Emilia Romagna, la colpa è della scarsa manutenzione, non del cambiamento climatico
Nonostante gli allarmi sulla scarsa manutenzione dei fiumi e sull’incuria, la Regione Emilia-Romagna, da sempre guidata dalla sinistra, ha fatto orecchie da mercante. Parlano i documenti.
«Apprendista al Bagno Malusi di Milano Marittima». Come dettaglia il curriculum istituzionale, Michele De Pascale è stato in gioventù un aitante e valoroso bagnino. Vent’anni dopo, il sindaco di Ravenna è l’aspirante governatore del Pd, nella sempre rossa e perennemente allagata Emilia-Romagna. Una certa dimestichezza con l’acqua non l’ha però convinto a trasformare l’atavica emergenza idrogeologica nel dirimente tema della campagna elettorale. Eppure, da maggio 2023 allo scorso ottobre, la regione è stata travolta dal fango quattro volte. La conta è angosciante: 18 morti, oltre dieci miliardi di danni e almeno centomila sfollati. Agli sventurati adesso non rimane che scrutare con angoscia il cielo e pregare l’Altissimo, sperando nella clemenza del meteo. Intanto si vota tra il 17 e il 18 novembre, assieme all’Umbria, per scegliere il successore di Stefano Bonaccini, che è rimasto in carica otto anni e ora siede all’europarlamento. Contro De Pascale, il centrodestra candida Elena Ugolini: direttrice delle scuole Malpighi di Bologna ed ex sottosegretaria all’Istruzione.
Prima comunisti, poi diesse, infine piddini. In Emilia-Romagna c’è sempre stata la sinistra al potere, con un vecchio presidente e un’ex vice governatrice diventati persino segretari del Nazareno: Pierluigi Bersani ed Elly Schlein, insomma. L’attuale leader, a ulteriore riprova della fucina di talenti, s’era pure sfidata alle primarie con Bonaccini, allora suo superiore. Così, dopo quattro alluvioni in 16 mesi, alla vigilia dell’ennesima tornata, tocca chiedersi: è stato soltanto l’inesorabile destino climatico o ci sono anche responsabilità politiche? Carte alla mano, la domanda sembra perfino pleonastica. E non sono gli avversari a dirlo, ma decine di documenti. L’ultima a bacchettare è la Corte dei conti dell’Emilia-Romagna. Un mese fa ha presentato il rendiconto del bilancio regionale. Tra le spese monitorate, ci sono pure «i necessari interventi sui bacini fluviali». Perché il punto, soprattutto, resta quello: argini deboli, fiumi che esondano, alvei strapieni di sporcizia. E a tracimare sono sempre gli stessi torrenti.
La magistratura contabile eccepisce sull’«accumularsi di residui attivi, sintomo di cattiva capacità di spesa». Ma anche «sul rischio di perdita di risorse economiche comunitarie e sull’efficacia degli uffici tecnici regionali». Si riferisce ai 47 milioni di donazioni private e ai 48,2 milioni di fondi arrivati dal ministero dell’Agricoltura. In totale, oltre 95 solo nel 2023. Però Marcovalerio Pozzato, presidente della sezione di controllo della Corte dei conti, anticipa pure le previsioni del prossimo bilancio: «Mi dispiace dire che è stato impegnato molto, molto poco, sotto il 10 per cento delle somme a disposizione. Ho pensato che ai cittadini interessasse saperlo, specie in questo periodo».
Non ai suscettibili governanti, però. Ogni argomentazione viene smentita con sdegno e genericità dalla «presidente facente funzione» Irene Priolo, che vanta la battagliera delega alla Transizione ecologica, già di Schlein. Quella misera percentuale «non è vera», assicura Priolo. Seguono ulteriori dettagli? Macché. Piuttosto, «è bizzarro che si sia fatto riferimento a un bilancio che non è ancora stato preso in esame». La bizzarria più sfrenata, invece, è un’altra. Pure questa, inequivocabilmente documentata. Stavolta, nel «Piano stralcio per l’assetto idrogeologico» dell’Autorità di bacino del Reno, approvato dalla Regione il lontanissimo 7 aprile 2003, quando in Viale Aldo Moro regnava incontrastato Vasco Errani, impenitente bersaniano. Ventuno anni fa, dunque. Il documento prevedeva un minuzioso programma per «progettare e realizzare opere necessarie alla messa in sicurezza dell’area». Ovverosia, scongiurare le disastrose esondazioni in cinque fiumi: Idice, Savena, Zena, Quaderna, Ravone. I soliti noti, appunto. Gli stessi che, nell’ultimo anno e mezzo, hanno invaso case e città.
Eppure, già nel lontano 2003, la Regione aveva approvato quel piano di interventi da 11,7 milioni di euro. Poi sepolto dall’ecologismo radicale, tendenza schleineiana. A Budrio, così, sono alla quarta evacuazione in pochi anni. Niente di nuovo, anche in questo caso. Il piano del 2003 metteva la città del bolognese in cima alla lista, zeppa di «priorità uno», le cose più urgenti da fare. A partire dal «rialzo arginale» dell’Idice. Eppure, lo scorso 20 ottobre, le strade di Budrio si sono trasformate ancora in calli veneziane. Anche Vigorso è finita sott’acqua: nella frazione, spiegava quella relazione, i «fianchi arginali nulli o limitati» comportano «un grado di rischio elevato per i territori limitrofi». E anche nella zona di Rastignano, dove il Savena è esondato lo scorso ottobre per un muro mai ricostruito, era «opportuno intervenire al fine di ridurre il rischio idraulico». Oltre a Budrio, il comune più citato nell’ormai giurassico documento, è Pianoro, dove «i numerosi attraversamenti possono provocare fenomeni di rigurgito molto consistenti». In particolare, spiegava il piano del 2003, «sono state individuate due situazioni di elevata criticità che richiedono quanto prima la predisposizione di misure per la riduzione del rischio».
Vent’anni più tardi, la Val di Zena viene nuovamente invasa dall’acqua. L’omonimo torrente, lungo 40 chilometri, travolge tutto. Un metro e mezzo di melma in casa e l’usuale sordità istituzionale. Cittadini e comitati, dopo le esondazioni del maggio 2023, implorano la messa in sicurezza. Luca D’Oristano, consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Pianoro, scrive una caterva di pec e mail, indirizzate anche a Bonaccini e Priolo. Ricorda che, già a ottobre 2021, il Consorzio di bonifica renana aveva confermato la grave incuria, inviando una relazione all’Agenzia regionale per la Sicurezza del territorio, che ha «la competenza di tali acque pubbliche». Il consorzio, quindi, avvertiva: «Si rileva una folta vegetazione che è cresciuta durante i mesi siccitosi». Venivano spiegate pure le «possibili conseguenze», che poi si verificheranno puntualmente nel 2023 e nel 2024: «Nel caso di piogge ed eventi di piena, potrebbe causare ostacolo al deflusso delle acque». Bisognerebbe sfalciare al più presto quella vegetazione selvaggia, segnala Bonifica renana.
Le mail inviate dal consigliere comunale, corredate da foto che testimoniano la noncuranza, vengono però ignorate. In Viale Aldo Moro sono oberati. Saranno sfuggite? Tutt’altro. In consiglio regionale anche Marta Evangelisti, presidente del gruppo di Fratelli d’Italia, subissa il governatore di interrogazioni sullo Zena. La prima è del 20 maggio 2023, dopo la devastante alluvione che uccide diciassette persone. Poi un’altra, il 13 giugno. E altre tre ancora: il 3, il 23 e il 23 agosto. Solo allora, interpellata sulla «pulizia dell’alveo dello Zena», Priolo risponde. La premessa sembra da azzeccagarbugli: il torrente «non è dotato di strutture o argini classificati, per cui vengono meno gli oneri previsti dal regio decreto 523 del 1904». Insomma, è un fiume semiclandestino, sembra la scusante. Segue un vago elenco di manutenzioni. «Non è stato fatto nulla di significativo, fatta eccezione per qualche sporadico intervento» attacca intanto il Comitato Val di Zena. «Considerato il profondo e grave dissesto, diffidiamo gli enti preposti a eseguire i lavori necessari per la messa in sicurezza del torrente». Due mesi dopo, a novembre del 2023, arriva per un sopralluogo anche Francesco Paolo Figliuolo, commissario per l’emergenza idrogeologica in Emilia-Romagna. Il generale conferma le doglianze dei cittadini: alvei e sponde non sono stati puliti, le istituzioni devono darsi da fare celermente.
La consigliera meloniana, dunque, insiste. Presenta, nei mesi successivi, altre due interrogazioni. Otto gennaio 2024: «Il fiume presenterebbe alberi nell’alveo e argini disastrati». Ventisei febbraio 2024: «Nonostante le promesse ricevute dalla cittadinanza, permarrebbero la situazione di incuria e mancata pulizia del torrente». Otto mesi dopo: anche lo Zena, traboccante di tronchi e detriti, esonda. Più devastante che mai. Simone, vent’anni, viene travolto dalla piena mentre è in macchina a Botteghino di Zocca, una frazione di Pianoro. «Quasi tutta l’area su cui sorge è allagabile per effetto della piena bisecolare» denunciava 21 anni fa l’autorità di bacino, che chiedeva alla regione di intervenire. Correva l’anno 2005. Tanto per capirsi: De Pascale, oggi aspirante governatore, era ancora un impavido bagnino.