Più che lo scontro con Parigi e Berlino l'Italia in Europa deve pensare al lavoro
Germania e Francia da sempre sono l'asse centrale della Ue; la Meloni deve però pensare al progetto industriale e produttivo a lungo termine
Le carte in tavola a Bruxelles sono cambiate. Dopo anni di prediche sulla Unione sempre più stretta da parte dei partiti europeisti, e del pivotale asse Franco-tedesco, bisogna prendere atto che quel progetto è fallito per mano degli stessi partiti europeisti. La decisione sugli aiuti di Stato delinea un paradosso: un mercato unico in cui alcuni paesi possono distorcere la concorrenza a danno di altri, un accordo europeo per varare una nuova politica economica nazionalista da parte di Parigi e Berlino.
Per storia e per forza dello Stato la politica europea da secoli si muove su impulso di Francia e Germania. Non c’è nulla di nuovo, dunque Meloni non deve offendersi, ma stare sulle questioni concrete e lo scambio tra aiuti di Stato di Francia e Germania e maggiore flessibilità nell’uso dei fondi del PNRR non è abbastanza per il governo italiano. È vero che il sostegno dello Stato all’industria tedesca aiuta anche le tante aziende italiane che vendono in Germania, ma è altrettanto vero che questi aiuti rischiano di mettere in difficoltà molte altre aziende che competono con quelle francesi e tedesche. Al tempo stesso, la possibilità di ridurre le opere del PNRR e tradurre il piano in politiche più centrate sul settore privato è una strategia da perseguire con convinzione maggiore.
Il governo deve pressare la Commissione affinché il piano europeo possa tradursi in detassazioni e investimenti diretti per le industrie dei settori più coinvolti dal PNRR oppure chiedere una golden rule sugli investimenti produttivi, sia una detassazione o nuovi investimenti diretti. Anche sulla transizione ecologica occorre cautela, gli investimenti in tecnologia verde sono positivi ma certi obiettivi irrealistici sulla elettrificazione e sulle emissioni non lo sono. Divieti, tasse, scadenze imposte dall’Europa dietro lo schermo ambientalista penalizzano le classi più basse e distruggono lavoro.
L’Italia, con la sua grande manifattura, deve avere come obiettivo politico europeo la moderazione di certi eccessi ideologici e pianificatori in chiave ambientalista che permeano le istituzioni di Bruxelles. Ciò che serve oggi al governo è la costituzione di una politica industriale. La diversificazione energetica è il primo passo ma servono accordi internazionali anche per la fornitura di altre materie prime. Inoltre l’esecutivo deve lavorare per un miglior coordinamento tra pubblico e privato, ciò vale soprattutto per alcuni settori tecnologici. Rafforzare le partecipate di Stato non è abbastanza, il governo deve varare una politica fiscale che aiuti a cascata imprese di tutte le dimensioni.
Nel prossimo futuro saranno in gioco centinaia di migliaia di posti di lavoro e il paese rischia un processo di de-industrializzazione dovuto alle forti accelerazioni di questi ultimi anni e alla scarsa capacità di adattamento del nostro sistema. Il governo deve dare un segnale: lo sviluppo industriale, con la difesa di settori fondamentali da scelte politiche ideologiche, sono la priorità assoluta dell’Italia di oggi e questa idea deve essere resa palese a Bruxelles, anche attraverso minacce di veto e iniziative politiche nuove.