Ignazi: «L’Europa che verrà, tra partecipazione e percezione»
Per Piero Ignazi, politologo dell’Università di Bologna, «la partecipazione crescente, o comunque non destinata ad abbassarsi, e la percezione più rassicurante delle istituzioni europee, sembrano supportare la nostra migliorata immagine dell’Europa»
A pochi giorni dalla quinquennale tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, esperti e cittadini continuano ad interrogarsi sull’effettiva importanza del voto europeo, sul quale continua a pesare l’incognita astensionismo. Due sembrano essere le costanti di questo nuovo appuntamento elettorale: da un lato quello legato al tema della “partecipazione” elettorale, che occupa da decenni l’agenda politica di giuristi, economisti, storici e sociologi; dall’altro quello che si lega alla “percezione” che milioni di cittadini europei hanno delle istituzioni comunitarie, considerate ancora troppo distanti dai problemi quotidiani. Ecco, allora, l’Europa vista spesso come capro espiatorio politico, causa di molti mali di milioni di europei, quando non addirittura luogo istituzionale utile solo a contarsi politicamente per valutare il proprio peso politico, cioè numerico. Sono spesso disegnate così le istituzioni Europee, e non solo in Italia: un immaginario collettivo deleterio, spesso amplificato da dibattiti e media devianti, con l’Unione europea percepita come la causa di molte disgrazie che affliggono la maggior parte del continente europeo.
Dunque, “partecipazione” e “percezione” come chiavi di lettura dell’Europa che verrà, tra romanticismo e realismo politico.
Professor Ignazi, c’è un argomento preliminare, quello della “partecipazione” al voto. Il rischio “astensionismo” è sempre in agguato…
«Da anni, ormai, l’astensionismo registra una crescita molto forte non solo nel nostro paese quanto nel resto dell’Europa. Con un’eccezione che credo confortante: proprio queste ultime elezioni europee stanno riscuotendo un interesse ed una “partecipazione” maggiore perché il tema europeo, dalla “pandemia” in poi, ha di fatto riproposto sul tappeto la vicenda europea di noi cittadini del Vecchio continente come tema portante. Forse potremmo registrare un picco partecipativo non inferiore a quello del 2019, cioè intorno al 55%, che, allo stato, è un successo».
Lei ci conforta…
«Mah, cerco di confortarmi anche io, partendo da un dato: il tema europeo è tornato in auge proprio negli ultimi 5 anni, perché in questo lasso di tempo sono accaduti eventi che hanno contribuito a far riemergere il “valore Europa” costruito storicamente su unità e mutuo soccorso. La pandemia, i fondi per il Next Generation EU e del Sure, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e il drammatico recente conflitto israelo-palestinese, rappresentano argomenti talmente rilevanti per l’opinione pubblica europea da aver innescato il ritorno alla discussione pubblica sull’Europa e sull’elezione della sua massima espressione politica, ovvero il Parlamento».
Ecco perché la vicenda europea di milione di cittadini non è un tema transeunte…
«Anche per questo, certo. Eravamo abituati a partecipare alle elezioni europee pensando all’ Europa come fredda burocrazia, come un insieme di istituzioni lontane anche fisicamente dai luoghi della nostra quotidianità, e ciò valeva non solo per noi italiani quanto per tutti i nostri “concittadini europei”. Ma qualcosa -ripeto- è cambiato nel nostro sentire quotidiano».
Temi nuovi si sono affacciati, ben più vicini a noi cittadini della porta accanto.
«La “partecipazione” all’Europa di oggi appare, quindi, più rilevante, vicina e presente agli interessi di suoi cittadini: alcuni accadimenti storici ne hanno, chiaramente, mutato il rapporto: come non citare la soluzione data dall’Unione europea all’acquisto dei vaccini per la gestione “corale” della Pandemia; come non ricordare il tema del PNRR con l’intervento comune da parte di tutti i Paesi membri. Sono convinto che questi due fenomeni abbiano inciso grandemente sul versante della partecipazione elettorale che andrà a manifestarsi nei prossimi giorni».
Allora la scarsa affezione al voto, la disillusione e la crisi politica, da sempre spine nel fianco della partecipazione elettorale, questa volta potrebbero essere messe all’angolo, anche il Italia?
«Senza spendersi in eccessivi entusiasmi, visto che la tendenza generale rimane pur sempre verso un calo partecipativo, direi che possiamo essere moderatamente ottimisti, anche perché in molti Paese europei si è toccata, da tempo -consolidandosi- una sorta di plafond ovvero una soglia limite al di sotto della quale -fortunatamente- non si scende più rispetto a quanto registrato almeno nell’ultimo decennio. E come se la disaffezione al voto avesse, finalmente, esaurito il suo potenziale. Il calo partecipativo, insomma si sarebbe arrestato».
A proposito: per alcuni l’astensionismo colpirà l’universo elettorale giovanile, ma altri osservatori vedono proprio nei giovani la forza trainante della prossima tornata elettorale europea.
«In effetti, le ricerche si muovono tra dati contrastati: c’è un dato di fondo, comune a tutti i Paesi europei, che vede fedele al voto la componente “anziana” della popolazione. L’antitesi, invece, è che l’attenzione dei giovani sia crescente nei confronti delle vicende europee: dalla partecipazione al progetto Erasmus alla proiezione verso una dimensione non più solo localistica, i giovani europei dimostrano, oggi, un interesse crescente sui temi legati al continente europeo, visto non solo come burocrazia, istituzioni e prassi politiche».
Due forze contrastanti?
«Esattamente. Da un lato, i giovani votano meno, ma dall’altro registriamo il loro maggiore coinvolgimento e interesse alle vicende della “Vecchia Europa”».
Sia sincero: non è che l’astensionismo sia legato alla complessa struttura politica comunitaria, non certo agevole da metabolizzare per il cittadino medio?
«La struttura europea è estremamente complessa: Commissione, Parlamento, Consiglio, Corte di Giustizia sono istituzioni da “Manuale di diritto dell’Unione
europea”, lo sappiamo bene. Strutture che agiscono in modalità difforme rispetto al tradizionale sistema rappresentativo democratico dei singoli Paese membri. Però c’è da dire che i grandi temi dell’Unione europea sono ben presenti agli occhi dei cittadini continentali al di là del funzionamento delle varie istituzioni».
Intanto “percepiamo” il nuovo Parlamento europeo: sarà diverso da quello eletto nel 2019 quando Pandemia da Covid-19, invasione dell’Ucraina da parte della Russia e conflitto Israelo-Palestinese erano di là da venire…
«Questa visione mi lascia perplesso, lo dico sinceramente. Il discorso pubblico, in questi giorni, legato alla circostanza che una parte del gruppo conservatore europeo (che ingloba, ad esempio, Fratelli d’Italia), possa avere un ruolo determinante nei nuovi equilibri all’interno del nascente Parlamento europeo nella scelta del Presidente della Commissione, riguarda, sostanzialmente, gli addetti ai lavori, molto meno i cittadini».
Sempre sul versante della “percezione”, siamo stati abituati ad una doppia visione: da un lato quella “romantica”, dell’Europa dei popoli e delle civiltà; dall’altro, l’immagine “realistica”, vista politicamente come causa di tutti i nostri mali…
«Percettivamente è evidente il giro di boa de 1994, con l’arrivo di nuovi partiti (Forza Italia, Lega Nord e Alleanza nazionale) che non avevano nessun legame con la storia dell’Unione europea: semplicemente perché non avevano contribuito alla nascita dell’idea di Europa comunitaria promossa, invece, dalle forze democratico-cristiane, alle quali si sono accostate, anche da versanti ideologici contrastanti, la componente socialista, quella liberale, e quella verde-ambientalista che, pur con posizioni critiche in tema di ambiente, ha sostanzialmente proseguito lungo il filo-europeismo».
Diceva del cambio di passo dal 1994, dalle elezioni europee di trent’anni addietro esatti…
«Nel nostro paese iniziò ad emergere un certo “euroscetticismo”, cavalcato da forze politiche del tutto nuove sullo scenario nazionale e, indirettamente, europeo, nonostante soltanto 5 anni prima, in concomitanza della tornata europea del 1989, un referendum consultivo, in occasione dei 10 anni dalla sua prima elezione, avesse chiesto ai nostri concittadini se avessero voluto affidare maggiore potere al Parlamento europeo. Ebbene, quasi il 90% dei partecipanti rispose. Tradotto in termini politici, ciò significava che l’Unione europea aveva bisogno di un Parlamento realmente rappresentativo».
Un afflato forte verso l’Europa, pare di capire, che però iniziò a scemare ben presto…
«Questo “sentire” europeo -la “percezione, per rimanere al tema della nostra conversazione- subì un contraccolpo quando Romano Prodi divenne Presidente della Commissione europea, dal 1999 al 2004: l’effetto, in Italia, fu una forte politicizzazione di rimbalzo della posizione dell’allora centro-destra guidato da Silvio Berlusconi, nei confronti dell’Unione europea. Ricordiamo tutti le critiche “politiche” nei confronti della moneta unica (l’Euro) fortissimamente osteggiata proprio da conservatori e moderati italiani».
Ci faccia capire: la presidenza-Prodi della Commissione europea contribuì non solo a creare interesse, ma anche ad una spaccatura, in Italia, considerato che dal 1996 al 1998 il professore bolognese era stato Presidente del Consiglio?
«Certamente quella presidenza della Commissione contribuì a “politicizzare” la visione dell’Europa, rendendola più “indigesta” ai suoi storici oppositori nel nostro Paese, guidati dal presidente Berlusconi. La polarizzazione politica fu evidente, in quegli anni!».
Una “percezione” di speranza: tra i tanti “ismi” (sovranismo, nazionalismo, statalismo) l’Europeismo rimane ancora un’opzione imprescindibile nella nostra storia contemporanea?
«Assolutamente sì! Soprattutto per chi come me, da ragazzo, era stato un convinto sostenitore del Movimento federalista europeo, seguace di Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi…».
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Piero Ignazi, originario di Faenza, classe 1951, politologo, professore Alma Mater dell’Università di Bologna, si è perfezionato all’Istituto Universitario Europeo di Firenze e al Department of Political Sciences del Mit di Boston. Visiting professor in numerose università (Tunisi, Parigi, Treviri, Denver, Lille, Oxford, Madrid, Montreal), è stato presidente del Corso di laurea in Relazioni internazionali e direttore del Dipartimento di Scienze politiche e della facoltà felsinea. Membro dell’Editorial board dell’“International political sciences review” e del comitato scientifico della “Rivista italiana di Scienza politica”, è stato direttore de Il Mulino. Autore di numerosi saggi sui partiti politici, tra cui spiccano quelle sulla destra italiana ed europea, ha coniato per il Msi-Dn la definizione di “polo escluso”. Il populista in doppiopetto. Berlusconi nella politica Italiana (Il Mulino, 2024) è il suo ultimo titolo.