Con Giorgia Meloni la politica torna ad essere protagonista
Nel suo discorso programmatico alla Camera il Presidente del Consiglio ha di fatto interrotto l'epoca dei tecnici e della politica lontana dalle responsabilità
E’ stato un buon inizio, quello di Giorgia Meloni alla Camera in veste di presidente del Consiglio. Ci si attendevano i riferimenti al presidenzialismo, all’atlantismo, alle donne, alla sparizione del reddito di cittadinanza. Anche sul piano della pandemia, apprezzabile, pur con parole generiche, la promessa di non replicare il modello di gestione oscurantista di Roberto Speranza. Ma forse i passaggi più interessanti sono altri. Con la chiusura definitiva alle nostalgie fasciste, la riconferma della fedeltà assoluta ai valori occidentali, e il rilancio di una politica economica più vicina ai ceti produttivi, riassunta nel motto “non disturbare chi vuole fare”, la neo-premier si è imposta oggi formalmente come nuovo leader del centrodestra. E questo è un cambiamento che va oltre il suo governo e questa legislatura, ma proietta la figura di Meloni come punto di riferimento dei moderati italiani negli anni a venire.
La scelta minuziosa dei modelli di riferimento, da Borsellino a Giovanni Paolo II, risponde alla volontà di uscire dalla logica di parte, per accreditarsi come un governo assolutamente presentabile, all’interno e all’esterno, nel quadro di una democrazia dell’alternanza. Certo, ci sono stati rifermenti identitari (legalità, famiglia, tregua fiscale), ma anche questa è una mossa voluta, per rivendicare la natura politica di questo governo dopo anni di commissariamenti tecnici.
Per il resto, i discorsi programmatici spesso lasciano il tempo che trovano, si configurano talvolta come libri dei sogni, e nell’esperienza di un governo a volte non lasciano traccia. Probabilmente molte proposte dovranno essere concertate e forse annacquate nel confronto con gli alleati e con la realtà delle cose. Certamente le intenzioni di Giorgia Meloni in campo economico, nella sua volontà di smontare l’assistenzialismo e rispolverare il merito, sono assolutamente condivisibili (anche se forse sul fisco ci si aspettava qualcosa in più). Certamente la volontà è quella di portare discontinuità anche in Europa nel mezzo di una crisi di credibilità di Bruxelles (anche se ci si aspettava un messaggio più secco nei confronti dei paesi frugali, ma forse oggi era chiedere troppo). Per il resto, per i propositi chiave (energia, e posizione internazionale del Paese), non potremo che giudicare sulla base dei fatti e non in virtù delle promesse inaugurali.
Diciamo che, più che proporre soluzioni nel concreto, il manifesto di Giorgia Meloni è stato soprattutto incentrato su una garanzia di partenza: quella legata alla sua figura personale. Con quel “non tradiremo”, la premier ha voluto riproporre il suo vantaggio competitivo della campagna elettorale, cioè l’assicurazione che tutto il possibile per il bene del Paese verrà tentato, senza arrendersi alle consorterie, ai gruppi di pressione, ai ricatti delle burocrazie. In sostanza, ancor prima di essere giudicata sui risultati delle sue politiche, la premier mette subito sul tavolo la sua storia e la sua concretezza. E’ un buon punto di partenza: d’ora in poi, serviranno i fatti.
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