Dopo le intemperanze del Professore con la giornalista di Rete 4, l’ex presidente della Camera dice a La7: «Avrei lanciato un volume contro la Meloni quando ha parlato di Ventotene». Sinistra e grandi media? Muti.
A sinistra sono talmente democratici da non sopportare alcuna domanda che non sia rigorosamente democratica. Ne ha dato prova il padre «nobile» dei compagni, Romano Prodi, il quale di fronte a una giornalista di Quarta repubblica che gli chiedeva un parere su alcuni passaggi del famoso Manifesto di Ventotene, prima ha reagito stizzito e poi ha preso per i capelli la collega. Lavinia Orefici dice di essere rimasta scioccata, non soltanto per il gesto, ma anche per le parole «inaccettabili, inappropriate e paternalistiche». Perché non si può fare una domanda semplice a un leader politico su un argomento all’ordine del giorno, senza sentirsi trattare a male parole e addirittura strattonare? L’inviata di Nicola Porro non ha fatto altro che il proprio mestiere, ovvero chiedere se l’ex presidente del Consiglio e della Ue condividesse i passaggi in cui nel manifesto di Spinelli, Rossi e Colorni si parla di rivoluzione socialista, di esproprio della proprietà privata, di governo delle élite e pure di una violenza necessaria. Non ha insultato nessuno, ha soltanto educatamente chiesto un parere.
Tuttavia, al di là della reazione aggressiva di Prodi, a stupire è l’assenza di reazione da parte delle forze politiche e della categoria giornalistica. Ma come? Intellettuali e politici vanno in piazza in difesa della libertà di pensiero, di cui l’Europa sarebbe garante e quando un giornalista si azzarda a fare domande è insultato e allontanato senza che a sinistra dicano niente? Anzi, invece di solidarizzare con la collega si va in soccorso di chi è accusato di averla maltrattata, sostenendo che il quesito posto dalla cronista era provocatorio? Capisco che per una determinata parte politica le sole domande accettabili sono quelle in ginocchio e politicamente corrette, ovvero con l’interrogativo che contiene già la risposta che piace all’intervistato, ma il mestiere di giornalista prevede che non si facciano solo le domande comode, ma anche quelle scomode per l’interlocutore. E che di fronte al tentativo di svicolare del politico di turno si insista, che poi è quanto fanno da anni fior di cronisti d’assalto lodati dalla sinistra per la tenacia. E adesso che le domande vengono rivolte al compagno Prodi, che c’è di male? Perché l’ex presidente deve reagire infastidito? La libertà di stampa è vigilata da qualche comitato centrale che impedisce di fare le domande più imbarazzanti?
Non è la prima volta che i leader dell’opposizione reagiscono in malo modo. Da Beppe Grillo che scaraventa giù dalle scale un cronista di Dritto e rovescio, a Beppe Sala che allontana la giornalista di Fuori dal coro, ormai gli episodi di intolleranza non si contano più. È la democrazia di chi si riempie la bocca – e anche la pancia – con la democrazia. Su Repubblica chi fa domande scomode è privato perfino della dignità. Infatti, per mano di uno dei suoi editorialisti, il quotidiano radical chic definisce i colleghi che osano chiedere una risposta non concordata «sicari del regime». Un insulto tipico di tutte le dittature del pensiero unico, che attraverso i suoi scherani provano a denigrare chi non si adegua.
Che il clima sia di scontro frontale del resto lo testimonia un altro vecchio arnese della sinistra. L’altra sera, commentando l’intervento di Giorgia Meloni alla Camera, Fausto Bertinotti ha detto che, se fosse stato presente, non si sarebbe limitato a contestare il presidente del Consiglio, come ha fatto l’opposizione, ma le avrebbe scagliato contro un libro, metaforicamente trasformato in arma. Un altro esempio di democrazia da parte di chi si è auto nominato democratico.