricollocare fisicamente il rottame in eccedenza nel ciclo produttivo con un grave rischio ambientale per la collettività e insormontabili problemi a livello di autorizzazioni (Stoccaggi massimi ammessi) per gli Impianti di recupero che rappresentiamo, impedendone, di fatto, la trasformazione da rottame classificato come “rifiuto”, a rottame “End of Waste” (EoW); infine, ai fini della “Circular Economy” stessa, non renderebbe più economicamente sostenibile la raccolta e il recupero di determinate tipologie di rottame ferroso di scarso valore, interrompendone il ciclo di raccolta, disciplinato tra l’altro dalla normativa sui rifiuti.
Per Federacciai con questa misura il governo mette il settore del rottame sotto osservazione e riconosce che è una materia prima strategica. Un primo gradino dunque.
“Il costo del rottame - ha riferito il Presidente Banzato- è da sommare a quello dell’energia. Un combinato disposto micidiale. L'anno scorso per un megawattora si pagavano 60 euro, in questi giorni si raggiungono punte di 600 euro". Competere in queste condizioni diventa veramente difficile. "Siamo la seconda manifattura europea, importantissima sia per quantità che qualità elevatissima -dice- ma Francia e Germania hanno già varato provvedimenti più forti di quelli che sono stati fatti in Italia. La Francia aveva stanziato fondi per fornire energia a un prezzo cappato a 46 euro a megawattora per coprire il 60% delle loro necessità prima della guerra". Per giocarsela al meglio al sistema delle acciaierie "basterebbe che si riuscisse almeno a calmierare il prezzo attorno ai 100 euro a megawattora, anche se ovviamente per competere al meglio si dovrebbe stare attorno ai 50 euro. Certo la situazione complessiva è difficile, ma si deve intervenire". Secondo Banzato il rischio a lungo termine "è che si perdano anche dei posti di lavoro. Al momento la filiera gode del paradosso di avere il portafoglio ordini pieno, con un mercato effervescente, dove si iniziano a vedere i primi effetti del pnrr, ma una situazione di questo genere non si riesce a reggere a lungo".
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