Politica
E invece che cosa ci combina Matteuccio nostro? Niente.
Nel senso che dopo aver intimato di qua e di là che «belli miei, addavenì il 9 dicembre e vedrete...», che «dopo l’8 dicembre cambierà tutto, ma proprio tutto», che «il giorno dopo le primarie, se vinco io, il governo o fa come dico io o va a casa», beh insomma, dopo avere promesso e minacciato sfracelli, alla fine non è successo niente. Intendiamoci: nessuno s’aspettava dopo il trionfo renziano, spacciato da molti suoi cantori come la più grande vittoria elettorale di tutti i tempi, di vederlo nelle vesti di Giove Soter, salvatore di tutta l’umanità; ma era lecito aspettarsi che somigliasse quantomeno a Giove Apòmuios, «cacciatore di mosche». Macché. Per dirla col Poeta, «elli avea del cul fatto trombetta». E ci siamo capiti.
Insomma, Renzi ha avuto tutto il tempo per preparare la sua scossa al Paese. Non dico un programma dettagliato, ma almeno una lista di quattro cose da fare subito non poteva metterla giù? Ci saremmo aspettati un Renzi gagliardo e non supponente presentarsi da Letta, a Palazzo Chigi, con la lista della spesa, con una terapia improcrastinabile per dare finalmente uno shock al governo della stabilità cimiteriale. Invece niente, zero tagliato. «Se ne riparla a gennaio» hanno convenuto i due ex democristiani.
A gennaio? Ma sì, dopo le feste, perché tanto di tempo ne abbiamo. Con l’Italia che dà pericolosissimi segnali di deriva sociale (vedi i forconi e le altre manifestazioni di protesta figlie del degrado e della disperazione), come si fa a dire «se ne riparla a gennaio»? E poi, quando arriverà gennaio, reciteremo la tiritera su che cosa è prioritario e che cosa no, inizieremo i defatiganti esercizi contabili col ministro Fabrizio Saccomanni, il quale puntualmente ci spiegherà che «no, l’Europa non lo consente, non si può fare»? Manco il tempo di cominciare e già il «rottamatore» rischia di finire triturato negli ingranaggi della politica vecchissima. Come spiegarsi altrimenti alcune scelte della sua segreteria, in dipartimenti cruciali come il lavoro, di persone certamente perbene ma di sicuro già contaminate dalla peggior malattia della politica italiana, e cioè dal trasformismo, pur essendo ancora minori di anni 40?
Diciamola tutta: Matteo Renzi accucciato davanti a Letta a Palazzo Chigi nel tardo pomeriggio del 9 dicembre è l’immagine della vecchia politica con i suoi riti bizantini, inutili e dannosi. Peccato.
C’eravamo illusi sulla possibilità di un colpo d’ala e ci siamo ritrovati con il «nuovo» leader pronto a benedire vecchie e nuove intese, vecchi e nuovi inciuci. C’eravamo illusi che il voto sul futuro del governo Letta rappresentasse un’occasione irripetibile per dare un colpo di frusta a un premier ormai imbolsito dai suoi stessi giochi di potere e ci ritroviamo con la fiducia degradata ad atto di «pura formalità». Altro che rottamazione, altro che cambiamento. E quel «se ne riparla a gennaio» per i dettagliucci legati al programma di governo (il 9 dicembre Renzi avrebbe dovuto avere sotto il braccio minimo 10 disegni di legge) sono la plastica rappresentazione del fatto che il nuovo segretario è partito col piede sbagliato. Può rimediare, per carità. Vediamo se ne sarà capace.
12 April 2023
L'esordio senza botto di Renzi
La Rubrica - Come Eravamo
Da Panorama del 18 dicembre 2013
E invece che cosa ci combina Matteuccio nostro? Niente.
Nel senso che dopo aver intimato di qua e di là che «belli miei, addavenì il 9 dicembre e vedrete...», che «dopo l’8 dicembre cambierà tutto, ma proprio tutto», che «il giorno dopo le primarie, se vinco io, il governo o fa come dico io o va a casa», beh insomma, dopo avere promesso e minacciato sfracelli, alla fine non è successo niente. Intendiamoci: nessuno s’aspettava dopo il trionfo renziano, spacciato da molti suoi cantori come la più grande vittoria elettorale di tutti i tempi, di vederlo nelle vesti di Giove Soter, salvatore di tutta l’umanità; ma era lecito aspettarsi che somigliasse quantomeno a Giove Apòmuios, «cacciatore di mosche». Macché. Per dirla col Poeta, «elli avea del cul fatto trombetta». E ci siamo capiti.
Insomma, Renzi ha avuto tutto il tempo per preparare la sua scossa al Paese. Non dico un programma dettagliato, ma almeno una lista di quattro cose da fare subito non poteva metterla giù? Ci saremmo aspettati un Renzi gagliardo e non supponente presentarsi da Letta, a Palazzo Chigi, con la lista della spesa, con una terapia improcrastinabile per dare finalmente uno shock al governo della stabilità cimiteriale. Invece niente, zero tagliato. «Se ne riparla a gennaio» hanno convenuto i due ex democristiani.
A gennaio? Ma sì, dopo le feste, perché tanto di tempo ne abbiamo. Con l’Italia che dà pericolosissimi segnali di deriva sociale (vedi i forconi e le altre manifestazioni di protesta figlie del degrado e della disperazione), come si fa a dire «se ne riparla a gennaio»? E poi, quando arriverà gennaio, reciteremo la tiritera su che cosa è prioritario e che cosa no, inizieremo i defatiganti esercizi contabili col ministro Fabrizio Saccomanni, il quale puntualmente ci spiegherà che «no, l’Europa non lo consente, non si può fare»? Manco il tempo di cominciare e già il «rottamatore» rischia di finire triturato negli ingranaggi della politica vecchissima. Come spiegarsi altrimenti alcune scelte della sua segreteria, in dipartimenti cruciali come il lavoro, di persone certamente perbene ma di sicuro già contaminate dalla peggior malattia della politica italiana, e cioè dal trasformismo, pur essendo ancora minori di anni 40?
Diciamola tutta: Matteo Renzi accucciato davanti a Letta a Palazzo Chigi nel tardo pomeriggio del 9 dicembre è l’immagine della vecchia politica con i suoi riti bizantini, inutili e dannosi. Peccato.
C’eravamo illusi sulla possibilità di un colpo d’ala e ci siamo ritrovati con il «nuovo» leader pronto a benedire vecchie e nuove intese, vecchi e nuovi inciuci. C’eravamo illusi che il voto sul futuro del governo Letta rappresentasse un’occasione irripetibile per dare un colpo di frusta a un premier ormai imbolsito dai suoi stessi giochi di potere e ci ritroviamo con la fiducia degradata ad atto di «pura formalità». Altro che rottamazione, altro che cambiamento. E quel «se ne riparla a gennaio» per i dettagliucci legati al programma di governo (il 9 dicembre Renzi avrebbe dovuto avere sotto il braccio minimo 10 disegni di legge) sono la plastica rappresentazione del fatto che il nuovo segretario è partito col piede sbagliato. Può rimediare, per carità. Vediamo se ne sarà capace.
Le 8 battaglie di Matteo
- La ristrutturazione del Pd
- Ricontrattazione degli accordi con l’Unione
- Riforma elettorale
- Trasformazione del Senato in una camera (non elettiva) delle regioni
- Taglio delle spese della politica
- Riforma della giustizia
- Semplificazione del mercato del lavoro
- Civil partnership per gay e lesbiche