Il Governo Meloni c'è, il Pd non ancora
Mentre il centrodestra ha costruito l'esecutivo a tempo di record a sinistra regna l'incertezza (e la debolezza) totale
L’anno zero del partito democratico sta tutto nel tweet di Alessandra Moretti: “La Meloni ci ha messo meno di un mese per fare il governo. Noi quante stagioni ci dobbiamo mettere per avere una nuova segreteria”? Lo sfogo è comprensibile, ed è interesse di tutti che fatto il governo non si disfaccia l’opposizione democratica, oggi radicalmente divisa, e nel Pd totalmente disorientata. La campagna elettorale strampalata, la segreteria Letta disciolta, la guerra all’ultimo sangue tra le correnti sta dilaniando il partito. Da ultimo, lo smacco di vedere la prima donna premier targata centrodestra, mentre le donne del Pd litigano tra loro per le poltrone mancate, è stata l’ultima goccia che ha prostrato gli animi al Nazareno.
La Meloni ci ha messo meno di un mese per fare il Governo.
Noi quante stagioni ci dobbiamo mettere per avere una nuova segreteria? Avviamo subito il congresso per avere a gennaio una nuova leadership.
Urge opposizione forte. @eurodeputatipd @pdnetwork #congressopd
— Alessandra Moretti (@ale_moretti) October 22, 2022
Tra novembre e dicembre il Pd attiverà la pachidermica macchina del congresso, per arrivare a marzo a un nuovo segretario. Ma sulle candidature è nebbia fitta. Bonaccini? Schlein? Provenzano? Sarracino? La verità è che mancano nomi pesanti, all’interno e mediaticamente all’esterno. Il rischio è di rifugiarsi in seconde linee che affogherebbero nella guerriglia intestina. Tutto mentre Letta promette di aprire alla società civile: non facile, per loro che faticano a uscire dalla Ztl delle grandi città. Serve uno sforzo collettivo psicologico, e qualche passo indietro di vecchie glorie che hanno fatto il loro tempo. Intanto la radio del partito, “Radio Immagina”, è bersagliata dalle critiche della base che chiede di radere al suolo l’attuale classe dirigente, per mandare avanti giovani indipendenti.
Non è un problema soltanto di nomi, ma anche di alleanze. Anche qui, partito spaccato. Da una parte le sirene Renzian-calendiane, dall’altra Giuseppe Conte. Non si tratta solo di scegliere l’alleato, ma un’identità politica e geografica. L’abbraccio con i cinque stelle significa maggior radicamento al Sud, con l’attenzione puntata sugli aiuti alle famiglie. Puntare sul centro vuol dire guardare al nord produttivo, ponendo l’accento sui temi fiscali. L’asse che si è formato con i pentastellati sulle vicepresidenze delle Camere lascia pensare che le truppe sbandate del partito tendano per inerzia verso l’Avvocato del popolo. Che c’è chi dice che Conte abbia già pronta un’Opa sul Pd, o perlomeno sulla parte più sinistrorsa, magari con il soccorso rosso di Pierluigi Bersani e Roberto Speranza.
Insomma, il partito democratico non solo deve ricostruirsi dalle fondamenta, ma deve prima capire chi è, e dove vuole andare. L’alternativa, è convocare un congresso per certificare l’abisso. O peggio, la scissione. E visti i chiari di luna che ci aspettano, con la necessità di intraprendere azioni urgenti e magari condivise, avere a che fare con un’opposizione sfilacciata o poco responsabile, non è il migliore degli scenari.