giorgia meloni
(Ansa)
Politica

Il Governo Meloni deve fare i conti con il «deep State»

I rapporti con il Quirinale (ed i suoi poteri) e le tensioni con la ragioneria dello stato. La premier si trova davanti difficoltà che forse non pensava fossero di questo livello e difficili da gestire

Che un gran pezzo dello Stato, quello delle magistrature e delle burocrazie, si sia dovuto ingoiare, per il funzionamento della democrazia, un governo di cui non condivide affatto la visione politica è un dato di fatto. E che il governo Meloni non abbia un gran rapporto con questo stato profondo è un altro elemento incontestabile che emerge ciclicamente.

Negli ultimi giorni due episodi hanno ancora rimarcato questo scontro sotterraneo tra istituzioni non rappresentative, che non vengono dal voto degli elettori, e governo. Il primo è il richiamo del Presidente della Repubblica sugli scontri di Pisa. È un intervento inusuale poiché è davvero raro che un Capo dello Stato si pronunci su questioni di ordine pubblico minori, che non siano fatti di terrorismo o proteste di masse. Che ci sia stato un eccesso nelle reazione della polizia traspare dalle immagini, ma c’è la magistratura per condannare questi fatti. Mattarella, invece, nelle consuete forme morbide che lo caratterizzano ha espresso un rimprovero al governo e al ministro. Non è la prima volta che fatti del genere si verifichino in Italia, ma mai il Presidente della Repubblica si era espresso.

Il raggio di azione del Quirinale si è molto allargato da quando, con una vera e propria modifica implicita della consuetudine costituzionale, vi è stata la rielezione di Napolitano prima e di Mattarella poi. È un fatto di cui tener conto se si governo perché, anche se nascosto da teorie della neutralità, quello del Capo dello Stato è un potere politico che è cresciuto. Si lascia filtrare anche una certa insofferenza alla riforma del premierato proposta dal governo, che ridurrebbe proprio lo spazio d’azione del Quirinale. Fa bene Meloni a gettare acqua sul fuoco sulle polemiche, ma è innegabile che tra governo e presidenza della repubblica vi siano momenti di tensione e che quest’ultima agisca da particolare contrappeso politico verso la maggioranza.

Il secondo episodio di scontro riguarda il rapporto tra il ministro Giorgetti e la ragioneria generale dello Stato, una delle burocrazie più potenti e conservatrici dello Stato italiano. Ciò che emerge è un deficit che nel 2023 ha superato il 7% a causa di superbonus e industria 4.0 i cui costi sono lievitati. È possibile che la sempre solerte e prodiga di controlli, veti e richiami ragioneria generale dello Stato si sia lasciata sfuggire uno sforamento tanto significativo? L’ufficio nega, sostenendo di aver comunicato tutto al ministro Giorgetti, il quale ha evitato attacchi alla struttura del MEF ma è evidente che qualcosa al ministero non ha funzionato. La Ragioneria è un potere conservatore, attentissimo ai conti pubblici, ma che spesso si lascia sfuggire alcune questioni fondamentali, forse per connessione con la politica europea, come la voragine di conti pubblici aperta dal superbonus di Conte.

Perché i rilievi della ragioneria sembrano a volte andare a singhiozzo? Perché c’è molto allarme su alcuni provvedimenti e sembra esserci trascuratezza su altri?

A pensar male sembrerebbe che ci sia una linea politica parallela a quella dei governi oppure che la funzione di controllo soffra di alcune imperizie. Fatto sta che il rapporto tra destra di governo e poteri tecnici resta complesso e ricco di tensioni e fraintendimenti. Così come quello con il Quirinale. Ma si può governare bene un paese, e realizzare un programma di governo, con la velata ostilità di queste altre istituzioni? E quanto lo stato di salute della democrazia italiani ne risente?

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Lorenzo Castellani