Politica vs giustizia. Marco Mayer «Scontro di poteri all’ombra della sicurezza nazionale»
La vicenda di Catania riporta alla cronaca l'eterna sfida tra i due poteri dello Stato incapaci di trovare un punto di equilibrio e convivenza
Si sta surriscaldando il dibattito politico a seguito della recente sentenza del Tribunale di Catania (si parla della possibilità per i migranti che arrivano da paesi definiti “sicuri” di versare poco meno di 5mila euro di cauzione per evitare di essere trattenuti nei centri), che ha rimesso in libertà quattro richiedenti la protezione internazionale.
Nel caso specifico - accogliendo il ricorso dei migranti arrivati a Lampedusa il 20 settembre e condotti nel nuovo centro di Pozzallo - il giudice ha proceduto alla loro immediata liberazione: si tratta di un centro aperto pochi giorni addietro e destinato ai richiedenti asilo, capace di attivare procedure accelerate di trattenimento. La non convalida dei provvedimenti del Questore della provincia di Ragusa è stata motivata dal contrasto con due articoli della Costituzione nonché dall’incompatibilità con alcune disposizioni di due Direttive dell’Unione Europea relative alle modalità in cui si devono gestire le richieste di asilo e di protezione sussidiaria e temporanea.
Su queste tematiche, Panorama.it ha interpellato il professor Marco Mayer, già Consigliere per la Cybersecurity del Ministro dell'Interno, che tenta una lettura innovativa dell’annoso e problematico rapporto tra sicurezza nazionale, flussi migratori e rapporti con i paesi di provenienza dei migranti.
Professore Mayer, partiamo dal dato più spiccatamente giuridico.
«La non convalida dei provvedimenti del Questore della provincia di Ragusa è stata motivata dal fatto che alcuni profili giuridici del decreto governativo sono ritenuti in contrasto con gli articoli 10 e 13 della Costituzione nonché incompatibili con specifici articoli di due Direttive dell’Unione Europea (la 2013/32 e la 2013/33) che regolano le modalità di richiesta di asilo e di protezione sussidiaria e temporanea. Nelle motivazioni della sua decisione il giudice monocratico, Iolanda Apostolico, ha fatto inoltre riferimento alla giurisprudenza in materia, citando specificamente alcune sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell'Unione Europea».
I giudici catanesi parlano di illegittimità del trattenimento, incompatibile con la normativa europea.
«L’articolo 78 del trattato del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU) parla espressamente della necessità di offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino proveniente da un paese terzo che necessita di protezione internazionale e di garantire il principio del non respingimento. Lo stesso articolo fa riferimento alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, al Protocollo del 31 gennaio 1967 sui rifugiati e ad altri trattati internazionali pertinenti».
Che sensazione ne ricava?
«Sul contrasto con la normativa europea e con la giurisprudenza costituzionale la parola spetta alla Corte di Cassazione. Certo fa impressione che chi arriva in condizioni disperate debba pagare una cauzione di quasi 5000 euro per non essere rinchiuso in un centro (aggravata dal fatto che può essere versata solo dall'interessato e non da altri). La mia posizione garantista è ben nota anche in ambito accademico e non credo si possa esserlo a corrente alternata, penalizzando i più deboli».
Passiamo al versante politico…
«Siamo già in campagna elettorale per le elezioni europee e questo è in parte inevitabile: giustizia e immigrazione saranno al centro del dibattito politico per almeno nove mesi anche tra le forze della maggioranza. Ma non possiamo assolutamente sottovalutare aspetti legati alla sicurezza nazionale, ovviamente trasversali per tutti i partiti politici: l’attentato terroristico ad Ankara ci ricorda che in Europa non possiamo permetterci di abbassare la guardia».
La sicurezza nazionale è messa alla prova da episodi di questo genere…
«Sul tema della sicurezza nazionale il nostro Paese è da almeno tre decenni all’avanguardia nella lotta al terrorismo internazionale, e uno dei fattori che hanno prodotto i successi è la strategia adottata nei confronti delle comunità straniere insediate sul nostro territorio nazionale. Il ruolo della diaspora e dei flussi migratori nella sicurezza interna è un tema di cui si parla pochissimo, ma che è di fondamentale importanza per la stabilità, la sicurezza e il futuro della Nazione».
Si spieghi meglio?
«Grande è stato il contributo delle comunità straniere nelle indagini sui foreign fighters, la propaganda e il reclutamento dell’ISIS e di altre organizzazioni del terrorismo islamista. Credo di essermi spiegato… Oggi, invece, rispetto a queste positive esperienze, intravedo un potenziale rischio, per come mi è stato posto da numerosi amici stranieri con cui ho parlato in questi giorni e che mi hanno trasmesso un allarme e cioè che la “dissuasione” dei salvataggi in mare è espressione che può incrinare la fiducia tra gli oltre 5 milioni di migranti che vivono in Italia e le istituzioni dello Stato».
Sta lanciando un allarme, pare di capire…
«Praticamente quasi tutti i membri delle comunità straniere hanno parenti o conoscenti che sono arrivati in Italia con mezzi di fortuna (gommoni e barconi compresi); alcuni di loro sono stati salvati dalla Marina Militare, dalla Guardia costiera e dalle ONG. Per queste persone e per i loro parenti la “dissuasione dei salvataggi” in mare suona sinistra perché conoscono sin troppo bene il sottile confine tra la vita e la morte».
Parla da esperto di sicurezza nazionale, è evidente. Qual è il pericolo che si intravede?
«Quando inizia a circolare l’idea che il salvataggio in mare deve essere “dissuaso” potrebbero interrompersi la collaborazione preziosa tra comunità straniere e autorità dello Stato. Qui l’obiettivo è puntato contro le ONG che peraltro salvano solo il 5% dei naufraghi, mentre il Consiglio Europeo del 9 febbraio scorso (con il SI dell’Italia) ha chiesto di rafforzare e coordinare le iniziative per il soccorso e il salvataggio in mare. Ecco, perché, normativamente si avverte una situazione di confusione».
Pare di comprendere che il problema sia “politico” e non soltanto giuridico.
«Rispetto a queste posizioni - incomprensibili alle comunità straniere residenti in Italia - comincia a serpeggiare per la prima volta un disagio psicologico che potrebbe allontanarli dalle istituzioni. Non possiamo disperdere il grande patrimonio di relazioni fiduciarie costruito in tre decenni dagli organismi preposti alla polizia di prevenzione. Al di là della doverosa solidarietà umanitaria, l’Italia non può permettersi di mettere a rischio la propria sicurezza nazionale».
La normativa parla di “paesi sicuri”
«L’approccio burocratico alla problematica è un altro aspetto che rischia di far perdere la fiducia e la disponibilità proattiva delle comunità immigrate. Le famiglie sono in contatto quotidiano con i parenti che vivono nei loro paesi di provenienza. Ad esempio, la Tunisia è stata definita dalla Farnesina un Paese sicuro nel 2019. Ma - per cosa sta accadendo oggi - se tra le famiglie che vivono nel nostro paese si diffonde la notizia che un loro parente potrebbe essere abbandonato dalla polizia nel deserto al confine della Libia (rischiando di morire di sete di fame) come fanno ad accettare l’idea che la Tunisia sia un paese sicuro?».
Intanto lo scontro politica-magistratura divampa: per Fratelli d’Italia la sentenza di Catania sarebbe “ideologica”, mentre l’Anm replica che i giudici devono soltanto applicare le leggi.
«Ancora una volta, da un caso specifico, riemerge la polemica politica sul tema della giustizia. Personalmente non vedrei male la separazione delle carriere purché l’indipendenza della magistratura e la divisione dei poteri restino il pilastro fondamentale dello Stato di diritto come solennemente sancito nella Costituzione».
Qui si apre una voragine…
«I temi emergenti sono di una gravità imponente. Ricordo che in passato l’archiviazione dell’indagine mafia-appalti e soprattutto l’uccisione di Falcone e Borsellino hanno impedito la saldatura delle indagini di Milano e Palermo sugli interessi delle grandi imprese del nord in Sicilia. Più che sulle navi delle ONG i riflettori dovrebbero essere puntati su ciò che sta accadendo in merito ai fondi europei del PNRR in Sicilia e nel Mezzogiorno di Italia. Avverto crescere lo scontro tra politica e magistratura. Nelle attuali emergenze, il rischio di un cortocircuito è elevato».
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Marco Mayer, fiorentino, classe 1952, esperto di relazioni internazionali con particolare riferimento a Peacekeeping, Security, Intelligence, Human Rights e Multi-track Diplomacy, ha insegnato Cyber-security and International Politics alla Scuola Superiore Sant’Anna. Attualmente è docente nel Corso di Perfezionamento in Intelligence e Sicurezza Nazionale della Lumsa e nel Master si Cybersecurity della LUISS. Nel 2017/2018 ha assunto il ruolo di Consigliere per la Cybersecurity del Ministro dell'Interno. È stato Peacekeeper ONU in Kosovo tra il 1999 e il 2002. Ha inoltre partecipato a progetti internazionali di ricerca in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Politiche del MIT e dell’Università di Tel Aviv.
Panorama.it Egidio Lorito, 03/10/2023