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Politica

Al via il G7 dei grandi in (grande) difficoltà, tranne Meloni

I guai del figlio di Biden, Macron e Scholz castigati dagli elettori, Sunak al minimo dei consensi. Quello al via domani in Puglia è un meeting dove i potenti del mondo forse devono pensare più ai problemi interni che ad altro, con una sola eccezione: il nostro premier

La Puglia è pronta a ospitare il G7 che si aprirà domani mattina a Savelletri, provincia di Brindisi. Ma i Capi di Stato e di Governo delle 7 nazioni più industrializzate del mondo lo sono altrettanto? Se consideriamo che fanno parte del «Gruppo dei 7» Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti, qualche dubbio è legittimo. Molti dei leader che guidano questi Paesi, infatti, non hanno esattamente il proverbiale «vento in poppa».

È il caso del Canada di Justin Trudeau, uno dei leader liberal più acclamati del 2015, quando è stato eletto una prima volta (la seconda in piena pandemia). Oggi Trudeau vive invece un brutto momento politico. In calo di consensi dallo scorso anno (secondo gli ultimi sondaggi, circa il 60% dei canadesi lo vorrebbe sostituire), l’economia del suo Paese rallenta, le politiche green stentano per l’immane sforzo dello Stato nel finanziarle, e l’immigrazione è ormai fuori controllo, mentre i prezzi dei beni salgono con il costo delle case che è andato alle stelle.

Le nuove elezioni sono previste a ottobre 2025, ma in ogni caso il suo partito Liberale è già indietro rispetto ai conservatori in tutti i principali sondaggi. Né sono bastati rimpasti di governo e politiche inclusive, che strizzavano l’occhio tanto alla comunità Lgbt+ quanto ai migranti, per arginare questa curva discendente. Trudeau appare indebolito anche a livello d’immagine: separatosi dopo 18 anni di matrimonio con la moglie Sophie Grégoire, la sua metà aveva scelto di mantenere un alto profilo pubblico, incontrando leader internazionali e partecipando insieme al marito ai viaggi ufficiali all'estero. La sua figura «in stile Michelle Obama» nobilitava non poco un leader che appariva un po’ troppo acerbo ai più, nonostante il suo futuro da premier fosse stato pronosticato nientemeno che da Richard Nixon. A questa profezia avveratasi non è seguito l’atteso exploit politico-economico, con il Brasile che da quest’anno ha scalzato il Canada quale nona economia del mondo.

Francia

E che dire di Emmanuel Macron? Dopo la scioccante sconfitta del suo schieramento alle europee, doppiato dall’estrema destra del Rassemblement National di Marine Le Pen, il presidente francese ha deciso di sciogliere il Parlamento convocando nuove inaspettate elezioni per il 30 giugno. Oggi dunque è già un leader dimezzato e, nonostante abbia giurato che non si dimetterà in caso di sconfitta alla legislative, per sua stessa ammissione dovrà come minimo «andare a dialogare con personalità e forze che oggi non ne fanno parte».

La sua decisione di indire elezioni parlamentari anticipate, inoltre, aumenta l’incertezza anche in campo economico, che rallenta il percorso di consolidamento fiscale del Paese e le prospettive di nuove riforme di cui la Francia ha estremo bisogno. Secondo Fitch Ratings, per dire, nel 2023 la Francia ha avuto il secondo rapporto debito pubblico più alto tra i Paesi AA (ovvero quelli considerati di prima fascia, mentre l’Italia è BBB) ed è stato più del doppio della mediana AA del 50%.

Con queste premesse, e con lo spettro dello scontro diretto in Ucraina contro la Russia – Macron intende inviare soldati francesi a supporto di Kiev– le prospettive politiche di Parigi e dell’inquilino dell’Eliseo sono quanto mai incerte. Le Olimpiadi di Parigi, insomma, si aprono nella mestizia e per di più sotto l’incubo del terrorismo e del boicottaggio informatico da parte russa.

Germania

Non va meglio nella terra di Olaf Scholz. Il crollo del partito del cancelliere, i socialisti di Spd, e così dei Verdi loro alleati, rappresenta una bocciatura politica su tutta la linea del governo da parte dell’elettorato tedesco. Il voto riflette appieno la salute delle economie di Francia e Germania, ovvero quelle che hanno registrato i risultati peggiori in Europa, a causa soprattutto dell’impennata dell’inflazione e dell’aumento dei costi di finanziamento. Insieme, questi fattori hanno messo in ginocchio anzitutto il settore imprenditoriale, con le aziende tedesche più piccole che oggi sono incredibilmente esposte ai continui aumenti dei tassi di interesse e ai rating di credito bassi. Né vanno meglio settori come industria, sanità, vendita al dettaglio e immobiliare. Il che fa della Germania il fanalino di coda della «Europa che conta».

A livello europeo, tutto ciò si è tradotto in un deciso stop alle politiche condivise da Scholz in tandem proprio con Macron. E così il cancelliere tedesco ha regalato il Paese all’estrema destra di AfD, riproponendo in una certa forma quella frattura tra Germania Ovest e Germania Est (dove la destra spopola), evidentemente mai ricomposta e che mai il popolo tedesco avrebbe voluto rivedere.

Insomma, con Scholz la locomotiva d’Europa ha fatto due passi indietro sotto ogni punto di vista, colpendo i tedeschi laddove fa più male: nel mercato del lavoro. Non a caso, l’Afd è stato votato soprattutto dai disoccupati, dai giovani e dai lavoratori autonomi. Infine, il cancelliere non può farsi scudo neanche della scarsa affluenza: il voto in Germania ha segnato record di partecipazione come non se ne vedevano dal secolo scorso.

Regno Unito

Quanto alla perfida Albione, il post Brexit ha gettato nello sconforto l’intero Regno, isolatosi anche fisicamente dal resto d’Europa e rimasto senza grandi soluzioni alternative al mercato comune. Tali che generare introiti per Londra è ormai sempre più difficile, mentre l’assenza di continuità politica pesa come un macigno sullo sviluppo: infatti, con il «suicidio politico» di David Cameron (colui che ha consentito il referendum sulla Brexit) si sono susseguiti al governo cinque diversi premier in meno di sette anni, gettando alle ortiche la natura stoica della politica inglese, notoriamente resiliente, e la longevità economica tipiche del Novecento inglese. A tutto ciò, seppure più psicologicamente che non fattivamente, si devono aggiungere i «guai» della Corona, con un Re malato in carica e una serie di eredi afflitti da vicende personali non esattamente ben auguranti.

Se è vero che «resistere in una tranquilla disperazione è la via inglese», come cantavano i Pink Floyd, altrettanto vero è che allontanarsi dal commercio con il mercato Ue per guardare all’Indo-Pacifico ha uno strano sapore nostalgico e non sembra rappresentare un’efficace soluzione alternativa, semmai un salto nell’ignoto. Se anche il commercio e l’industria per il momento tengono, il nuovo corso laburista che si profila – secondo tutti i sondaggi – nel voto del prossimo luglio, rendono l’attuale premier Rishi Sunak l’ennesimo leader depotenziato che presenzierà al G7 pugliese.

Stati Uniti

Non si può dire lo stesso della superpotenza americana, che cresce economicamente e la cui disoccupazione è pressoché nulla. Ma anche qui le prospettive di leadership non sono eccitanti: due ottuagenari fiaccati dall’età e dalle magistrature – Trump condannato e in attesa di numerosi processi, Biden che ha visto il figlio condannato per reati deprecabili – che competono in uno scontro che non avrà vincitori, ma solo elettori delusi per la mancanza di slancio e di idee nuove, degne dell’America cui eravamo abituati. Siamo ben lontani dalla scuola kennediana per i democratici e reaganiana per i repubblicani: nessuno dei due partiti è riuscito più a generare scuole politiche di livello e leadership credibili nell’ultimo quindicennio.

Con il voto incerto di novembre che incombe sul futuro di Biden, anche il leader più potente del mondo è perciò ammantato da un’aura di debolezza in politica estera, sia perché non riesce a imporsi in Medio Oriente con l’alleato israeliano sia perché l’atteggiamento pilatesco in Ucraina non aiuta né Kiev né i sondaggi, che lo danno alla pari o persino sotto Trump. Il quale, per parte sua, avrebbe dovuto essere uno sparring partner dopo l’assalto al Congresso degli Stati Uniti; invece è stato inopinatamente elevato a vittima della giustizia da una narrazione distorta che la Casa Bianca ha contribuito involontariamente ad aumentare.

Giappone

Chi sa dire chi è il premier del Giappone? Non, non è più Shinzo Abe, assassinato esattamente due anni fa da un fanatico politico (non era più in carica, però) e creatore di quel sogno chiamato «Abenomics». L’attuale leader si chiama Fumio Kishida e il suo gradimento ha già raggiunto il minimo storico, al punto che a settembre prossimo il suo Partito Liberal Democratico potrebbe addirittura decidere di cambiare il leader, in seguito a una serie di scandali che hanno travolto la leadership conservatrice.

Quello più recente ha riguardato una raccolta fraudolenta di fondi da parte di membri influenti del partito di Kishida, che ha portato a dimissioni a pioggia e persino arresti di vari membri del governo. Ma il fatto peggiore è la notizia della recessione in cui è precipitato il Paese: dopo i dati sul calo per due trimestri consecutivi del Pil nel 2023 Tokyo è ufficilamente in recessione tecnica. Fatto che certifica la difficoltà economica attraversata dal Paese, con i consumi nazionali che si sono ridotti drasticamente, a causa anzitutto dell’aumento del costo della vita. Ora, poiché i consumi rappresentano oltre la metà dell’attività economica del Giappone, si può ben comprendere quanto grave sia la situazione. Grave al punto che a far fuori Fumio Kishida potrebbero pensarci direttamente gli uomini del suo stesso partito.

Italia

Ed è in queste condizioni che arriviamo alla vigilia di un G7 dove i «leader dimezzati» delle maggiori economie mondiali si riuniranno per discutere una serie di temi invece cruciali per il nostro futuro: dalla guerra in Ucraina alla crisi palestinese, dall’Intelligenza artificiale alla tassazione globale, passando per la disabilità, l'immigrazione, la sicurezza economica, le questioni relative al Venezuela, la Libia, l'Indo-Pacifico e il Mar Rosso.

Quanti di loro riusciranno a imporre una visione positiva e a soluzioni condivise? Per adesso, per quanto questo possa dispiacere a una buona fetta di italiani, a brillare al G7 è oggi l’unica donna al potere tra i 7 grandi: ovvero proprio la premier italiana Giorgia Meloni, che – unica tra pari – è uscita notevolmente rafforzata dalla tornata elettorale europea e può finalmente guardare ai rappresentanti di Francia e Germania, solitamente freddi e respingenti nei confronti dei leader italiani, da una posizione di forza. E può persino imporre la propria agenda e farla approvare. Anche perché il futuro dell’Europa sembra appartenere proprio alle donne: Meloni è infatti la «queen maker» della probabile rielezione di Ursula Von der Leyen al vertice della Commissione Europea. Per una volta, dunque, il G7 italiano è davvero tale.


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Luciano Tirinnanzi